Oltre alle drammatiche cifre sul numero dei morti travolti dallo Tsunami che ha colpito 650 chilometri di costa giapponese, ora le conseguenze del disastro nucleare di Fukushima sono pronte a lasciare segni indelebili e al momento invisibili, non solo su quella ampia fetta di territorio giapponese che per Greenpeace non è ancora stata adeguatamente evacuata. L’Associazione per i Popoli Minacciati (Apm) è, infatti, seriamente preoccupata per l’inquinamento radioattivo del Pacifico.
Se le particelle radioattive emesse dalla centrale nucleare giapponese di Fukushima sono state in parte spinte dal vento verso l’oceano Pacifico, con il momentaneo e legittimo sollievo della popolazione locale, “Le dichiarazioni degli scienziati giapponesi – ha spiegato mercoledì scorso Hugo Senoner di Apm – secondo cui la contaminazione dei pesci non sarebbe poi tanto grave visto che la radioattività si concentrerebbe nelle spine che l’uomo non mangia, non sono solo un’irresponsabile minimizzazione, ma sono addirittura criminali”. Migliaia di tonnellate di pesce, infatti, incluse le spine vengono ogni anno trasformate in farina di pesce da cui a sua volte si ricavano alimenti per animali, ma anche i famosi bastoncini, “tanto che – ha ricordato Legambiente – il portavoce dell’esecutivo Yukio Edano non esclude di valutare la sospensione della vendita di pesce (dopo quella di latte e verdure), se le concentrazioni di radioattività dovessero aumentare ancora”.
Ad oggi, secondo fonti Tepco l’ente gestrice dell’impianto, un tasso di iodio radioattivo 3.355 volte superiore alla norma è stato rilevato nell’acqua di mare prelevata a 300 metri a sud della centrale nucleare di Fukushima. Si tratta del livello più alto di iodio 131 rilevato dall’inizio dell’emergenza, scattata l’11 marzo scorso dopo il sisma e lo tsunami che hanno colpito il Giappone, danneggiando l’impianto nucleare.
Ma non c’è solo il legittimo pericolo di una contaminazione alimentare su scala mondiale. Le tesi scientifiche sulla presunta rapida diluizione delle particelle radioattive in acqua di mare non tranquillizzano comunque gli abitanti nativi delle isole del Pacifico che in percentuali notevolmente superiori alla media lamentano gravi problemi di salute, conseguenza di decenni di test atomici nel Pacifico e che, a quanto fu loro detto, non avrebbero dovuto comportare alcun pericolo vista la bassa radiazione.
”Le popolazioni indigene del Pacifico si considerano a tutti gli effetti vittime dell’era nucleare – ha continuato Senoner – Mai nessuno ha chiesto loro se erano favorevoli a questo tipo di produzione energetica, ma ciò nonostante ne subiscono tutte le conseguenze. Così dopo il lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki con le loro conseguenze e in seguito a decenni di test atomici eseguiti nel Pacifico da USA e Francia, “l’Oceano Pacifico si è trasformato in una cloaca radioattiva dalle conseguenze incalcolabili”. Non si tratta in questi casi di catastrofi fortuite, che Legambiente ricorda “sono oltre un centinaio, venti dei quali molto gravi, solo negli ultimi 50 anni” (.pdf), ma di esperimenti deliberatamente provocati che in tutto il globo arrivano all’incredibile cifra di 2.054.
Non è un caso quindi se, secondo le informazioni in possesso dell’Apm, il Pacifico è seriamente minacciato da almeno quattro bombe nucleari ad orologeria: “la Francia ha eseguito test atomici sulle isole Moruroa e Fangataufa (1966-1996) mentre gli USA hanno scelto per lo stesso scopo gli atolli Bikini e Enewetok (1946-1958). Tutte e quattro le isole, in cui vivono comunità indigene o che vengono utilizzate con regolarità dalle stesse, ospitano giganteschi depositi di scorie radioattive poco sicuri e gestiti senza che vi siano controlli indipendenti”.
Nelle zone dei test atomici francesi e nella Micronesia ex-statunitense le vittime della radioattività si sono unite in associazioni di lotta. Per decenni è stato loro mentito sul proprio stato di salute mentre la percentuale di malati di tumore e di malformazioni nei neonati andava assumendo valori eccezionalmente alti. Per le popolazioni indigene del Pacifico non è mai stato possibile tutelarsi dalle radiazioni che secondo gli scienziati non avrebbero dovuto causare loro alcun danno.
Il mare è per gli Indigeni allo stesso tempo fornitore di cibo, farmacia e area ricreativa. In nessun altro luogo del mondo, l’uomo vive in tale simbiosi con il mare, e quindi con una radioattività subita, come nelle isole del Pacifico. Così Fukushima, dopo aver lasciato in eredità al popolo giapponese le maggiori conseguenze, ne aggiungerà altre a quelle già “pacificamente radioattive” dell’Oceano e dei suoi popoli.
Alessandro Graziadei-Unimondo
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