I sospetti sono forti e fondati: nel corso della sua evoluzione Marte si è perso buona parte della propria atmosfera. A favore di questa ipotesi, ritenuta oggi estremamente plausibile , arrivano anche le recenti osservazioni effettuate dalla sonda Mars Reconnaissance Orbiter, della NASA, che forniscono qualche preziosa indicazione su una delle modalità con cui potrebbe essersi verificata la perdita.
Il guscio di gas (essenzialmente anidride carbonica) che oggi avvolge Marte sarebbe notevolmente più rarefatto rispetto a come doveva essere nel lontano passato, in periodi immediatamente successivi alla formazione del pianeta: il progressivo assottigliamento dell’atmosfera non ha permesso all’acqua liquida, che si presume ci sia stata, di continuare a restare in superficie, quella superficie che oggi ci appare come uno sconfinato deserto rosso. Andando però a indagare su cosa si nasconda sotto la superficie, studiando rocce che si trovano anche a cinque chilometri di profondità, si possono raccogliere molte informazioni e qualche possibile risposta. Lo ha fatto la Mars Reconnaissance Orbiter (che il 10 marzo ha festeggiato ilquinto anno di lavoro in orbita intorno a Marte) senza scavare, senza nemmeno toccare il suolo, ma continuando a osservare tutto dall’alto, grazie anche al radar SHARAD, strumento tutto italiano, evoluzione del radar MARSIS a bordo della sonda europea Mars Express. La fatica di portare in superficie ciò che si trovava molto più sotto, l’hanno fatta quei meteoriti che schiantandosi sul pianeta hanno provocato estesi crateri ed esposto alla luce il materiale degli strati sottostanti. Mars Reconnaissance Orbiter non ha fatto altro che concentrare l’attenzione dei suoi strumenti, CRISM in particolare, proprio su quei materiali. A differenza di quanto si trova in superficie, le rocce estratte dal sottosuolo sono particolarmente ricche di carbonati di calcio e di ferro, entrambi minerali la cui formazione avviene in ambienti umidi. Sulla Terra, ad esempio, il carbonato di calcio si trova tipicamente nei fondali oceanici. In presenza di acqua è possibile che l’anidride carbonica presente nell’atmosfera sia stata catturata per formare questi specifici minerali identificati nelle rocce marziane: in altre parole, uno degli “ingredienti” alla base di questi minerali sarebbe stato preso proprio dall’atmosfera, derubandola per così dire. In epoche successive questi strati ricchi di carbonati, sarebbero stati ricoperti da colate laviche o dal materiale prodotto dall’impatto di nuovi meteoriti e così, seppelliti, avrebbero conservato gli indizi oggi analizzati dalla sonda americana. L’anidride carbonica rubata dalle rocce sarebbe solo uno dei possibili processi che hanno portato all’impoverimento dell’atmosfera marziana. Un altro scenario molto probabile è quello che chiama in causa l’azione del vento solare e la sua azione per così dire “erosiva” nei confronti dell’involucro gassoso del pianeta: ma su questo indagherà un’altra sonda, MAVEN, che raggiungerà il pianeta rosso nel 2014. Una cosa è certa, fra chi ruba e chi soffia, l’atmosfera marziana non poteva certo restare quella di un tempo.
Elena Lazzaretto
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