Wikileaks: Usa finanziava attività dell’opposizione siriana

Il Washington Post ha oggi diffuso documenti diplomatici del Dipartimento di Stato americano, già pubblicati sul sito Wikileaks, riguardanti i rapporti finanziari segreti tra Washington e i gruppi dell’opposizione siriana, i quali avrebbero ricevuto, a partire dal 2006, circa 6 milioni di dollari a supporto dei loro progetti. Il flusso di denaro, iniziato in seguito […]

Il Washington Post ha oggi diffuso documenti diplomatici del Dipartimento di Stato americano, già pubblicati sul sito Wikileaks, riguardanti i rapporti finanziari segreti tra Washington e i gruppi dell’opposizione siriana, i quali avrebbero ricevuto, a partire dal 2006, circa 6 milioni di dollari a supporto dei loro progetti.

Il flusso di denaro, iniziato in seguito alla decisione della presidenza Bush di congelare i rapporti con Damasco per il suo sostegno a Hezbollah, è proseguito con l’amministrazione Obama, nonostante questa abbia tentato di ristabilire relazioni diplomatiche con il Paese, nominando nuovamente un ambasciatore dopo sei anni. Tra le attività dell’opposizione siriana finanziate dagli Stati Uniti, figura anche la gestione della Tv satellitare Barada con sede a Londra e collegata al Movimento per la giustizia e lo sviluppo, un gruppo di esiliati siriani residenti nella capitale britannica.

Secondo alcuni dispacci, nel 2009 le autorità della Siria si erano già mostrate “preoccupate” per i dubbi sollevati dall’intelligence siriana circa i programmi americani, e avevano considerato un qualsiasi finanziamento statunitense a gruppi politici illegali come il chiaro “appoggio ad un cambiamento di regime”.

Intanto si sono svolti oggi a Homs i funerali degli otto manifestanti uccisi ieri durante gli scontri. Il corteo funebre si è trasformato in una nuova dimostrazione anti-regime da parte della popolazione siriana che ha scandito slogan di protesta, chiedendo le dimissioni del presidente Bashar al Assad. Alcuni testimoni hanno riferito di urla risuonanti “da vicolo a vicolo, da casa a casa”.

PeaceReporter

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