In confusione

Situazione caotica e di difficile definizione, sia sul campo che nella politica e diplomazia attorno alla guerra libica, da alcuni definita “tribale”, da altri epocale e per la libertà di un popolo da 42 anni sotto dittatura. Notizie contraddittorie e confuse si intersecano e si inseguono circa vittorie e sconfitte fra rivoltosi e lealisti, i […]

Situazione caotica e di difficile definizione, sia sul campo che nella politica e diplomazia attorno alla guerra libica, da alcuni definita “tribale”, da altri epocale e per la libertà di un popolo da 42 anni sotto dittatura. Notizie contraddittorie e confuse si intersecano e si inseguono circa vittorie e sconfitte fra rivoltosi e lealisti, i primi che continuano, nonostante i duri colpi subiti dai missili e dall’aviazione della coalizione, a infierire duramente su Misurata e i secondi, male in arnese e del tutto disorganizzati, che provano, ma molto alla rinfusa,  a contrattaccare. Sul fronte diplomatico la situazione non è certo più chiara e la stampa, soprattutto francese ed italiana, riferisce di forti tensioni  in seno alla coalizione, appena tre giorni dopo l’inizio dell’azione  dei cosiddetti alleati. Se i siti web di Le Monde e Le Figaro dedicano poche righe alla questione, spiegando che “alcuni Paesi come Canada e Italia” vorrebbero che il coordinamento degli interventi passasse sotto la guida Nato; il quotidiano La Croix riporta la posizione italiana in maniera più articolata. Il giornale cita “il ministro italiano degli Esteri Franco Frattini che lunedì 21 ha annunciato di voler verificare la conformità dei primi bombardamenti con la risoluzione. Il ministro ha osservato che ‘questa non dovrebbe essere una guerra contro la Libia’ ma l’applicazione rigida della risoluzione”. E ancora, si legge su La Croix, “l’Italia ‘ha accettato di prendere parte alla coalizione internazionale allo scopo preciso di operare un cessate il fuoco, far cessare le violenze e proteggere la popolazione. Ecco perché, assieme al Lussemburgo, ha chiesto che la Nato prenda la guida della coalizione dei volontari in Libia. Francia e Turchia si oppongono a che l’Alleanza atlantica partecipi in prima linea per timore di alienarsi l’opinione araba”. Anche in Italia tutte le testate parlano di “strappo” fra Francia (e Inghilterra) e Italia e lo fanno con una considerazione comune: riportata all’essenziale, la questione, anche se molto complicata, si può riassumere in una frase: il governo di Roma vuol contare di più. È stato un po’ sorpreso (come altri, del resto) dall’accelerazione francese e adesso vuole evitare di perdere altro terreno. Anche perché sulla Libia si è creato, sì, un certo clima di unità nazionale, bene interpretato dal presidente della Repubblica, ma fino a quando reggerà? Come scrive il Sole 24 Ore, la stessa  maggioranza è divisa dai distinguo della Lega e nella posizione espressa da Bossi e Calderoli c’è tutto lo scetticismo verso il buon esito della spedizione punitiva contro il dittatore libico. I leghisti sono pessimisti e convinti che i partner europei (la Francia in primo luogo) non hanno alcuna intenzione di aiutare l’Italia a gestire il flusso imponente dei clandestini in arrivo. Ne deriva che contare di più sullo scenario libico significa per Roma avere migliori carte da giocare. Subito, rispetto alle manovre militari e ai loro risvolti “umanitari” (leggi controllo degli immigrati). In prospettiva, quando si tratterà di governare il dopo-Gheddafi e preservare per quanto possibile i nostri investimenti. Pertanto, anche solo a casa nostra, la confusione è estrema: da un lato, infatti, l’Italia rivendica i suoi diritti davanti ai partner europei e pone con forza la questione della Nato e delle basi poste sul territorio nazionale. Dall’altro, però, Berlusconi prende la parola dopo un lungo silenzio e dichiara che i nostri aerei in missione sui cieli libici “non hanno sparato e non spareranno mai”. Posizione che tende a rassicurare Bossi, in primo luogo, ma anche tutti coloro che nel Pdl sono diffidenti per l’inasprirsi del conflitto (vedi Formigoni). Secondo una parte della stampa, a partire da Repubblica, Geddafi, dittatore sanguinario ed uomo imprevedibile,  ha trovato degli alleati nei leghisti, i con i quali probabilmente può vantare dei crediti e, dai leghisti, sempre in ragione di crediti politici e non, ha ritrovato la solidarietà del Governo italiano: il Ministro degli Esteri Frattini infatti ha dichiarato che se il comando delle operazioni non passerà alla Nato, l’Italia non concederà più le