Sono passati due anni dal tragico 6 aprile 2009 quando la terra tremando violentemente per una manciata di secondi ha seminato qui a l’Aquila pianto e morte, distruzione e smarrimento. Solo una manciata di secondi e sembrava un’eternità in quella notte tra la domenica delle palme e il lunedì santo! Ripensando al nostro terremoto viene naturale chiedersi: e che sarebbe successo se il sisma fosse stato violento come quello in Giappone e fosse durato, come laggiù, quasi 7 minuti?
Meglio non pensarci. Anzi no, occorre pensarci per renderci conto della fragilità della nostra esistenza, per toccare con mano l’incertezza delle nostre sicurezze e per saper apprezzare il valore del tempo che ci viene dato come pure per riconoscere umilmente l’importanza di tutto ciò che abbiamo e che in un istante può tutto finire. Sotto le macerie e per sempre. A due anni da quel giorno triste, le ferite nei familiari delle vittime restano aperte e doloranti. Le macerie stentano ad essere rimosse del tutto e gli edifici lesionati e “imbracati” da impalcature di sicurezza, specie nel centro storico, stanno ad aspettare che la vita riprenda. Che la ricostruzione diventi realtà condivisa. Si vorrebbe voltare pagina, ma ancora è faticoso poterlo fare. Eppure dobbiamo non fermarci. La speranza ci trascina verso il futuro e chiede a tutti di rimboccarsi le maniche per la ricostruzione della città. Ricostruzione materiale certamente, ma non solo. Ricostruzione soprattutto umana e sociale, spirituale e religiosa.
Come sarà l’Aquila dei prossimi decenni? La domanda è legittima e forse è quella giusta da porsi in questo secondo anniversario del sisma, che per volere dei familiari delle vittime si svolge in un clima di sobria e sentita partecipazione popolare. Il terremoto ha segnato l’inizio di una nuova era della nostra storia aquilana. E da quel giorno sono già passati due anni. L’Aquila andrà morendo un po’ per volta o rinascerà più bella di prima come amiamo ripetere tutti, con un po’ di retorica, in ogni circostanza? Motivi per lasciarsi prendere dallo sconforto ce ne sono tanti: ritardi burocratici, interessi privati che prevalgono sul bene comune, progetti che stentano a diventare operativi, mancanza di coordinamento e scontri tra istituzioni e componenti politiche della città, come la cronaca quotidiana ampiamente registra. Crisi di lavoro e sofferenza di tante famiglie in serie difficoltà; giovani che se ne vanno ed anziani che non si riconoscono più nelle precarie condizioni nelle quali versano. Insomma problemi e preoccupazioni. Se però questi sono motivi per cedere allo scoraggiamento, la speranza è più forte e in questa circostanza, nel ricordo delle vittime, deve prevalere su tutto. Mi sembra di percepire il silenzioso grido che viene dalle 309 vittime del sisma. E’ un invito a lasciare da parte logiche d’interesse personale e beghe di ogni tipo per unire gli sforzi in una sinergia di intenti e di cuori tra tutti coloro che amano veramente questa città. Il modo migliore per commemorare chi è rimasto sotto le macerie è togliere le macerie al più presto e, superando ogni intralcio burocratico, ridare volto di vita alle case. Far circolare la speranza. Ma come? Offrendo ciascuno il proprio contributo sapendo che solo io posso farcela, ma non posso farcela da solo.
Prego per questo in questi giorni, convinto che Iddio toccherà il cuore di tutti noi e il miracolo della speranza diventerà gioia condivisa per una città che riparte e corre verso un futuro migliore per tutti.
Mons.Giovanni D’Ercole
Vescovo ausiliare dell’arcidiocesi dell’Aquila
Lascia un commento