La Svizzera e gli Stati Uniti congelano i conti di Gheddafi e dei famigliari più stretti, la Nato e l’Onu si dicono pronti ad intervenire in Libia, mentre il Paese è ormai un rogo in piena guerra civile. La risposta di un gruppo di giovani oppositori all’ultima, surreale apparizione di Muammar Gheddafi, arriva con la rapidità di Twitter e con una frase secca ed emblematica: “Nessuno canterà e ballerà con te finchè non sari morto”. Tutti affermano che oggi, venerdì, giorno di preghiera per i mussulmani e giorno della caduta sia del tunisino Ben Alì che dell’egiziano Mubara, sarà un giorno cruciale e nei quartieri di Tripli si continua a sparare, senza sosta e senza una reale cognizione dei caduti. Uno dei figli del Colonnello, il secondogenito Saif al Islam, nella tarda serata di ieri, ha pubblicamente offerto negoziati ai ribelli: “Abbiamo a che fare con dei terroristi, l’esercito ha deciso di non attaccarli e di dar loro l’opportunità di negoziare. Speriamo di poterlo fare in modo pacifico e lo faremo a partire da domani”. Inoltre ha negato la presenza di mercenari africani, assicurando che “lo Stato riprenderà il controllo delle città nella parte orientale del Paese”. Di fatto, Gheddafi controllerebbe soltanto l’area del buker di Tripoli dove è asserragliato da cui ieri ha parlato ai suoi sostenitori.Gli esperti dicono che Gheddafi, sorta di corrusco e nero personaggio shakespeariano, non mollerà e resisterà sino alla fine, sino a rimetterci la vita, continuando nell’eccidio del suo popolo in rivolta. A Tripoli i giornalisti stranieri vengono costretti a restare in albergo – “cani”, li ha chiamati Gheddafi, nel suo ultimo, allucinato discorso dagli spalti delle mura antiche della città. La cronaca di queste ore drammatiche è affidata ai messaggi lanciati dai residenti: “Le milizie e i sostenitori di Gheddafi – scrive uno di loro alla Bbc – hanno armi pesanti. Non permettono alla gente di riunirsi. Hanno fatto un massacro…ci sono corpi nelle strade, nessuno può prenderli. Usano le ambulanze per sparare alla gente – potete crederlo? Usano artiglieria anti-aerea. Sparano in continuazione. Questa è zona civile ma sembra di essere in zona di guerra”. In un tentativo estremo di mantenere stretto il potere, il regime del Colonnello ha ordinato una raffica di aumenti salariali, sussidi alimentari e bonus da 400 dollari per ogni famiglia, mentre le forze dell’opposizione si avvicinano al bunker dove è asserragliato ed in mano ai ribelli sarebbe caduto anche uno scalo aereo presso la città e al-Zawiya, terminal petrolifero a 50 km da Tripoli. Il cerchio si stringe e sta forse spingendo il regime verso una disponibilità inedita a negoziare. L’ultimogenito del dittatore ha preso le parti della ribellione, mentre secondo e la figlia sono dalla sua, ostinati a resistere sino in fondo e a qualunque prezzo. Intanto il mondo si interroga su come fermare le stragi in Libia e sulla posizione da prendere circa la situazione, tutt’altro che pacificata in Marocco, Egitto, Tunisia e Barhain. A Sana’a, capitale dello Yemen, da più di un mese decine di migliaia di persone animano manifestazioni antigovernative, con gli studenti che chiedono un passo indietro al presidente Ali Abdullah Saleh, al potere dal 1978, prima nel solo Yemen del Nord e poi nel paese riunificato. La situazione è ancora più preoccupante nel Barhain, miniarcipelago indipendente nel Golfo Persico, in cui sono in corso da alcune settimane grandi proteste di piazza contro il re Hamad bin Isa al-Khalifa. Le manifestazioni, che si irradiano da Piazza della Perla nella capitale Manama, chiedono che la dinastia regnante promuova riforme politiche ben più sostanziali di quelle attuate con il prudentissimo restyling del 2002, anno in cui la monarchia assoluta si fece pallidamente costituzionale. Ieri sera si è riunito il Consiglio di sicurezza dell’Onu che lavora a un progetto che prevede l’embargo alle forniture di armi, il congelamento dei beni e il ricorso alla corte penale internazionale per chi si sarà macchiato, in