basi, aeree e marittime, per l’operazione. Senza le basi italiane, l’operazione militare diventa molto difficile (anche se non impossibile) e comunque si tratta di un’ostilità forte nei confronti dei paesi occidentali in genere e della Francia in particolare. Praticamente si tratta di riattivare quel trattato di amicizia italo-libico firmato pochi mesi fa, fino ad ora lasciato in un tiretto e, secondo il Ministro La Russa che è un bellicista verbale sia contro che pro Gheddafi, ormai superato e non più efficace. Tutti i giornali dicono che dietro questa seconda piroetta in pochi giorni dell’Italia c’è “l’amico Putin”, che, ieri, ha parlato di discutibile “crociata” degli alleati contro Gheddafi. L’unica cosa certa è che altri 40 morti si sono registrati a Misurata, che la ribellione è sempre all’angolo ed ansimante e che a dividere i governi è la questione della leadership delle operazioni della missione ‘Odyssey dawn’ finora condotte sotto il comando di Usa, Francia e Gran Bretagna. L’Italia reclama il passaggio in tempi rapidi della catena di comando sotto l’ombrello della Nato. In caso contrario, minaccia di riprendere il controllo delle sette basi militari messe a disposizione della coalizione e di provvedere a un “comando separato”, secondo quanto dichiarato dal ministro degli Esteri, Franco Frattini. E, come nota Il Corriere, la querelle ha già provocato i primi danni, con la Norvegia che ha annunciato la sospensione della sua partecipazione alle operazioni militari (sei caccia F16 dispiegati nel Mediterraneo),  finché non sarà chiarita la questione del comando, come ha chiarito il ministro della Difesa norvegese, Grete Faremo. E anche gli Usa sembrano in procinto di un passo indietro, dopo che Obama si è dichiarato pronto a passare le consegne al’Alleanza Nato, ma, anche in questo caso, con espressioni confuse e contraddittorie, tanto che il segretario alla Difesa, Robert Gates, ha parlato anche della possibilità di un “comando franco-inglese”, per poi aggiungere che sarebbe un errore per la coalizione prefigurarsi l’obiettivo di uccidere il leader libico. Anche Obama ha confermato che l’obiettivo delle operazioni è che “Gheddafi lasci il potere per proseguire le attività”, solo non precisato con quale futura leadership e strategia. Ora, è chiaro, che in questa situazione urge che Berlusconi chiarisca la posizione del governo in parlamento, fra oltranzisti dell’intervento e fautori del disimpegno. Un dibattito parlamentare è stato chiesto a gran voce dai capigruppo del Pd di Camera e Senato, Dario Franceschini e Anna Finocchiaro, che in comunicato scrivono: “Lo sviluppo della crisi libica e la portata dell’intervento promosso dalle Nazioni Unite. È necessario che il Parlamento nel suo plenum possa confermare il sostegno alla posizione del nostro Paese con una piena assunzione di responsabilità”. Rincara il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, che dice: “La confusione italiana regna nel cielo. Noi siamo disponibili a che l’Italia partecipi nei limiti del mandato Onu, non con i cosiddetti “volenterosi” che hanno solo lo scopo di fare in fretta e furia una soluzione che dà soltanto preoccupazioni ulteriori”. E da Reuters apprendiamo che anche la Lega Nord, che venerdì scorso non ha votato nelle commissioni parlamentari sull’impegno dell’Italia per far rispettare la risoluzione Onu per la Libia, ha chiesto un mandato diretto del Parlamento, poiché teme l’esodo dei libici verso l’Italia e possibili atti di terrorismo. Secondo il Carroccio, la Francia, la Gran Bretagna e gli altri paesi della cosiddetta “coalizione dei volenterosi”,  impegnati nella missione in Libia,  dovrebbero prendersi carico degli immigrati e dei profughi in fuga dalle coste africane a causa delle operazioni militari. E anche a loro Berlusconi dovrà rispondere in Parlamento. Si tratta di vedere quando e con quali argomenti, dentro una tale, totale confusione di approcci, implicazioni, strategie ed intenti. Ieri, durante una manifestazione elettorale per le prossime elezioni comunali a Torino, il presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi ha dichiarato che gli aerei italiani impegnati in Libia finora non hanno sparato e non spareranno nemmeno in futuro, ma fino a quanto potremo cavarcela così, con il gioco ci sto ma non troppo e, soprattutto, come arginare il sospetto che così facendo non si favorisca un accordo per il quale (come scrive La Padania, petrolio e gas saranno ripartiti fra Gran Bretagna e Francia ed i profughi invece fra le regioni italiane?

