Controffensiva destrorsa su Rai1

Rai 1 si prepara al contrattacco destrorso e allestisce una prima serata con Vespa supportato dal duo di rinforzo Ferrara-Sgarbi, con un “contropalinsesto”, che Il Giornale esalta e sostiene come espressione di autentico pluralismo e contro l’egemonia della sinistra, che è apparso all’aquilano di “Porta a Porta”, migliore delle “targhe alterne” prospettate qualche giorno fa […]

Rai 1 si prepara al contrattacco destrorso e allestisce una prima serata con Vespa supportato dal duo di rinforzo Ferrara-Sgarbi, con un “contropalinsesto”, che Il Giornale esalta e sostiene come espressione di autentico pluralismo e contro l’egemonia della sinistra, che è apparso all’aquilano di “Porta a Porta”, migliore delle “targhe alterne” prospettate qualche giorno fa e commentato da Mentana su La7 (ma anche da molti altri), come una proposta incredibile ed uno scenario paradossale, con quadriglie di talk show e conduttori alternanti in base agli orientamenti. Giuliano Ferrara presenterà una trasmissione molto simile per orario e per formato a “Il fatto”, curato da Enzo Biagi dal 1995 fino all’ “editto bulgaro” del 2002, che andrà in onda, senza soluzione di continuità né stacco pubblicitario, dopo il Tg1 delle 20 e durerà 5-7 minuti, prima della trasmissione che precede il Prime time (quella, per intenderci, dei “pacchi”). Si chiamerà “Radio Londra”: una rubrica da lui già curata su Canale 5 prima e Italia1 poi, dal 1988 al 1994. Si sa invece poco dell’altro alfiere pro-berlusconi, Vittorio Sgarbi, con titolo provvisorio “Il bene e il male” (pare cambiato in “Fahrenheit – Tra il bene e il male’ ) , partenza prevista a marzo ed ora, forse, slittata al 5 aprile, collocazione forse di martedì, nello stesso orario di Ballarò, oppure, ma solo se l’Italia perde la Champion League, il mercoledì, con un taglio pensato contro Floris e Santoro e come autentico spazio anti-Saviano. Sul Giornalettismo di oggi, parlando del futuro programma, Sgarbi ha detto che gli piacerebbe avere in trasmissione Corona e la Minetti e che li considera perfetti, delineando già il tipo di talk che ha in mente. “Per Corona immagino un ruolo in perfetto stile di emissario dei servizi segreti” ha detto il critico d’arte futuro anchorman ed ha proseguito: “Diverso e’ il discorso per Nicole Minetti che la Rai censura pechè sottoposta a indagini” ed ha concluso “io ero e resto ipergarantista e se fosse brava perche’ no, potrebbe anche condurre”. Lo scorso 6 marzo, al Petruzzelli di Bari, si è alzato il sipario sulla “Salomè di Richard Straus”, di cui Sgarbi ha curato la regia, con richiami (non si sa sa quanto inconsapevoli) ai recenti fatti dell’affaire Ruby Rubacuori. In quella occasione Sgarbi ha dichiarato che oggi un presentatore è più importante di un politico e per questo ha rinunciato al posto di ministro della cultura per dedicarsi ad un programma in 6 puntate in Tv. Certamente un modo molto chiaro di esprimere il perché del sua presenza in una trasmissione costruita su di lui e del valore intrinseco che avrà il suo contributo. Faceva notare qualche giorno fa “Il Foglio”, che sulle nostre televisioni passano almeno una quarantina di talk show politici alla settimana. Un’overdose, naturalmente, dovuta, come diceva un bel desaparecido – dalla Polis non dalla valorosa professione forense – Mino Martinazzoli, ad un eccesso di oppiacei ideologici abusati in quelle fumerie/trasmissioni. E lo diceva ancora nei primi ’90, anni nei quali, per l’appunto, presero l’abbrivio le diverse “fumerie”: Santoro, Lerner, Funari, Deaglio ecc., mentre tambureggiava quotidianamente l’implacabile Telekabul di Curzi. Come