Libia e nel Nord Africa, di crimini di guerra. Posizioni verso cui sta convergendo anche l’Ue. Maroni, intanto, di ritorno da un consiglio europeo, si dice molto preoccupato, soprattutto dopo le dichiarazione della commissaria Malmstrom, la quale nega che l’Ue abbia promesso 25 milioni per l’emergenza a l’Italia e chiarisce, attraverso il suo portavoce, che: “quella di 25 milioni di euro è in realtà la somma a bilancio della Ue nei fondi di emergenza che possono essere sbloccati per il 2011, ma che sarebbero a disposizione di tutti i 27 paesi dell’Unione. È invece di 75 milioni di euro già nel bilancio Ue, indipendente dall’emergenza nordafricana, la cifra a disposizione dell’Italia per il 2011 per la gestione ordinaria dei flussi migratori.” Intanto, da Berlino dove si trova in visita ufficiale, Napolitano ribadisce con fermezza che tutta l’Unione europea, l’Italia e gli altri singoli Stati membri che si affacciano sul Mediterraneo, devono farsi carico dell’emergenza immigrazione che viene scatenata dalla crisi nei paesi del Maghreb. E Dopo aver contestato all’Ue, in un’intervista a un quotidiano berlinese, di essere stata negli anni passati “un po’ disattenta nei confronti degli sviluppi nel Nord Africa”, auspica una maggiore decisione da parte delle Istituzioni di Bruxelles, che in tutte le loro prese di posizione devono diventare “più veloci ed efficaci” di quanto non siano state fino ad ora. Segnali di biblici flussi migratori, nel frattempo, giungono anche dalla Costa D’Avorio, in piena crisi umanitaria dopo la crisi post-elettorale. Per questo, l’ong ‘Terre des Hommes’ sta intervenendo per dare soccorso alla popolazione civile. “Migliaia di persone sono in fuga e l’esodo potrebbe assumere proporzioni enormi”, dichiara Alessandro Rabbiosi, delegato di ‘Terre des Hommes’ in Costa d’Avorio. “A causa della violenza nelle strade di Yopougon, una delle municipalità di Abidjan, abbiamo dovuto chiudere la nostra Casa del Sole, un centro d’accoglienza per bambini di strada che negli ultimi giorni aveva registrato il triplo di frequentazioni e di richieste d’aiuto e sostegno psicologico rispetto all’attività di routine. Nonostante la chiusura del centro continueremo a occuparci dei bambini, monitorando la situazione delle famiglie e rispondendo ai loro”. Un’’analisi dei servizi di informazione, contenuta nella relazione consegnata dal Dis al Parlamento, conferma che quel che sta succedendo sull’altra sponda del Mediterraneo avra’ conseguenze dirette sull’Italia per gli anni futuri. Senza dimenticare che il nostro paese e l’Ue sono ”sempre piu’ esposti al terrorismo di matrice jihadista” sia come serbatoio di reclutamento e retrovia logistico-finanziario, sia come teatro di attentati. Ma gli scenari potrebbero essere addirittura peggiori di quelli ipotizzati dagli 007 visto che la Relazione e’ relativa all’attivita’ del 2010 e dunque non tiene conto, se non in forma sommaria, degli ultimi sviluppi della crisi nel Maghreb. E’ evidente dunque che la ”stabilita’ e la sicurezza” dell’intera area nordafricana saranno ”condizionate dagli sviluppi dei processi di transizione” in corso. Che non sono affatto scollegati tra loro. Nel primo paese a sollevarsi, la Tunisia, ad esempio, la protesta e’ stata alimentata ”dall’insofferenza di larghi strati della popolazione verso un’amministrazione accusata di essere illiberale e corrotta” ma ha espresso ”un disagio socio-economico diffuso e particolarmente avvertito nell’intero quadrante” tanto da ”innescare e rivitalizzare istante anti-governative in varie realta’ dell’area nordafricana e mediorientale, sino a deflagrare nel contesto egiziano”. E l’Egitto, dicono gli 007, non e’ un paese qualunque perche’ rappresenta un contesto ”particolarmente rilevante per la stabilita’ regionale e la pace in Medio Oriente”. Dopo gli accordi dell’Italia con la Libia che hanno ridotto drasticamente gli sbarchi, questi trafficanti di esseri umani hanno utilizzato come ”opzione privilegiata” per far entrare i clandestini in area