Carlo Di Stanislao

Situazione caotica e di difficile definizione, sia sul campo che nella politica e diplomazia attorno alla guerra libica, da alcuni definita “tribale”, da altri epocale e per la libertà di un popolo da 42 anni sotto dittatura. Notizie contraddittorie e confuse si intersecano e si inseguono circa vittorie e sconfitte fra rivoltosi e lealisti, i primi che continuano, nonostante i duri colpi subiti dai missili e dall’aviazione della coalizione, a infierire duramente su Misurata e i secondi, male in arnese e del tutto disorganizzati, che provano, ma molto alla rinfusa, a contrattaccare. Sul fronte diplomatico la situazione non è certo più chiara e la stampa, soprattutto francese ed italiana, riferisce di forti tensioni in seno alla coalizione, appena tre giorni dopo l’inizio dell’azione dei cosiddetti alleati. Se i siti web di Le Monde e Le Figaro dedicano poche righe alla questione, spiegando che “alcuni Paesi come Canada e Italia” vorrebbero che il coordinamento degli interventi passasse sotto la guida Nato; il quotidiano La Croix riporta la posizione italiana in maniera più articolata. Il giornale cita “il ministro italiano degli Esteri Franco Frattini che lunedì 21 ha annunciato di voler verificare la conformità dei primi bombardamenti con la risoluzione. Il ministro ha osservato che ‘questa non dovrebbe essere una guerra contro la Libia’ ma l’applicazione rigida della risoluzione”. E ancora, si legge su La Croix, “l’Italia ‘ha accettato di prendere parte alla coalizione internazionale allo scopo preciso di operare un cessate il fuoco, far cessare le violenze e proteggere la popolazione. Ecco perché, assieme al Lussemburgo, ha chiesto che la Nato prenda la guida della coalizione dei volontari in Libia. Francia e Turchia si oppongono a che l’Alleanza atlantica partecipi in prima linea per timore di alienarsi l’opinione araba”. Anche in Italia tutte le testate parlano di “strappo” fra Francia (e Inghilterra) e Italia e lo fanno con una considerazione comune: riportata all’essenziale, la questione, anche se molto complicata, si può riassumere in una frase: il governo di Roma vuol contare di più. È stato un po’ sorpreso (come altri, del resto) dall’accelerazione francese e adesso vuole evitare di perdere altro terreno. Anche perché sulla Libia si è creato, sì, un certo clima di unità nazionale, bene interpretato dal presidente della Repubblica, ma fino a quando reggerà? Come scrive il Sole 24 Ore, la stessa maggioranza è divisa dai distinguo della Lega e nella posizione espressa da Bossi e Calderoli c’è tutto lo scetticismo verso il buon esito della spedizione punitiva contro il dittatore libico. I leghisti sono pessimisti e convinti che i partner europei (la Francia in primo luogo) non hanno alcuna intenzione di aiutare l’Italia a gestire il flusso imponente dei clandestini in arrivo. Ne deriva che contare di più sullo scenario libico significa per Roma avere migliori carte da giocare. Subito, rispetto alle manovre militari e ai loro risvolti “umanitari” (leggi controllo degli immigrati). In prospettiva, quando si tratterà di governare il dopo-Gheddafi e preservare per quanto possibile i nostri investimenti. Pertanto, anche solo a casa nostra, la confusione è estrema: da un lato, infatti, l’Italia rivendica i suoi diritti davanti ai partner europei e pone con forza la questione della Nato e delle basi poste sul territorio nazionale. Dall’altro, però, Berlusconi prende la parola dopo un lungo silenzio e dichiara che i nostri aerei in missione sui cieli libici “non hanno sparato e non spareranno mai”. Posizione che tende a rassicurare Bossi, in primo luogo, ma anche tutti coloro che nel Pdl sono diffidenti per l’inasprirsi del conflitto (vedi Formigoni). Secondo una parte della stampa, a partire da Repubblica, Geddafi, dittatore sanguinario ed uomo imprevedibile, ha trovato degli alleati nei leghisti, i con i quali probabilmente può vantare dei crediti e, dai leghisti, sempre in ragione di crediti politici e non, ha ritrovato la solidarietà del Governo italiano: il Ministro degli Esteri Frattini infatti ha dichiarato che se il comando delle operazioni non passerà alla Nato, l’Italia non concederà più le basi, aeree e marittime, per l’operazione. Senza le basi italiane, l’operazione militare diventa molto difficile (anche se non impossibile) e comunque si tratta di un’ostilità forte nei confronti dei