Uscita di scena con ammonimento

Scrittore, saggista, traduttore, editore, ma soprattutto critico teatrale, Franco Quadri è morto la notte del 26 marzo scorso, all’età di 74 anni. Prolifico operatore culturale, ha diretto la Biennale di Venezia dal 1983 al 1986 ed è stato presidente della giuria del Premio Riccione,  dal 1995 al 2007. Nel 1979 aveva fondato il Patalogo,  il […]

Scrittore, saggista, traduttore, editore, ma soprattutto critico teatrale, Franco Quadri è morto la notte del 26 marzo scorso, all’età di 74 anni. Prolifico operatore culturale, ha diretto la Biennale di Venezia dal 1983 al 1986 ed è stato presidente della giuria del Premio Riccione,  dal 1995 al 2007. Nel 1979 aveva fondato il Patalogo,  il più dettagliato annuario dello spettacolo in Italia, che viene pubblicato a stagione teatrale terminata e che raccoglie informazioni e fotografie sulle messinscene dell’anno trascorso e notizie sui maggiori festival teatrali italiani e stranieri. Aveva anche creato la casa editrice Ubulibri (nel 1971), il Premio Ubu (nel 1979), l’École des Maîtres (nel 1990) e  stato tra gli organizzatori del Premio Europa per il Teatro, collaborando con l’Unione dei Teatri d’Europa. Della sua attività di traduttore, l’ultimo lavoro è stato La compagnia degli uomini, di Edward Bond per Luca Ronconi, che lo ricorda come “un prezioso punto di riferimento”, ma soprattutto “un grande amico”, un’opera che racconta un gioco al massacro tra padre e figlio (adottivo),  che è anche una lotta senza quartiere tra uomini d’affari senza scrupoli, sullo sfondo di un’economia malata e perniciosa: un dramma inconfutabilmente odierno, di un Autore forte, spietato e intrigante. Con un occhio anche Con l’occhio a Re Lear e ai Karamazov, la sua traduzione, mette in scena sentimenti oscuri, meccanismi morbosi e situazioni di allarmante attualità. Negli ultimi tempi Quadri scriveva per La Repubblica (dopo aver collaborato per anni a Panorama), con l’ultima recensione, scritta poco prima del ricovero in ospedale, dedicata al Misantropo di Molière,  messo in scena in gennaio al Duse di Genova ed una conclusione che riassume bene, come in una sorta di testamento, la visione che lui aveva (e si era formata) del teatro,  nella sua accezione più alta e della sua capacità di parlare all’uomo moderno. Si chiede (e ci chiede) Quadri, cosa saremmo, se ci mantenessimo puri perché isolati e conclude che, forse, non saremmo nulla, indicando la necessità di trovare nuove forme di dialogo, sapendo che “la perfetta ragione fugge ogni estremo e vuole che si sia savi con moderazione”. Quadri, attraverso Molière, ci insegna la necessità di essere se stessi,  in un mondo in cui prevalgono le convenzioni e le formalità, dove non è possibile coltivare sentimenti veri, come l’amicizia, dove si è sempre in rete e, sempre più, drammaticamente isolati.  In questa, come in altre opere e recensioni, Quadri ci ammonisce contro ogni schematismo facile e superficiale, ci ammonisce a diffidare di chi ama descrivere il mondo e chi vi abita usando coppie di opposti: vero falso, bene male, giorno notte, guerra pace, applicano il pensiero dualistico che semplifica il mondo e l’agire. Poichè questo meccanismo non tiene conto che i fenomeni sono rappresentabili in misura maggiore con sfumature che attraverso la contrapposizione bianco o nero ed ogni dualismo estremizza i rapporti, che divengono perciò una categorie fisse e inamovibili, imprigionando così il pensiero.

Carlo Di Stanislao

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