Dall’altro ieri le vittime della Casa dello Studente a L’Aquila e quelli del disastro ferroviario di Viareggio, rischiano di restare senza giustizia. E con loro, vi saranno il processo per i fatti avvenuti alla clinica Santa Rita, in cui gli imputati, tutti incensurati e quindi beneficiari della prescrizione breve, sono accusati di aver effettuato operazioni invasive sui pazienti, senza curarsi delle loro condizioni di fragilità, e tra le cui accuse vi è anche quella di omicidio volontario aggravato da crudeltà; il rogo alla Thyssen Krupp, il cui amministratore delegato, Harald Espenhahn (incensurato) è accusato di omicidio volontario; la Fincantieri, i cui responsabili, accusati di omicidio colposo e di lesioni colpose gravissime, sono tutti incensurati; e ancora, il Crac Parmalat, il processo Cirio, e molti altri che non sono però alla portata dei giornali. Con l’approvazione del processo breve, il rischio più grande è un rischio di valore morale, per il quale non più tutti i cittadini saranno uguali avanti alla legge, avendo la possibilità alcuni di vedere i propri reati andare in prescrizione prima del tempo, e rimanendo così incensurati. In base a quando deciso dal parlamento con una maggioranza di 314 voti ed un tour de force finale di 48 ore, i tempi previsti per la durata dei processi saranno diversi a seconda delle varie fasi del giudizio; per l’esattezza, in caso di reati con pena inferiore ai dieci anni, la durata prevista sarà di tre anni per il primo grado, due per il secondo, e un anno e sei mesi in caso si ricorra in Cassazione, mentre per i reati con pena superiore ai dieci anni, i tempi saranno di quattro anni per il primo grado, due per il secondo, e un anno e sei mesi per la Cassazione. Il Giornale difende l’operato della maggioranza e scrive che il vero scandalo non è la prescrizione, ma la lentezza della Giustizia, addebitabile a un sistema giudiziario azzoppato da norme sovente bizantine, ma anche alla scarsa efficienza dei giudici e dei pm e a norme che, nella realtà dei fatti, sottraggono i magistrati a qualunque responsabilità. Il recente rapporto del Bureau of Democracy, Human Rights and Labor prodotto annualmente dal Dipartimento di Stato Usa, ci dice che in Italia la giustizia è troppo lenta e si fa un eccessivo ricorso al carcere preventivo e scrive: “I principali problemi dell’Italia, sono la lunghezza dei tempi della detenzione preventiva, prima del processo, l’eccessiva durata dei procedimenti giudiziari, le violenze contro le donne, il traffico di esseri umani e rapporti di atteggiamenti negativi, molestie e maltrattamenti nei confronti dei gay, lesbiche, rom e altre minoranze”. Ma allora perché non affrontare questi problemi ed invece concentrarsi su qualcosa che riguarda direttamente il premier relativamente al processo Mediatrade, secondo il cui impianto accusatorio si sarebbe appropriato di fondi della società grazie alla collaborazione di un socio occulto; e del processo Mills, per il quale l’avvocato David Mills è stato già condannato per corruzione? Se il livello di una civiltà si misura da come amministra la giustizia, questo nostro Paese sembra ora ripiombato in una dimensione da oscuro Medio-Evo. Comunque Berlusconi c’è l’ha fatta, grazie a tutti i suoi e grazie a vari transfughi, ma grazie soprattutto ad Angiolino Alfano, l’uomo che ha ormai benedetto pubblicamente come “delfino”; ritagliando per se il ruolo di padre nobile del partito che ha fondato, nel 1994 e allargato nel 2007, con il famoso discorso del predellino in Piazza San Babila, a Milano, con cui annunciò la nascita del partito unico del centrodestra. E le fibrillazioni nel Pdl non si sono fatte attendere, con Per Paolo Bonaiuti, il fido portavoce, che dice trattarsi di “ragionamenti apodittici”, per alcuni ministri di un “escamotage” per togliere pressione alla squadra di governo dopo mesi di assedio e per Denis Verdini, il potentissimo coordinatore Pdl, solo perché vuole farsi dire: “presidente per favore, non lo fare ricandidati”. Intanto Agiolino Alfano, giovane pupillo del Cavaliere, dice che è stato costretto a rinunciare a una prevista lezione all’università Humbhldt di Berlino, spiegando che l’annullamento dell’impegno non è dipeso dalla contestazione che un gruppo di studenti si accingeva a compiere ma dalla necessità di procedere urgentemente