scrive su L’Opinione Paolo Pillitteri, da allora la situazione è peggiorata quanto a dispersione di fumi, tanto obnubilanti quanto distruttivi delle politica. Distruttivi nel senso che la sostituivano promuovendone da un lato una sua versione manichea, da ordalia, dall’altra uno svuotamento in nome e per conto dell’antipolitica. Ecco il cancro vero, l’antipolitica, ovvero il rovesciamento del canone tradizionale fatto di confronto, dialettica, conduzione neutrale e rispetto dell’avversario in uno scontro all’arma bianca, in una rissa permanente, col conduttore trasformato in partecipante attivo e aizzatore, deus ex machina politico, unico protagonista dello show. Un vecchio volpone della Tv, Maurizio Costanzo, ha commentato: “Mi fa molto piacere dell’arrivo di Ferrara e Sgarbi in Tv. Giuliano Ferrara e’ molto bravo, cosi’ come e’ intelligente e bravo Vittorio Sgarbi, anche se non l’ho mai visto alle prese con un programma di prime time tutto suo. Io li vedo bene e in generale sono dell’idea che e’ meglio aggiungere che togliere, purche’ si parli di persone che conoscono i congiuntivi…”. Come dire che il livello lo determina il conduttore, la sua capacità di parola e di sorpresa, insomma i contenuti e non il credo politico o, almeno, non soltanto quello. E, per ora, i conduttori di sinistra si sono dimostrati, nei fatti, più efficaci ed appropriati di quelli (pur presenti in tv) di destra. Comunque, l’idea di buttare nell’arena principale (Rai1), due filo-berlusconiani di provata fede e con qualche capacità dialettica (o di urlo) è certamente migliore della strategia del “due al posto di uno”, pensata con grande sforzo di neuroni dai cervelloni della destra, ridicolmente tracimante verso inaudite soluzione sociali, come autista del bus pubblico, medico di fiducia commercialista, negoziante, maestro elementare, docente universitario, luminare, e parcheggiatore di destra e di sinistra, appunto a scelta, in nome della pluralità. Un fatto è certo. Con l’arrivo della Seconda Repubblica è andata sbiancandosi sempre più la differenza tra destra e sinistra, sostituita con prepotenza da un’altra netta distinzione: berlusconiani e anti – Berlusconi e, con questa nuova trovata di Rai1, è evidente che è questa è la differenza da rimarcare anche in Tv. Ferrara ha sempre difeso Berlusconi a spada tratta, facendolo prevalentemente mediante le pagine del quotidiano “Il foglio”, da lui fondato nel 1996, con editrice l’ex moglie di Berlusconi Veronica Lario. Il giornale esce in un un’unica pagina (in formato “lenzuolo” come si dice in gergo giornalistico) con allegato un inserto di 4 pagine (più abbondante il sabato, in cui arriva anche a 16 pagine). Sebbene non manchino raffinate e lungimiranti analisi politiche, spesso anche critiche nei confronti della stessa area politica di riferimento, è chiaramente schierato in favore del premier. Ed anche Sgarbi è sempre stato con Berlusconi, facendo il viceministro nel precedente governo e difendendolo anche di recente sul caso Ruby e a proposito dell’infelice uscita del premier sui gay. Ma, soprattutto (e questo ci predice che tipo di trasmissione avremo da lui), Sgarbi ha sempre avuto una particolare predilezione per ciò che i latini chiamavano “stercus” (scientificamente detta coprolalia, vera e propria devianza comportamentale che porta l’individuo ad usare continuamente un linguaggio osceno e volgare) e dopo aver composto e declamato a tredici anni “5.000 versi per diventare Apollinaire”, ha battuto via via la strada liberatoria della parolaccia fino a fare disperare il Cavaliere: “Vittorio, come faccio a farti ministro se continui a dire le parolacce?”