Napolitano, in una lettera al vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, in cui chiarisce i motivi della sua decisione di dedicare “il Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi” (il 9 maggio) ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro lealtà alle istituzioni repubblicane; afferma che sulla giustizia, in Italia, si è giunti al limite ed esplicita, a chiare lettere, il suo disappunto contro chi, come il capo del governo, da settimane aggredisce, insinua, minaccia, ingiuria, calunnia cianciando di “brigatismo giudiziario”, premessa politica – e mandato morale – per un figurante, candidato a Milano nella lista del Pdl, che ha fatto affiggere manifesti che diffondono, con gran dispendio di mezzi, la stessa convinzione del premier: “Via le Br dalle procure”. Napolitano dice che se si continua così non sarà più possibile affrontare i problemi del Paese sulla base delle regole e del confronto indispensabile fra le forze politiche, ci saranno solo scontro e conflittualità e si perderanno di vista i veri problemi (che sono tanti e crescenti) della Nazione. Da giorni i magistrati e le opposizioni invocavano un suo intervento contro le pesanti accuse rivolte da Silvio Berlusconi e dai suoi sostenitori ai giudici, alla funzione giudiziaria e alla Consulta ed ora il manifesto di Milano, nel quale i magistrati sono equiparati ai sanguinari terroristi delle Brigate Rosse (“un’ignobile offesa”) e’ stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Non vede di buon occhio, il Capo dello Stato, la maniera con cui la maggioranza si muove sulla questione giustizia, tutta asservita alle necessità di un unico uomo, con spinta alla ratifica del processo breve alla Camera e di quello lungo, invece, al Senato. A Palazzo Madama, infatti, si spinge affinché passi per legge l’idea che le liste dei testi presentate dall’accusa o dalla difesa, devono essere ridotte dal giudice a seconda che contengano o non contengano nomi, personaggi che è inutile sentire, perché non servirebbero all’accertamento della verità. Insomma un altro ignobile provvedimento per rendere infinito, ove faccia comodo al Cav, ogni procedimento. Berlusconi sa che Napolitano potrebbe tenere ferma la legge anche un mese, così i tempi si allungherebbero e il processo Mills ha udienze fissate fino a luglio, con il rischio che possa arrivare a sentenza. Il 6 aprile, a L’Aquila, un cittadino si è rivolto a Napolitano chiedendogli di non lasciar passare la prescrizione breve. “Faccio quel che posso”, ha risposto il presidente ed è certo che lo sta facendo, nei limiti del suo ruolo istituzionale. Intanto Berlusconi, stando alle indiscrezioni che sono trapelate dai suoi collaboratori più stretti, sembra che si sia lamentato, ancora una volta, del fatto di essere una vittima di attacchi giudiziari a scopo politico e della mancanza di imparzialità del capo dello Stato. Nessuna marcia indietro da parte sua comunque e nemmeno una presa di distanza dalle dichiarazioni che ha rilasciato sul “patto scellerato” fra Fini e la magistratura. La strategia del premier sarà dunque quella di procedere con la sua tabella di marcia e mandare in porto le sue leggi: processo breve o lungo, a seconda dei casi), ddl intercettazioni e riforma della Costituzione. Lo scontro con il Colle potrebbe però costituire un ostacolo ai suoi programmi in quanto il presidente Napolitano in futuro potrebbe decidere di intervenire ben più che con una semplice reprimenda e scegliere invece di non avvallare le norme che gli saranno presentate. Berlusconi in ogni caso confida ancora una volta nel consenso popolare ed ambisce senza mezzi termini ad una vittoria piena alle imminenti amministrative. Insomma Berlusconi, anche se la diplomazia istituzionale gli impone di non commentare la lettera del presidente della Repubblica, in privato non fa nulla per nascondere la sua irritazione. Oltretutto, sebbene giuri di non sapere nemmeno “che faccia abbia” l’autore dei manifesti sui pm “brigatisti”, il premier si sente chiamato in causa in prima persona da Napolitano, quasi fosse il mandante dell’iniziativa. In effetti, come nota Francesco Bei su La Repubblica, la partita sulla giustizia s’intreccia strettamente con quella elettorale. Berlusconi è preoccupato dei sondaggi su Letizia Moratti, che sembra condannata a giocarsi il tutto per tutto al ballottaggio. Così ha deciso di polarizzare la campagna elettorale, giocando la carta del referendum tra sé e i pubblici ministeri. Un modo per mobilitare un elettorato del centrodestra deluso, tiepido verso il sindaco uscente, che potrebbe essere spinto al voto soltanto se sentisse