Non solo ghiaccio e roccia, in passato sulle comete c’era anche acqua liquida. È il risultato delle analisi condotte dai ricercatori dell’Università dell’Arizona sui campioni della cometa Wild 2, raccolti dalla sonda Stardust nel 2004 e giunti a terra in una capsula, due anni più tardi. Dal momento del loro arrivo, i preziosi grani di polvere sono stati scrupolosamente studiati da gruppi di scienziati di varie parti del mondo fra i quali anche i ricercatori italiani dell’INAF, presso i laboratori degli Osservatori di Napoli e Catania.
I recenti risultati ottenuti dal team statunitense rivelano un retroscena inaspettato sul passato delle comete, tanto da mettere in crisi la definizione di “palle di neve sporca” con la quale ci si era sempre riferiti a questi oggetti. “Nei nostri campioni abbiamo trovato minerali che si sono formati in presenza di acqua liquida”, spiega Eve Berger, che ha condotto lo studio. “A un certo punto sulla cometa devono essersi formate delle sacche d’acqua”. Significa che questi oggetti, nel corso del tempo, hanno subito dei riscaldamenti e che su di essi, in presenza di acqua, si sono innescate reazioni chimiche che hanno portato alla formazione del minerale in questione. Si tratta di un particolare tipo di cubanite, la cui esistenza implica che la temperatura non ha mai superato i 210 gradi Celsius.
Questo vuol dire che se da una parte la Wild 2 ha sperimentato periodi “tiepidi”, dall’altra non ha mai raggiunto temperature superiori ai 210 gradi, altrimenti non conterrebbe cubanite. Secondo Berger, il riscaldamento può avere due diverse spiegazioni. Il calore potrebbe essere stato generato da piccoli impatti con altri corpi: avrebbero generato piccole fosse d’acqua dove la cubanite si sarebbe formata abbastanza in fretta, anche nel giro di un solo anno. Questo potrebbe essere successo in qualsiasi momento della storia di Wild 2. Il decadimento radioattivo di elementi presenti nella cometa stessa, rappresenta invece l’ipotesi alternativa che però impone che la formazione dei minerali sia avvenuta in tempi molto remoti.
In ogni caso, grazie a questo studio, che sarà pubblicato sulla rivista “Geochimica et Cosmochimica Acta”, possiamo fissare un intervallo delle temperature sperimentate dalla Wild 2: è stata sufficientemente tiepida da permettere la presenza di acqua liquida, ma non si è mai scaldata oltre i 210 gradi. Non sarebbe stato possibile giungere a queste conclusioni, senza dubbio determinanti per indagare nella storia del Sistema solare, se non ci fosse stata la possibilità di analizzare in laboratorio i campioni di Wild 2: per questo motivo gli autori della ricerca sottolineano l’importanza di ripetere missioni come quella della fruttuosa Stardust.
Elena Lazzaretto-Inaf
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