. Resta indimenticabile una seduta dell’ottobre 2007, quando a Montecitorio si discusse fino a notte se dare o no l’autorizzazione a procedere perché aveva, nell’insindacabile esercizio delle sue funzioni, gridato a dei poliziotti: “Mi avete rotto i coglioni!”. E, ancora, come ricorda sul Corriere Gian Antonio Stella, il dibattito parlamentare alla nascita del governo D’Alema, quando il nostro “eroe” pretese fosse messo a verbale: “Onorevole D’Alema, le darei volentieri il mio voto; sono molto tentato di farlo, per aggiungere la mia corruzione alla vostra, aggiungere merda a merda”. Sempre Stella ci dice che all’idea di perdere l’immunità, aveva confidato ad Aldo Cazzullo di non avere troppi timori: “Vinco una causa al giorno. Finora, 190 su 270; le altre sono in corso” e spiegò anzi di avere “pronto un libro: Le mie querele. L’editore non lo pubblica per paura di altre querele”. In ogni caso sospirò quando fu chiaro che non fosse stato rieletto, avrebbe dovuto per sicurezza contenersi: “Mi toccherà diventare buono e insipido come Prodi”. Quanto A Ferrara, cui il vecchio dott. Spallone ha scritto una lettera pubblica su “Il Centro” di qualche tempo fa, in cui gli ricordava il suo passato liceale (non brillantissimo) in quel di Avezzano e gli raccomandava di prendersi cura delle gravi nevrosi e dipendenza del suo Berlusconi; anche lui non brilla certo per pacatezza verbale, ma, soprattutto, gli si rimproverano gli stravolgenti cambiamenti politici. Sempre in soccorso del vincitore, moderno Machiavelli, trasformista insuperabile, concentrato di contraddizioni e mutazioni ideologiche incredibili, perché solo gli stupidi non cambiano idea, Giuliano Ferrara si ritrova sempre dalla parte del potere che comanda, mai col perdente. Comunista quando il Pci era potente, craxiano quando Craxi era a Palazzo Chigi, berlusconiano dal ’93 e, quando la stella di Arcore indeboliva i suoi raggi, nelle braccia del Vaticano o in ammiccamenti con Fini. In questa parabola arcitaliana, Ferrara è il campione dell’arte di sapersi adattare all’habitat politico: ex comunista che diventa consigliere prediletto del politico con l’ossessione dei comunisti; apostolo dell’antiaborto che però da giovane fece abortire tre fanciulle; ammiratore del Craxi che a Sigonella schiaffeggiava gli Usa, ma anche spia prezzolata della Cia (lo raccontò lui stesso); nemico del giustizialismo delle procure ma inventore del giustizialismo televisivo, a cavallo del ’90; fresco osannatore del marchionnismo, ma già responsabile del Pci operaista a Mirafiori negli anni ‘70, suo esordio politico. Dopo aver preso a schiaffi , in pubblico, l’assessore alla cultura (Pci) del comune di Torino, se ne tornò a Roma, entrando, all’Espresso prima e al Corriere della sera, poi, grazie ad una raccomandazione di Claudio Martelli, che dirà di averlo raccomandato a Piero Ostellino, allora direttore in via Solferino (lo stesso Ostellino che ha aderito alla campagna delle mutande di Ferrara, corsi e ricorsi storici), facendo imbestialire l’Elefantino che invece sostiene di esserci arrivato grazie ad Alberto Ronchey, amico del padre, quando entrambi (uno per La Stampa l’altro per l’Unità) facevano i corrispondenti da Mosca. Con un camaleonte così, che negli ultimi 15 anni è riuscito ad appoggiare la guerra preventiva di Bush jr, la crociata ultracattolica contro le staminali e l’aborto, le feste di Arcore, poi l’idea di Fini, poi quella di Marchionne, per tornare infine sotto l’ala di Berlusconi, ne vedremo, in Tv, di tutti i colori, ma certo bigi e molto tendenti al nero.

Carlo Di Stanislao

 

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