Ha abdicato l’11 febbraio ed è stato colto da infarto martedì scorso, durante un interrogatorio dinanzi ad un procuratore del Sinai del Sud. Ora l’’ex presidente Hosni Mubarak, definito l’ultimo faraone d’Egitto, è stato posto agli arresti per 15 giorni, assieme ai due figli, per esigenze investigative nell’inchiesta finalizzata ad evidenziare eventuali responsabilità nella brutale repressione delle proteste contro il regime, iniziate il 25 gennaio scorso e che ebbero il loro epicentro in piazza Tahrir. L’annuncio del provvedimento restrittivo e’ stato dato da fonti del ministero della Giustizia, citate dall’emittente statale ‘Nile Television’. Di fatto per Mubarak si tratterà di arresti in ospedale, giacché è stato ricoverato a Sharm el-Sheikh, dove risiede attualmente, dopo l’attacco cardiaco. Al momento il deposto Rais, quasi 83enne, rimane in terapia intensiva, mentre i figli Alaa e Gamal , sarebbero stati trasferiti nel penitenziario di Tora, al Cairo, dove dovrebbero rimanere per tutta la durata della detenzione. Sul clan dei Mubarak incombono anche accuse di corruzione, peculato, malversazione ed esportazione illegale di valuta: tutti addebiti che l’ex uomo forte dell’Egitto ha seccamente respinto, dicendosi anzi pronto a collaborare con gli inquirenti per dimostrare di non possedere conti bancari o altri beni all’estero. L’Egitto è stato l’unico paese nella storia della Lega Araba a essere sospeso a causa della politica del Presidente al-Sādāt, che firmò un Trattato di pace con Israele, e che però fu riammesso nella Lega – otto anni dopo l’assassinio di Sādāt (6 ottobre 1981) – nel 1989, sotto la Presidenza Mubārak. La sede principale della Lega è stata ricollocata nel medesimo complesso di edifici al Cairo. Tuttavia Mubārak cominciò a perdere sostegni a metà degli anni ’90. La crisi economica dei primi anni ’90 fu imponente. Secondo l’Indice che valuta l’attenzione garantita ai Diritti Umani, l’Egitto occupa il 119º posto su 177 nazioni e viene valutato con un indice di 0,659 su 1. Un duro colpo alla credibilità di Mubārak intervenne allorquando circolarono notizie sul fatto che suo figlio ‘Alā’ era stato favorito dal governo nei processi di privatizzazione avviati dal padre. L’organizzazione Transparency International (TI), che si occupa di valutare tra l’altro l’indice di corruzione politica di un Paese, colloca l’Egitto al 70º posto su 159 nazioni. Dopo l’inizio delle sommosse popolari del 2011, innescate dai sommovimenti iniziati in Tunisia, il rais è stato sottoposto a forti pressioni da parte dei manifestanti e di alcuni governi esteri perché rimetta il proprio mandato. La rivolta si è fortemente inasprita, prolungandosi in giorni di violenti scontri tra esercito e manifestanti e arrivando a costringere alle dimissioni il presidente l’11 febbraio 2011. Ieri, intanto, Talaat Sadat, esponente dell’opposizione egiziana e nipote dell’ex presidente egiziano, Anwar Sadat, e’ stato nominato nuovo leader del Partito Nazionale Democratico (Pnd), guidato fino a pochi mesi fa dall’ex rais deposto. “Libererò il partito da tutti quegli esponenti che hanno portato corruzione nella politica nazionale”, ha assicurato Sadat, citato dal sito web del settimanale ‘Youm’. Da noi, mentre Ruby, supposta nipote del rais deposto, si gode la meritata e faticata (sul campo) popolarità, acquisendo un titolo di soggiorno per meriti speciali, i parlamentari della maggioranza fanno quadrato e tirano sino a notte fonda per incassare, con il processo breve, lo scudo protettivo nei confronti del leader, anche se questo significherà la cancellazione di migliaia di processi come quella sul disastro di Viareggio e la Casa dello Studente a L’Aquila. Nel frattempo centinaia di morti senza nome annegano a largo delle coste italiane nell’indifferenza generale e il pressapochismo giuridico e politico con il quale si è affrontato l’esodo di massa di migliaia di disperati, cosa sconcertante, non meno dell’ultima trovata rivoluzionaria di concedere un permesso di soggiorno temporaneo. Un permesso teso a canalizzare l’esodo