Avevano posizionato le loro esche là sotto, nel cuore del Monte Aquila, i cacciatori dell’inafferrabile. Per scongiurare i falsi allarmi, le avevano predisposte con la massima cura: un caveau impenetrabile sotto 1400 metri di roccia, un cilindro pieno di xenon che più puro non si potrebbe, i computer addestrati a non prendere abbagli. Poi, come ogni predatore che si rispetti, l’attesa. Cento interminabili giorni. Combattuti fra l’umana impazienza che ti spinge ad andare a vedere che succede, e la consapevolezza che qualsiasi perturbazione avrebbe potuto vanificare l’intera impresa. Perché la preda, mai come in questo caso, era delle più ingannevoli e diffidenti: niente meno che la materia oscura.
Attesa premiata? Dipende. Nelle maglie di Xenon100, uno dei quattro esperimenti per la materia oscura installati nei Laboratori del Gran Sasso, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, non si può dire che siano rimaste impigliate le agognate WIMP (Weakly Interacting Massive Particles): particelle che non ne vogliono sapere d’interagire con alcunché, e che potrebbero essere la sostanza di cui è fatta la materia oscura. Ma se a occhi profani l’esito potrebbe sembrare un flop, in realtà il test ha permesso di raggiungere un risultato fondamentale: restringere il cerchio, delimitare la “zona di caccia”, come ha commentato Lucia Votano, direttore dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso.
I dati sono stati presentati oggi da Elena Aprile, ricercatrice italiana che insegna da 25 anni alla Columbia University, nonché fondatrice e leader della collaborazione internazionale che ha dato vita all’esperimento. «In questi cento giorni ci aspettavamo di osservare circa due eventi provenienti dalla radiazione di fondo. Ne abbiamo visti tre. Quindi non c’è ancora nessuna evidenza», sottolinea Aprile con cautela, «ma la ricerca continua. E gli ulteriori dati che stiamo già prendendo ci porteranno più vicini a un’eventuale scoperta. Già adesso, però, i risultati ottenuti pongono i vincoli più stringenti al mondo sulle interazioni di tipo “elastico” delle WIMP con la materia ordinaria. E questo grazie alle prestazioni straordinarie del nostro rivelatore, nel quale siamo riusciti a ridurre il fondo radioattivo a livelli senza precedenti».
Un risultato, quello di oggi, che ad alcuni non piacerà: se Xenon100 ha ragione, il cerchio si sarebbe ristretto al punto da mettere in dubbio le conclusioni di altri esperimenti che pure hanno affermato d’aver osservato segnali di materia oscura (vedi grafico qui a fianco). Per i ricercatori di Xenon100, però, è anzitutto un risultato che avvalora ulteriormente l’affidabilità del loro esperimento, già in parte certificata in occasione d’una “battuta di caccia” precedente: un run – come lo chiamano i fisici – durato 11 giorni, dal quale il team era tornato a mani vuote. Secondo Aprile e colleghi, allora come oggi, la prova migliore della solidità della loro trappola. Il problema della materia oscura, infatti, non è tanto il fatto che non si lascia catturare, quanto che, non sapendo ancora cos’è, il rischio di falsi positivi è sempre lì dietro l’angolo. Rischio rispetto al quale Xenon100 sembrerebbe ormai essere praticamente immune.
L’asso nella manica dell’esperimento, oltre alla location invidiabile (quelli del Gran Sasso sono i più grandi laboratori sotterranei esistenti, per lo meno nel campo della fisica delle particelle, e ospitano un migliaio di ricercatori da tutto il mondo), è la qualità del materiale di cui si avvale: 161 chili di xenon purissimo allo stato liquido. Lo xenon è un gas nobile che, allo stato gassoso, viene usato per esempio nei fari delle auto. Quello utilizzato in Xenon100, invece, oltre a essere stato selezionato per garantire il massimo livello di “radiopulizia” (così da abbattere il rumore presente nei dati), è in parte allo stato gassoso e in parte allo stato liquido. Dunque, in “doppia fase”. Una configurazione che permette di produrre, al passaggio d’una potenziale WIMP, un doppio fenomeno: di scintillazione e di ionizzazione. Ed è proprio il rapporto fra le due misure a indicare se si tratta di materia oscura o meno.
Trasparente e inodore, lo xenon è anche un elemento costosissimo, attorno ai mille dollari al chilo (ma in passato ha avuto quotazioni fino a 3 o 4 volte superiori). Al punto che il team dell’esperimento sta approfittando d’ogni momento di ribasso per farne incetta. A che scopo? La costruzione d’un “fratello maggiore”, Xenon One Ton (contenente, appunto, una tonnellata di xenon), con il quale si augurano di poter finalmente dissipare i numerosi punti di domanda che accompagnano risultati come quello di oggi.
Marco Malaspina-Inaf
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