Il pericolo più temibile è quello che non si vede. Le emissioni nocive da scorie di materiale radioattivo, per esempio. O le cosiddette mini-nuke, le “bombe sporche” portatili che figurano in cima ai nostri peggiori incubi su attacchi terroristici e mercato nero di armi non convenzionali. Avere a disposizione strumenti efficaci per mettere a nudo minacce di questo tipo è un obiettivo cruciale per chi si occupa di sicurezza.
L’oggetto del quale ci occupiamo oggi, è bene chiarirlo subito, non è ancora adatto a questi scopi: è stato pensato e collaudato per studiare i raggi cosmici. Ma potrebbe diventarlo. E di sicuro ha tutte le carte in regola per essere utilizzato al di fuori dei laboratori: è relativamente leggero, è facile da trasportare, e una sola persona è sufficiente ad assemblarlo e metterlo in funzione nell’arco di appena due ore. Di che si tratta? Di un rivelatore di neutroni sviluppato dall’INAF-IFSI di Roma. Un rivelatore la cui caratteristica principale è appunto la modularità. Ne parliamo con una delle ricercatrici che lo hanno progettato, Marisa Storini, associata INAF presso l’IFSI di Roma.
All’aspetto si presenta come un tubo biancastro, questo rivelatore. Ce ne può fare un rapido identikit?
È lungo 216 centimetri. Pesa in tutto 800 chili. Ed è formato da 23 moduli separati, ognuno sotto ai 25 chili di peso. Ottimo per essere maneggiato da una sola persona, dunque. Io stessa l’ho montato e smontato più volte e in poco tempo, durante le mie campagne di studio sui raggi cosmici.
A proposito: che c’entrano, i raggi cosmici, con i neutroni?
I raggi cosmici arrivano dallo spazio e colpiscono tutta la Terra. Viaggiano da tutte le parti. Il nostro strumento contiene un materiale che, quand’è colpito dai raggi cosmici, fa sì che producano degli sciami la cui componente di neutroni viene catturata dal rivelatore.
Ne esistono molti, di rivelatori di neutroni come il vostro?
È unico. L’abbiamo inventato noi, questo kit. Ed è stato subito molto apprezzato, poiché i costi di mano d’opera e di localizzazione dei rivelatori sono elevati, quindi poter avere dei contatori mobili, trasportabili, è una cosa molto utile. Certo, già esiste una rete di rivelatori standard, nel mondo saranno una cinquantina. Ma le loro dimensioni sono enormi. D’altronde, devono stare in un luogo fisso, un osservatorio, con l’aria condizionata… A un oggetto come il nostro, invece, utilizzabile sia in campagne osservative sia a scopo didattico, nessuno ci aveva mai pensato prima.
Obiettivi interessanti per voi astrofisici, dunque. Ma pensando a possibili ricadute, quali applicazioni potrebbe avere?
Siamo ancora in fase di ricerca, per il momento lo abbiamo messo a punto solo con sorgenti di raggi cosmici. Ma una volta collaudato, può essere sottoposto a test anche con altri tipi di sorgenti. A quel punto, ci potrebbero essere implicazioni in altri ambiti, per esempio in campo medico.
E allargando lo sguardo delle possibili applicazioni alla sicurezza, sarebbe in grado di rivelare, per esempio, i neutroni provenienti dalle cosiddette “bombe sporche”?
Potrebbe. Occorre fare però uno studio approfondito sulle energie coinvolte. L’energia che il nostro kit raccoglie, comerange di neutroni prodotti, va più o meno dai 10 ai 100 MeV: l’intervallo giusto per lo studio dei raggi cosmici. Applicazioni al di fuori della ricerca vanno dunque prima studiate in funzione dell’energia dei neutroni che si vogliono rivelare.
Marco Malaspina
INAF
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