Schenghen, la Turchia ed oggi, se la Libia implode, sono pronti a ripercorrere le vecchie rotte. Oggi il Sole 24 ore commenta il rapporto Citigroup sugli scenari globali di lungo periodo, che segue un altro rapporto della Fondazione Nardini sullo stesso argomento) e disegna uno scenario inquietante per la Vecchia Europa. Nel 2050 nel nostro Continente il nostro peso, scenderà al 7% del totale, meno dell’Africa (12%) e dell’America Latina (8%). Solo la Germania resterà tra i dieci maggiori paesi del mondo fino al 2050. L’Italia uscirà dal novero dei dieci grandi nel 2020, la Francia nel 2040. Allarmismo, catastrofismo? O piuttosto una lucida analisi dei nostri mali attuali, non del 2050? La crescita lumaca, i deficit che salgono, i debiti che galoppano, la governance del continente traballante non sono visioni. È la cruda realtà prodotta dalle non scelte, l’Europa dei Van Rompuy e delle Lady Ashton. Ma anche dei governi nazionali paralizzati e incapaci di fare le riforme necessarie per guardare al futuro e non specchiarsi in un passato che non ci sarà più. Sono questi anche i problemi interni da risolvere e con urgenza, oltre a definire una condotta d’emergenza, in attesa di sapere come andranno a finire le rivolte nel Nordafrica e si trionferà il fondamentalismo o se vincerà la democrazia, anche perché, come scrive oggi Battista sul Corriere, negli ultimi 200 anni, le rivoluzioni hanno spesso portato a dispotismi ancora peggiori dei regimi abbattuti, tradendo le grandi aspettative democratiche della loro realizazione. Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti , intervenendo al 46° congresso del Pri in corso all’hotel Ergife, ha risposto ieri alle domande dell’editorialista del “Sole24Ore” Stefano Folli ed offerto la sua chiave di lettura sul terremoto che ha investito prima la Tunisia, poi l’Egitto e ora la Libia. Il ministro ha riproposto l’immagine, usata già giorni addietro, del videogame in cui appaiono e scompaiono mostri che si riteneva di aver abbattuto. Il primo “mostro” nel 2008 è stata la crisi bancaria americana, gestita con “largo utilizzo delle finanze pubbliche”. Il secondo si è materializzato in Europa lo scorso anno sotto forma di una “grande crisi bancaria”, come mostra il caso dell’Irlanda. All’origine, la speculazione e l’eccesso di finanza, “una massa sconfinata” che di fatto ha la stessa consistenza del periodo precedente all’esplosione della grande crisi. E ora siamo al terzo atto: la speculazione – osserva Tremonti – ha innescato la catena delle “rivolte del pane”. Ora, sul piano politico, se l’Europa non riuscirà a decidere sul problema , ciò comporterà un forte impatto sul lato della “estrema destra”, favorendo questi schieramenti. Ma intanto nulla dice circa la lunga ambiguità della politica italiana e soprattutto di Frattini, circa le diverse crisi in Nord-Africa, che solo dopo varie settimane si affianca al’Onu e al’Ue e chiede (in colpevole ritardo), la cessazione del’orribile “spargimento di sangue” che “la leadership Gheddafi ha annunciato e sta continuando a fare” e con Maroni che, da una parte lamenta l’indifferenza dell’Ue, ma dall’altra dice no alle sanzioni contro la Libia, con la scusa che potrebbero favorire gli Emirati poiché ci sarebbe “il rischio di dare l’impressione a chi vive in Libia che l’Europa sia solo una punizione e percio’ un nemico, cosa che puo’ alimentare la propaganda di estremisti islamici e di nemici dell’Occidente”. Ancora l’altro ieri il ministro leghista ha detto: ”ha ragione Frattini, ci vuole un sostanzioso piano Marshall perche’ quando i regimi cadranno, la popolazione dovra’ sapere che noi li aiuteremo per avere un sistema democratico, altrimenti c’e’ il rischio di emirati islamici come quello in Cirenaica”. Come dire la questione, anche delle scelte, riguarda l’Europa e, soprattutto, i leader, anche se sanguinari, è meglio lasciarli al oro posto, con tanto di aiuti economici, per non cambiare lo stato delle cose.
Carlo Di Stanislao
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