In memoria di Noureddine Adnane padre di famiglia morto per il lavoro

Noureddine Adnane è il giovane ambulante marocchino che ai primi di febbraio 2011, a Palermo, si è dato fuoco, come estrema e disperata protesta contro i ripetuti sequestri della sua merce e della sua dignità. Pare sia morto perchè volava lavorare! Aveva un regolare permesso di soggiorno e un’altrettanto regolare licenza di vendita. Il regolamento […]

Noureddine Adnane è il giovane ambulante marocchino che ai primi di febbraio 2011, a Palermo, si è dato fuoco, come estrema e disperata protesta contro i ripetuti sequestri della sua merce e della sua dignità. Pare sia morto perchè volava lavorare! Aveva un regolare permesso di soggiorno e un’altrettanto regolare licenza di vendita. Il regolamento comunale prevede però che gli ambulanti non possano fermarsi più di un’ora in un certo luogo della città, e per questo una più che meticolosa pattuglia di vigili urbani ha provveduto contro di lui a quattro sequestri in pochi giorni. Alla fine Adnane (da dieci anni in Italia, moglie e figlia in Marocco) non ha retto più: ha minacciato di darsi fuoco, tra l’incredulità e l’indifferenza dei presenti. E lo ha fatto. Si è tolto la vita. Come tanti altri giovani non solo in Nord Africa, non solo per la rivoluzione dei gelsomini, non solo per la libertà. Per sfamare una famiglia. Non vi è nulla da capire nel caso di Adnane: tutto è chiaro. Era un immigrato regolare. Come tanti altri. Si era stabilizzato nel nostro Paese per lavorare e diventare Italiano, magari insieme a tutta la sua famiglia. Un caso raro, direte. Ma, come spesso accade ai giovani residenti disoccupati Italiani che si scoprono da un giorno all’altro “stranieri” in Patria perchè non sanno cosa fare della propria vita, a volte cercando lavoro si può finire nel tritacarne di meccanismi inerziali di eliminazione dei più deboli, che procedono con grande efficacia, meccanicamente, politicamente e spietatamente. Agiscono nell’indifferenza e nell’impazienza dei più, tollerati e spesso giustificati da una correlativa ansia di affermazione e talvolta di prevaricazione del prossimo. C’è un’intolleranza latente che cerca ogni occasione per precipitare in gesti di discriminazione concreta (tra Italiani, figurarsi contro lo straniero, non oso immaginare cosa potrebbe accadere contro gli abitanti di un altro Mondo) e tanto più in contesti sociali del tutto normali. Vi sono pratiche istituzionali incapaci di cogliere con intelligenza gli obiettivi primari, e comportamenti di ruolo che ne mettono in atto i tratti più aggressivi e arroganti. Vi sono i segni di un razzismo “minore” tra Italiani che non ha bisogno di imprenditori politici espliciti, perché ormai è capace di procedere da sé, burocraticamente e anonimamente, nelle pieghe della “normalità” dei comportamenti quotidiani. Nel ricordare questo padre di famiglia, non accontentiamoci del cordoglio sincero. Anche se siamo in guerra su mandato delle Nazioni Unite, cerchiamo di ricostruire le condizioni per una nuova (e minima) coscienza civile qui in Italia, in Europa, nel Mediterraneo e nel mondo. Per evitare altri roghi più caldi. Per evitare che il nostro mondo vada in pezzi.

Nicola Facciolini

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