Libia, la forza e il diritto

Presto, prestissimo scopriremo i motivi per cuila Francia di Nicolas Sarkozy ci tenesse tanto a solcare per prima il cielo di Libia e perché volesse che la prima bomba fosse sganciata da un suo jet. La cause e le ragionile troveremo scritte, nero su bianco, nei futuri contratti energetici che l’ipotetica nuova Libia (se Gheddafi cadrà) […]

Presto, prestissimo scopriremo i motivi per cuila Francia di Nicolas Sarkozy ci tenesse tanto a solcare per prima il cielo di Libia e perché volesse che la prima bomba fosse sganciata da un suo jet. La cause e le ragionile troveremo scritte, nero su bianco, nei futuri contratti energetici che l’ipotetica nuova Libia (se Gheddafi cadrà) siglerà con i salvatori. I guerriglieri di Bengasi ringraziano“gli amici francesi” che, d’altra parte, sono stati i primi a esporsi avviando le relazioni con il Consiglio nazionale libico con l’apertura diun’ambasciata di Francia a Bengasi.

Parigi ci tiene a fare bella figura e chiede, pretende, il comando delle operazioni. Gli Stati Uniti, per una volta, sono orientati a cedere il passo ma a condizione che il comando sia condiviso anche con i britannici. Quella libica è una festa cui molti vogliono partecipare e anche l’Italia si è meritata un invito mettendo a disposizione otto Tornado, uno squadrone di Eurofighter e sette basi aeree sul territorio nazionale. Ignazio La Russa lo ha detto subito: “Non daremo le chiavi di casa nostra ad altri”, una partecipazione attiva (spiccare il volo e bombardare) è necessaria. Se non altro per non sfigurare con gli alleati.

La “coalizione dei volenterosi”, la chiamanoLa Nato non può entrare in gioco direttamente, vuoi perché non c’è l’unanimità di tutti i paesi membri – il muro più alto da scavallare è quello turco -, vuoi perché i paesi arabi, che hanno in qualche modo aderito alla Risoluzione 1973, non si troverebbero a loro agio schierandosi sotto l’ombrello e, soprattutto, sotto la Rosa dei Venti in campo azzurro. Ma per fortuna ci sono i volenterosi, pronti a difendere la popolazione civile libica bombardando un’altra parte di civili. Gli strateghi e gli esperti di relazioni internazionali ci assicurano che la No Fly Zone (Nfz) è in atto e produce i suoi effetti. Su ciò non abbiamo ragione di dubitare. Le perplessità sorgono, invece, sull’applicazione della stessa e cioè: se la ragione della Nfz è evitare il decollo di jet libici intenzionati a bombardare i civili allora non sono comprensibili gli attacchi dei volenterosi sulla città di Tripoli e sul bunker di Gheddafi (tanto più che dal Pentagono, come dalle capitali europee si precisa che non è aperta nessuna caccia al dittatore libico). Ma poi c’è il passaggio della Risoluzione che autorizza il ricorso a qualsiasi mezzo (e operazione) per la salvaguardia dei civili minacciati da Gheddafi e, allora, vale tutto! Tranne, per il momento, l’invasione di terra.

La sensazione, netta, è quella che ci si trovi per l’ennesima volta davanti a un’operazione dicamouflage diplomatica, dove la volontà di potenza si nasconde dietro un’operazione umanitaria, l’uso della forza mascherata dal diritto. E non ci rassicurano le parole del nostro presidente Giorgio Napolitano: “Non siamo in guerra, ma agiamo nell’ambito di un’operazione autorizzata dalle Nazioni Unite”. E non vale lo slogan orwelliano War is Peaceche cercano di far passare. Noi, l’Italia, siamo ancora una volta coinvolti in un’operazione umanitaria, pardon, in una guerra.

Nicola Sessa

PeaceReporter

 

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