Tipica bellezza italiana, florida e procace, figlia di contadini, Adionilla Negrini Pizzi, in arte Nilla Pizzi, partecipò, a venti anni, al concorso antesignano di Miss Italia: “Mille lire per un sorriso” e si fece notare dalla giuria e dai fotografi presenti, tanto da vincerlo quel concorso. In quell’anno era una dei 7.000 dipendenti (più della metà erano donne) della Ducati di Bologna. Lo stabilimento all’epoca non produceva motociclette, ma condensatori per apparecchi radio. Lei faceva la collaudatrice. Quasi una premonizione per la cantante che proprio attraverso la radio diventò la regina incontrastata della canzone italiana, Voleva soprattutto cantare la bella Adionilla, sicchè, tramite l’appoggio di uno zio ufficiale dell’esercito ( l’Italia è sempre l’Italia), iniziò ad esibirsi negli spettacoli organizzati per le Forze Armate, facendosi addirittura eleggere, nel 1940, mascotte del 35º Reggimento Fanteria di Bologna. Nel 1942 vinse, davanti a diecimila concorrenti, un concorso per Voci Nuove indetto dall’EIAR (la futura RAI-Radiotelevisione italiana), interpretando i brani Tu musica divina, successo di Alberto Rabagliati e Domani non m’aspettar, già cavallo di battaglia di Oscar Carboni. In quell’epoca iniziò ad esibirsi con l’orchestra Zeme, debuttando alla radio nello stesso anno, eseguendo il motivo Casetta fra le rose, composto da Guido Cergoli. Poco dopo passò nell’orchestra del maestro Cinico Angelini raccogliendo un ottimo successo con Tutto passa e si scorda. Il 20 febbraio 1944 esordì in sala d’incisione insieme a Bruna Rattani, con il brano Ronda solitaria, a cui seguirono i successi Alba della vita, Verrà, con Dea Garbaccio, Quel mazzolin di fiori, Tulipano d’oro e Serenata delle serenate. Allontanata improvvisamente nel 1944 dall’Eiar (perché la sua voce era giudicata troppo moderna e sensuale dal regime), nel 1946 tornò a cantare alla radio sempre accompagnata dall’orchestra del maestro Angelini, cui s’era legata anche sentimentalmente. Nello stesso anno stipulò un contratto discografico con La Voce del Padrone per due anni, ma, reclamata dalla Cetra, con la quale aveva firmato un contratto di sette anni nel 1944, fu costretta ad incidere anche per quest’ultima casa discografica, usando però degli pseudonimi quali Ilda Tulli, Carmen Isa, Isa Merletti e Conchita Velez. Fra la fine degli anni 40 ed i primi anni cinquante firmò un contratto con la Cetra e iniziò a incidere finalmente con il proprio nome. Colse delle notevoli affermazioni con motivi come Oh papà, Cocoricò, Dove vas?, col Duo Fasano, Dopo di te, Vivere baciandoti, Perché non sognar e Mañana por la mañana, ancora col Duo Fasano. Allo stesso tempo, terminata la passione sentimentale col maestro Cinico Angelini, imbastì una relazione amorosa con il cantante Luciano Benevene, mentre otteneva uno straordinario successo con O mama mama e Corumba, duettate con il Duo Fasano e lo stesso Benevene. Nel 1949 lanciò la popolarissima Bongo bongo bongo e Avanti e indrè in duetto con Benevene, supportati dal Duo Fasano. L’anno successivo, terminato il sodalizio canoro e sentimentale con Benevene, iniziò un romantico epistolario con Achille Togliani, mentre avviava una relazione amorosa con il giovanissimo Gino Latilla. Sempre del ’50 furono anche i successi Ciliegi rosa, Questa notte saprò, Che bel fiulin, Ba-tu-ca-da e M’ha detto una conchiglia. La voce calda, appassionata e morbida le diede subito una enorme popolarità, ulteriormente amplificata dalla vittoria al primo Festival di Sanremo nel ’51, poi ripetuta nel ’52, anno in cui vinse anche il Festival di Napoli con Desiderio e ’sole. Interpretò anche vari film (tra cui la commedia sentimentale Ci troviamo in galleria di Mauro Bolognini, 1953; La Mandragola di Alberto Lattuada, 1965; Melodrammore di Maurizio Costanzo, 1978) e partecipò a numerosissimi programmi radiofonici di musica e varietà come Capriccio musicale, Le dieci canzoni lanciate, Il mondo della canzone, Poker d’assi, Dieci canzoni d’amore da salvare, Cuori in ascolto di Nizza e Morbelli e Il motivo in maschera. Tornò a Sanremo nel 1958 piazzandosi al secondo posto con Edera e poi nel ’60 entrando in finale con la canzone Colpevole. Dopo aver presenziato al Festival di Sanremo del 1981 come madrina, tornò sul palco dell’Ariston nel 1994 con la Squadra Italia, un gruppo composto dalle vecchie glorie della canzone italiana, cantando il brano Una vecchia canzone italiana. Ed è stata attiva anche dopo e fino al’ultimo, mettendontosi sempre in gioco, fino a duettare con Platinette nel 2003, lo stesso anno in cui il Comune di Sanremo le conferiva il premio alla carriera. E’ morta l’altro ieri e ad aprile avrebbe compiuto 92 anni. Incontrastata “signora della canzone” degli anni ’50 e ‘60, ha alternato melodie all’antica a motivetti scacciapensieri: “I sogni son desideri”, “Anema e cose”, “Desiderio”, “Canzone amara”, “Core ’ngrato”, “El marine rito”. Aristocratica ma mai snob, Nilla è scivolata languida sulle note più profonde, i toni scuri che gli erano naturali, non cercando l’effetto, ma la maestria nel fraseggio, con legature, coloriture gioiose e sdrammatizzanti, che resteranno nel panorama canzonettistico del Bel Paese. “Nessuno mi ha dato niente, tutti mi hanno tolto qualcosa”, raccontava ed era vero: nel ’72 registra un bell’album sui canti dell’emigrazione, nell’81 presenta Sanremo al fianco di Cecchetto e la smutandata Vallone, nel ’94 è in gara all’Ariston con la Squadra Italia, nel 2001 è testimonial del Gay Pride a Torre del Lag e alla fine della carriera le tocca Lele Mora come impresario.
Carlo Di Stanislao
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