alla concessione dell’autorizzazione a procedere contro due scafisti. Da parte sua, il presidente dell’università, Jan-Hendrik Olbertz, ha spiegato che per l’ateneo il mancato intervento di Alfano non è stato un danno di immagine: “un danno di immagine si crea quando rendiamo impossibile uno scambio di opinioni, anche controverso – ha detto – l’università è un luogo libero e indipendente. Questo è molto importante perché l’università non è la sede per un dibattito politico su temi di attualità controversi. Non è questo il nostro compito”. Ma, intanto, come sul Riformista scrive Tommaso Labate, nella mastodontica macchina della comunicazione berlusconiana scelgono di “sgonfiare” il soufflé dell’investitura del “delfino” con due operazioni semplici semplici. La prima la mette in campo Paolo Bonaiuti, smorzando l’effetto delle parole del premier. La seconda è quella di far filtrare il malessere degli ex aennini, l’attivismo di Matteoli e la telefonata (che c’è stata) in cui “l’Umberto” ha invitato “Silvio” a correggere il tiro sulla sua successione. Tutto vero e soprattutto verosimile, visto che il “patto” tra il Senatur e il Cavaliere si scioglierà nel momento in cui il secondo non sarà più il leader. La secondo, come detto, consiste nei malumori, già espressi da Verdini, dello zoccolo duro del Pdl. Ma Alfano è uomo pratico, uomo di conseguenza, che sa adattarsi e, soprattutto, mediare. E non è tutto: nel settore in cui il Pdl è debolissimo – e cioè quello dei rapporti con la magistratura – Alfano è molto più “solido” di quanto si pensi. Perché è vero, c’è la sua firma sia sul contestatissimo “lodo” respinto dalla Consulta che sulla riforma costituzionale della giustizia osteggiata dai magistrati; ma, anche grazie Stefano Dambruoso, il suo uomo cerniera con le toghe, “Angelino” lavorerà per ridurre il più possibile le distanze (politiche) tra sé e le toghe. Una frase di Napolitano oggi in visita ufficiale a Praga ha fatto fibrillare la maggioranza, che teme una ostruzione da parte del Quirinale. Alcuni ministri, poi, vedono il pericolo di un conflitto continuo con la magistratura e temono la Carte Costituzionale. Essi rimpiangono l’armistizio offerto dal ministro Alfano col suo “lodo”, bocciato nel 2009 dalla Consulta: uno spartiacque dopo il quale i rapporti sono andati peggiorando. Luca Palamara, presidente dell’Anm, ieri ha sostenuto che almeno 15 mila processi saranno “uccisi” dal “processo breve”. Al ministro della Giustizia non è facile controbattere che sarebbero circa la metà, destinati comunque alla prescrizione, poiché il carattere ad personam del provvedimento condiziona qualunque valutazione. E certamente questo creerà non poco imbarazzo quando salità, a breve, al Quirinale per illustrare a Napolitano il senso della legge. Soprattutto perché per allora, Napolitano avrà ricevuto la nuova lettera dell’associazione delle vittime Daniela Rombi, per chiedere urgentemente un nuovo incontro con lui e perchè, pochi giorni fa a L’aquila, nella commemorazione del 6 aprile, ha detto più volte che gli aquilani non saranno dimenticati. Ricordiamo che il processo sul crollo della Casa dello Studente, che costò la vita a 9 ragazzi, è ancora nella fase dell’udienza preliminare, durante la quale il giudice dovrà decidere se rinviare a giudizio gli indagati per omicidio colposo e crollo colposo e anche in questo caso i tempi per la prescrizione verrebbero accorciati di un anno e mezzo. Tra chi si è costituito parte civile c’è anche l’associazione Cittadinanzattiva, che conferma l’allarme delle vittime. “Il disegno di legge, trattandosi di reati punibili con pene inferiori a 10 anni, è applicabile a tutti i processi in corso all’Aquila”, dice Mimma Modica Alberti, coordinatore nazionale della rete Giustizia per i diritti. Ad aggravare la situazione dell’Aquila ci sono anche le condizioni in cui versa il tribunale, dopo il terremoto. “I tempi di questi processi”, fa notare la Alberti, “saranno certamente più lunghi. Sono stata sul posto e ho potuto vedere in che condizioni lavorano i magistrati, affogati in stanze piccolissime da dividere con altri colleghi, con pochi mezzi e strutture inadeguate. Il rischio che i tempi si allunghino a dismisura è più che concreto. E tutto si complica”.
Carlo Di Stanislao
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