Sta assumendo dimensioni spaventose il massacro in corso in Libia, dove testimoni parlano di 1.000 morti nella furia che il regime ha scatenato contro la rivolta bombardando i manifestanti a Tripoli. Ma nell’ottavo giorno della protesta, il leader libico Muammar Gheddafi è comparso in tv minacciando una repressione ben peggiore. “Non sono un presidente, sono un leader, un rivoluzionario e resisterò fino alla morte. Morirò
da martire”, ha detto nella sfida che per un’ora e un quarto ha lanciato promettendo una lotta senza tregua: “Non siamo ancora
ricorsi alla forza ma lo faremo”.
Scenari “inquietanti”, con 200-300mila persone in fuga che potrebbero arrivare in Italia, taglio alle forniture di gas e petrolio, incognite per le aziende nazionali partecipate dai fondi libici, paura per l’incolumità dei connazionali che lavorano nel Paese nordafricano. “Grande preoccupazione” per la crisi in Libia è emersa ieri sera a Palazzo Chigi nel corso della riunione con il premier Silvio Berlusconi, i ministri
Maroni, La Russa, Tremonti, Frattini, Alfano e Sacconi. Tanto che si è deciso di costituire un Comitato permanente interministeriale, una cabina di regia per “gestire in modo coordinato ogni intervento in grado di fronteggiare la crisi libica, sia da un punto di vista umanitario sia da un punto di vista economico e diplomatico”.
Il premier Silvio Berlusconi ha smentito seccamente al leader libico Gheddafi la possibilità che l’Italia abbia fornito armi o razzi ai manifestanti a Bengasi. Secondo quanto si apprende, nel corso della telefonata, durata una ventina di minuti e avvenuta dopo le dichiarazioni di Gheddafi, Berlusconi ha parlato con il leader libico della situazione in Libia, ribadendo la necessità di una soluzione pacifica all’insegna della moderazione per scongiurare il rischio di degenerazione in una guerra civile.
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