oltralpe e consentire di fatto una legale cacciata foera di ball italo padane dei quarantamila tunisini pronti a riversarsi nei respingenti balloon gallici. Come scrive Lucio Barletta, presidente dell’Associazione SOS Diritti, la disperazione di migliaia di esseri umani non si affronta con beceri annunci di acquisto di lussuose ville lampedusane o promesse di un futuro televisivo da showgirl ma con una legislazione pianificata, seria e condivisa, esplicitamente ispirata ad una tutela degli inviolabili diritti costituzionali fondamentali non più disciplinabili con i soliti criteri di emergenzialità o, ancor peggio, coll’ancestrale istinto di difendere primitivi egoismi nazionalistici. Dopo una seduta notturna carica di tensione con le critiche della maggioranza alla presidenza di Rosy Bindi, stamani di buon ora è ripreso alla Camera l’esame del provvedimento per salvare il premier dai processi. In avvio di seduta polemica del Pd contro il presidente della Camera Gianfranco Fini. Il deputato Roberto Giachetti ha attaccato il leader del Fli per le sue recenti decisioni sull’andamento dei lavori. “Da quando la Lega e il Pdl l’hanno criticata, lei si è comportato come il peggiore presidente” ha detto Giachetti che ha invece difeso l’operato di Rosy Bindi. Immediata la difesa di Fini da parte del leader Udc Pierferdinando Casini: “Sono allibito di fronte all’intervento di Giachetti. Lei presiede impeccabilmente, mentre ciascuno la vuole tirare dalla propria parte. Il suo intervento, Giachetti, è completamente fuori luogo perchè dimostra una concezione del parlamento per cui il presidente si difende solo se fa ciò che ci fa comodo, mentre il presidente deve essere terzo”. Alessandro Maran, vicepresidente dei deputati del Pd, intervenendo a Omnibus su La7, ha detto: “Quasi vent’anni trascorsi per tentare di risolvere esclusivamente i problemi di Berlusconi e ancora ieri, oggi e domani, sono all’ordine del giorno del Parlamento la prescrizione breve, il processo lungo, le intercettazioni… Altro che riforme liberali, altro che rivoltare L’Italia come un calzino, altro che riforma epocale della giustizia o scossa all’economia”. Intanto la conferenza dei capigruppo che si è riunita stamattina alla Camera, ha stabilito che l’opposizione non avrà un ampliamento dei tempi di intervento in aula, dopo che ieri Rosy Bindi, in qualità di presidente, aveva concesso 15 secondi di tempo per interventi a titolo personale ai deputati della minoranza. Il voto finale è previsto stasera alle 20 e l’esito appare scontato, anche se la maggioranza non è mai andata oltre i 310 voti, nonostante tutti precettati, compresi i ministri. Non è tranquillo, comunque, il solitamente olimpico Gianni Letta, che teme fibrillazioni nella maggioranza (da parte dei Responsabili ancora a digiuno di poltrone) e nel PdL (con le diverse anime in lotta tra loro). Faide interne che si spera sedate dalla tregua armata imposta dal Cavaliere, ma che potrebbero riesplodere nel corso delle 160 votazioni ancora mancanti. E mentre a Montecitorio la politica celebra se stessa e Berlusconi manifesta quello che realmente alla politica chiede, si legge di un altro sbarco tragico a Pantelleria, con due donne morte a bordo di un barcone con duecentocinquanta migranti, giunti stamani nel porto dell’isola siciliana. Quasi contemporaneamente, una motovedetta della Guardia di Finanza ha soccorso un barcone con 105 tunisini che stava affondando a poche miglia da Lampedusa, dove ieri sera erano sbarcati altri 57 extracomunitari. Ed il viceministro Castelli, dice che: “Le violenze degli immigrati, che potrebbero diventare milioni nel corso del tempo, potrebbero obbligare le autorità ad usare le armi”; parole irresponsabili, legate solo al timore che l’arrivo di migliaia di immigrati al Nord, a poche settimane dal voto di maggio, possa penalizzare il suo partito. Ecco la politica italiana, tagliata su misura per singoli propositi, incapace di guardare ai problemi e tanto meno di risolverli.
Carlo Di Stanislao
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