Dopo “Guardie e ladri” e “La grande guerra”, terzo appuntamento, oggi, come ogni martedì alle 21,30, con aperitivo prima della proiezione (a partire dalle 20 e 30), della rassegna cinematografica CineMario, dedicata a Mario Monicelli, che si svolge in quel nuovo agorà cittadino che è “L’asilo occupato”. Il titolo di stasera è una dei più noti del grande regista toscano: “L’armata Brancaleone”, del 1966, con Vittorio Gassman, Gian Maria Volontè, Enrico Maria Salerno, Maria Grazia Buccella, Catherine Spaak e Barbara Steele, racconto picaresco ed irresistibile, che nacque, come ricordava Monicelli, da due cose: tre paginette che Scarpelli buttò giù, un dialogo tra due contadini medioevali che parlavano di donne e da un film fallito, Donne e soldati (1955) di Luigi Malerba e Antonio Marchi (fra l’altro c’era di mezzo anche Ferreri), di cui il regista vide soli 150 metri che lo colpirono molto. Ne risulta un film che comprende Kurosawa e Calvino, una rilettura della storia in chiave nazional-popolare, con una parlate mista (invenzione di Age & Scarpelli), una sorta di scampagnata medioevale di gusto anarchico e becero con i temi tipicamente monicelliani del gruppo dei piccoli perdenti e del senso della morte. Nell’Italia dell’XI secolo, Brancaleone da Norcia, unico e spiantato rampollo di una nobile famiglia decaduta, dotato però di una non comune eloquenza ed animato da sane virtù e cavallereschi principi, guida un manipolo di miserabili e coloriti seguaci alla presa di possesso del feudo di Aurocastro, secondo quanto dettato in una misteriosa pergamena imperiale che gli stessi miserabili gli porgono e che affermano di aver rinvenuto in modo del tutto lecito e casuale, in realtà rubata al suo proprietario: un cavaliere aggredito e creduto morto. Attraversando tutta la penisola, viene coinvolto in diverse avventure: entra in una città apparentemente deserta dando licenza di saccheggio, salvo scoprirla poi infestata dalla peste, dopodiché si aggrega al monaco Zenone, che, a capo di un gruppo di pellegrini, è diretto a Gerusalemme per unirsi alla lotta per la liberazione del Santo Sepolcro, salvo poi riprendere la strada di Aurocastro dopo che Zenone precipita in un dirupo attraversando un ponte sospeso precario (“cavalcone” nel film) combatte interminabili duelli cavallereschi, incontra un principe bizantino diseredato che si aggrega all’armata e tenta di estorcere denaro alla propria famiglia, salva una giovane promessa sposa per poi scoprirla tutt’altro che illibata. Giunta al feudo da conquistare, gli abitanti del luogo si affrettano a consegnargli le chiavi del castello prima di scappare lasciando l’armata sola a fronteggiare l’arrivo dal mare e l’attacco da parte dei pirati Saraceni. Brancaleone e il suo piccolo esercito sono fatti ben presto prigionieri ma vengono liberati da un misterioso personaggio che si rivela essere il cavaliere erroneamente creduto morto all’inizio della storia. Questi, il vero e legittimo destinatario della pergamena, condanna Brancaleone e i suoi armigeri al supplizio come ladri e usurpatori ma proprio quando la sentenza sta per essere eseguita arriva insperatamente in loro aiuto il redivivo monaco Zenone, che, sempre a capo del gruppo di pellegrini diretto a Gerusalemme, costringe i cavalieri a liberarli per unirsi alla lotta per la liberazione del Santo Sepolcro. I nostri disperati sono ben felici di unirsi al gruppo per scampare alla morte e cercare la gloria in Terra Santa, partecipando alle Crociate. L’armata Brancaleone alla sua uscita nelle sale diviene subito campione di incassi, raccogliendo i consensi entusiastici ed unanimi della critica e collezionando numerosi premi internazionali. Nel film, i temi cari al regista, quali la rappresentazione comica dei perdenti e delle loro vicende personali, la loro voglia di riscatto, l’ineluttabilità del loro fallimento e della morte, trovano l’espressione cinematografica più compiuta e matura. Torna, dopo I soliti ignoti e La grande guerra, il tema dell’amicizia virile, che nel successivo Amici miei si colorerà di sottili sfaccettature esistenziali. In questa pellicola l’amicizia, il vincolo tra uomini, orienta, cementa e ispira il gruppo di perdenti verso la realizzazione di una impresa superiore, mediante la quale venire riabilitati e passare alla storia. Il film è un’opera corale di consistente equilibrio formale, ricca di elementi originali e di trovate che successivamente ispireranno addirittura dei generi e dei canoni ancora rintracciabili nel cinema italiano contemporaneo e nella cultura popolare del nostro paese. Per tutti questi fattori, non esclusivamente cinematografici, il film è riconosciuto da molti come un capolavoro. Alla sceneggiatura collabora in modo determinante lo stesso regista, che con Agenore Incrocci e Furio Scarpelli, binomio artistico meglio conosciuto come Age e Scarpelli, dà vita ad una rilettura fresca ed originale dell’Italia medioevale, creando quello che sarà il colpo di genio del film: l’invenzione di quell’idioma immaginario, a cavallo tra il latino maccheronico, la lingua volgare medievale e l’espressione dialettale, che caratterizzerà tutti i personaggi. Terzo campione d’incassi della stagione 1966-67, ha registrato un successo costante, da creare con il titolo un vero e proprio modo di dire. La rassegna prevede altri quattro incontri e si chiuderà il 26 aprile prossimo. Questo di stasera forse ci riguarda più di altri a noi aquilani e non solo per il titolo, ma per il modo con cui tutto si muove dentro e fuori da noi in questi due anni dal terremoto. Gruppi sgangherati di protesta, divisioni su tutto, aiuti che non arrivano, richieste contraddittorie, confuse ed appena abbozzate. Siamo di fatto una città precipitata in una medioevo famelico e straccione, dove sono in molti a capeggiare gruppi con poche idee e per di più confuse e dove, spesso, chi dice che vuole “salvarci dai turchi”, nasconde ben più pericolosi proponimenti. Lo scorso 3 giugno, Monicelli aveva presentato agli studenti dell’Istituto di Stato per la Cinematografia e la televisione “Roberto Rossellini” di Roma ed alla stampa convocata per l’occasione la sua ultima opera da regista: “La nuova armata Brancaleone”: uno spaccato dell’Italia di oggi, delle sue speranze, delle sue illusioni, dei suoi vizi, delle sue virtù e un’ipotesi su un futuro prossimo venturo, che, rivisto oggi, da la sensazioni che si parli dei disagi e delle carenze anche di noi aquilani, con una ribellione ed una protesta a ondate successive, rabbiose, ma poco intelligenti e per nulla coordinate.
Carlo Di Stanislao
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