Sono le 15, (le 14 in Italia, nda) quando la calma di Gerusalemme viene rotta dall’esplosione. Gli autobus 73 e 14 della compagnia di trasporti pubblici Egged sono lì, sul ciglio della strada, con i vetri rotti ed i sedili sventrati. La Polizia chiude l’area attorno all’Intercontinentale Convention Center, nei pressi della stazione centrale e deposito dei bus di Gerusalemme. Il fischio delle ambulanze risuona nella città. Il bilancio è pesante: una donna di 59 anni muore per le ferite riportate. Trentanove i feriti: 4 in modo grave. La tensione torna ai massimi livelli. Nella borsa che è stata fatta esplodere a distanza con un telefono cellulare c’erano tra l’uno e i due chili di esplosivo. “La maggior parte delle vittime sono persone tra i 15 e i 30 anni”, dichiara poco dopo Ovadia Shemesh, direttore del Medical Center di Gerusalemme.
Uno studente di 29 anni, Zimerman Yair, arrivato all’ospedale Shaare Zedek, ha descritto ai giornalisti presenti la scena che si è trovato di fronte. “Mi trovavo sulla linea degli autobus 75. Ho sentito una forte esplosione e ho chiesto al conducente di andare avanti, perché qualcosa era successo. Quando ho capito che c’era stata una esplosione ho chiamato i paramedici. Alcune persone non potevano essere curate sul posto e sono state portate via immediatamente”. Shlomo Steiner, un dipendente della stazione degli autobus ha raccontato al sito Ynet le prime immagini che si è trovato davanti dopo il botto: “Ho sentito un forte colpo. Mi sono affacciato alla finestra e ho visto uno studente della Yeshiva correre con le gambe che gli prendevano fuoco. La gente cercava di aiutarlo a spegnerle. Molte persone erano sdraiate a terra. Dopo pochi minuti sono arrivate le ambulanze”. Yonatan Shakiba, automobilista si trovava sul luogo dell’esplosione. Ha detto di aver “abbandonato la macchina immediatamente e un ragazzo è corso verso di lui. Aveva ferite su tutto il corpo. Una donna ultra ortodossa l’ha aiutato e subito dopo i medici gli hanno messo un laccio emostatico. Vicino agli autobus c’erano feriti e sangue ovunque”.
Scene di ordinario terrore che rischiano di far precipitare il già zoppo processo di pace e aprire un nuovo conflitto tra israeliani e palestinesi. A far capire che la situazione rischia di peggiorare è stato il ministro degli Interni Eli Yishai: “C’è un escalation di violenza su più fronti – ha detto alla stampa – nel Sud (al confine con Gaza, nda) e a Gerusalemme. Gli ultimi eventi ci richiedono di prendere azioni. Se non lo faremo perderemo il nostro potere deterrente. La serie di attentati, da Itamar ad oggi – ha detto alla stampa – senza dubbio ci impongono di considerare operazioni anti-terrorismo”. “Non sarà possibile – ha proseguito – astenersi dal lanciare operazioni mirate. Nessuna decisione concreta è stata presa per ora, ma peseremo le diverse opzioni”. Se sia compresa anche quella militare e soprattutto dove, non è dato sapersi, ma l’escalation di violenze rischiano oramai di precipitare.
Nonostante le autorità israeliane si siano affrettate a dichiarare che l’attentato non è connesso con i bombardamenti di Gaza, è difficile crederci.L’asticella della tensione sale sempre di più. Sabato, dall’enclave palestinese controllata dagli islamico radicali di Hamas, miliziani di vari gruppi operanti sul territorio avevano sparato 50 colpi di mortaio sul Sud di Israele.
La controffensiva dello Stato ebraico non si è fatta attendere. Colpi di mortaio e caccia bombardieri hanno preso di mira depositi di armi. Martedì, un drone che sorvolava Gaza City, sbaglia mira e centra in pieno, per errore, una casa. Quattro civili, tra cui due bambini, morti e oltre 10 feriti. Qualche ora dopo 3 miliziani della Jihad islamica vengono uccisi dal fuoco israeliano a ridosso del confine nella parte Est. Mercoledì, dopo che un missile grad sparato dalla Striscia ha ferito un cittadino israeliano nel centro di Beersheva, le Forze di difesa israeliane hanno ripreso a colpire la roccaforte di Hamas con tiri di mortaio. Una spirale di violenza che sancisce definitivamente la fine della tregua, durata due anni anche se con alti e bassi, tra Israele e Hamas.
Anche a Gerusalemme la tensione è alta da giorni. Dopo l’attacco palestinese alla colonia illegale di Itamar, l’esercito israeliano ha chiuso per 4 giorni la Cisgiordania. Facendo lievitare la rabbia dei palestinesi. Il governo israeliano, come ritorsione all’attentato, ha riavviato le costruzioni in Cisgiordania. Il 20 marzo, le Nazioni Unite, hanno puntato il dito contro l’esecutivo guidato da Netanyhau, per la demolizione di case palestinesi, sia nei Territori che a Gerusalemme Est. Secondo i dati, i bulldozer israeliani dall’inizio del 2011 avrebbero abbattuto 70 case, lasciando senza tetto 105 palestinesi, di cui 43 sotto i 18 anni.
Lunedì scorso la Polizia israeliana è entrata nella moschea Al-Aqsa per scortare alcuni coloni di estrema destra in un tour del sito. Quattro palestinesi che hanno provato ad opporre resistenza sono stati arrestati. Nella notte, nel quartiere a maggioranza araba di Silwan, violenti scontri sono scoppiati tra abitanti palestinesi e coloni che vivono nell’area. La Polizia, schierata a difesa degli occupanti, ha sparato proiettili di gomma verso i giovani che lanciavano sassi, senza muovere un dito sull’altro fronte. Ieri, prima dell’attentato, ragazzi palestinesi avevano scatenato una sassaiola nei dintorni della città vecchia. Due erano stati arrestati e 5 feriti. Piccoli episodi e provocazioni che, giorno dopo giorno, contribuiscono ad aumentare la tensione e lasciare spazio al terrore vero. Quello delle bombe.
L’Autorità Nazionale Palestinese ha condannato l’attentato. Ma israeliani e palestinesi sono di nuovo sul piede di guerra.
Andrea Bernardi
(inviato di Unimondo)
Foto: ©TMnews
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