paesi occidentali in genere e della Francia in particolare. Praticamente si tratta di riattivare quel trattato di amicizia italo-libico firmato pochi mesi fa, fino ad ora lasciato in un tiretto e, secondo il Ministro La Russa che è un bellicista verbale sia contro che pro Gheddafi, ormai superato e non più efficace. Tutti i giornali dicono che dietro questa seconda piroetta in pochi giorni dell’Italia c’è “l’amico Putin”, che, ieri, ha parlato di discutibile “crociata” degli alleati contro Gheddafi. L’unica cosa certa è che altri 40 morti si sono registrati a Misurata, che la ribellione è sempre all’angolo ed ansimante e che a dividere i governi è la questione della leadership delle operazioni della missione ‘Odyssey dawn’ finora condotte sotto il comando di Usa, Francia e Gran Bretagna. L’Italia reclama il passaggio in tempi rapidi della catena di comando sotto l’ombrello della Nato. In caso contrario, minaccia di riprendere il controllo delle sette basi militari messe a disposizione della coalizione e di provvedere a un “comando separato”, secondo quanto dichiarato dal ministro degli Esteri, Franco Frattini. E, come nota Il Corriere, la querelle ha già provocato i primi danni, con la Norvegia che ha annunciato la sospensione della sua partecipazione alle operazioni militari (sei caccia F16 dispiegati nel Mediterraneo), finché non sarà chiarita la questione del comando, come ha chiarito il ministro della Difesa norvegese, Grete Faremo. E anche gli Usa sembrano in procinto di un passo indietro, dopo che Obama si è dichiarato pronto a passare le consegne al’Alleanza Nato, ma, anche in questo caso, con espressioni confuse e contraddittorie, tanto che il segretario alla Difesa, Robert Gates, ha parlato anche della possibilità di un “comando franco-inglese”, per poi aggiungere che sarebbe un errore per la coalizione prefigurarsi l’obiettivo di uccidere il leader libico. Anche Obama ha confermato che l’obiettivo delle operazioni è che “Gheddafi lasci il potere per proseguire le attività”, solo non precisato con quale futura leadership e strategia. Ora, è chiaro, che in questa situazione urge che Berlusconi chiarisca la posizione del governo in parlamento, fra oltranzisti dell’intervento e fautori del disimpegno. Un dibattito parlamentare è stato chiesto a gran voce dai capigruppo del Pd di Camera e Senato, Dario Franceschini e Anna Finocchiaro, che in comunicato scrivono: “Lo sviluppo della crisi libica e la portata dell’intervento promosso dalle Nazioni Unite. È necessario che il Parlamento nel suo plenum possa confermare il sostegno alla posizione del nostro Paese con una piena assunzione di responsabilità”. Rincara il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, che dice: “La confusione italiana regna nel cielo. Noi siamo disponibili a che l’Italia partecipi nei limiti del mandato Onu, non con i cosiddetti “volenterosi” che hanno solo lo scopo di fare in fretta e furia una soluzione che dà soltanto preoccupazioni ulteriori”. E da Reuters apprendiamo che anche la Lega Nord, che venerdì scorso non ha votato nelle commissioni parlamentari sull’impegno dell’Italia per far rispettare la risoluzione Onu per la Libia, ha chiesto un mandato diretto del Parlamento, poiché teme l’esodo dei libici verso l’Italia e possibili atti di terrorismo. Secondo il Carroccio, la Francia, la Gran Bretagna e gli altri paesi della cosiddetta “coalizione dei volenterosi”, impegnati nella missione in Libia, dovrebbero prendersi carico degli immigrati e dei profughi in fuga dalle coste africane a causa delle operazioni militari. E anche a loro Berlusconi dovrà rispondere in Parlamento. Si tratta di vedere quando e con quali argomenti, dentro una tale, totale confusione di approcci, implicazioni, strategie ed intenti. Ieri, durante una manifestazione elettorale per le prossime elezioni comunali a Torino, il presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi ha dichiarato che gli aerei italiani impegnati in Libia finora non hanno sparato e non spareranno nemmeno in futuro, ma fino a quanto potremo cavarcela così, con il gioco ci sto ma non troppo e, soprattutto, come arginare il sospetto che così facendo non si favorisca un accordo per il quale (come scrive La Padania, petrolio e gas saranno ripartiti fra Gran Bretagna e Francia ed i profughi invece fra le regioni italiane?

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