il proprio leader in pericolo. È quello su cui punta Berlusconi, che non fa nulla per attenuare i toni contro i magistrati. “Nell’ultima settimana – riferisce un esponente del Pdl milanese – grazie ai comizi del presidente del Consiglio, la lista Pdl è cresciuta di quattro punti nei nostri sondaggi”. Il Cavaliere aveva già adottato questa tecnica nelle precedenti competizioni elettorali europee e regionali. Questa semplificazione dovrebbe da un lato mobilitare i propri elettori di centrodestra, dall’altro far prendere una decisione agli indecisi. In questo senso, la semplificazione in un secco sì/no potrebbe essere efficace su coloro che sono distanti dalla politica, sui “delusi” che in questa tornata elettorale vogliono “punire” il proprio partito d’appartenenza. E, sempre nell’ottica di vantaggi elettorali, vanno considerate le rassicuranti dichiarazioni di Frattini, nell’intervista settimanale con Maurizio Belpietro a Mattino Cinque, in cui afferma che la questione degli immigrati tunisini sbarcati sulle coste italiane e poi diretti al confine francese, è stata superata tra Italia e Francia e che c’è stata solo “un po’ di confusione all’interno degli uffici del dipartimento della commissione europea”, ma Italia e Francia hanno l’interesse comune di dirimere, nel migliore dei modi, la vicenda. E gli fa eco il presidente francese Nicolas Sarkozy, che ha confermato che al vertice in programma a Roma il 26 aprile “le questioni saranno ascoltate in spirito amichevole”; anche perché Frattini ha lasciato intendere un serio pericolo per i cugini d’Oltralpe, con la frase: “Oggi si passa dalla Sicilia chissà domani gli immigrati potrebbero arrivare in Corsica”. E che le dichiarazioni siano di tipo francamente elettorale, lo dimostra quanto commentato dallo stesso ministro, con i giornalisti a Trieste, a proposito delle dimissioni di D’Alema, allora primo ministro, dopo la sconfitta alle amministrative. Frattini (caro a Berlusconi quanto Alfano, Mattioli e la Gelmini), ha detto ”li’ fu la valenza delle elezioni regionali, non quelle comunali e provinciali. Lì il presidente D’Alema disse che quelle elezioni regionali erano un test sulla credibilità sua personale e del governo. E questo -ha spiegato- Berlusconi si guarda bene dal dirlo”. L’Italia accoglie oggi ufficialmente il presidente del Consiglio nazionale di transizione, Mustafa Abdel Jalil, il capo dei ribelli, diventato ormai l’antagonista ufficiale di Muammar Gheddafi. Dopo avere incontrato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, Jalil avrà dei faccia a faccia anche con il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e con il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. L’Italia dà così il suo riconoscimento ufficiale agli insorti come rappresentanti del popolo libico. Ma resta l’ambiguità di fondo della maggioranza. Dopo l’incontro con Jalil, Frattini ha precisato che se Muammar Gheddafi dovesse trovarsi in pericolo di vita “verrebbe aiutato come accadrebbe per ogni altro libico”. Tutto e il contrario di tutto, in nome del sempre presente e mai fiaccato populismo. Come ci ricorda Marco Cacciotto nel suo testo “All’ombra del potere”, rifacendosi a Bruce Newman e Jagdis Seth, sono cinque le variabili che influenzano la scelta di voto: issue, appartenenza, feeling, contingenze e propensione al nuovo e Berlusconi sa bene come manovrarli. Gli ultimi sondaggi danno il gradimento di Berlusconi da parte degli italiani in calo e un’opposizione in leggero vantaggio (se consideriamo come opposizione il carrozzone formato da PD, IDV, SEL e “cespugli” vari), ma “Silvio per sempre”, sa molto bene come di conquistare la “pancia” degli italiani, arroventando il clima e creando nuovi “orchi” e nuovi “comunisti”. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini ha sottolineato come Il Presidente della Repubblica, nella sua lettera al vicepresidente del CSM: “abbia interpretato ancora una volta il sentimento di tutti gli italiani”; ma sa bene che la più parte di questi da e darà ancora ragione al Cavaliere. Dopo aver letto all’inizio della seduta del Senato la lettera di Giuseppe Galli, figlio del giudice ucciso nel 1980 da Prima Linea, pubblicata oggi sul Corriere della Sera, Zanda ha proseguito: ”Questa lettera dovrebbe sollecitare il Parlamento ad occuparsi del durissimo scontro tra Berlusconi e Fini che sta dilaniando il nostro ordinamento democratico e che nasce da una campagna molto violenta contro la magistratura italiana che il presidente del Consiglio ha messo in atto da molti mesi. E’ singolare che il Parlamento non si occupi di questa vicenda politica e istituzionale, dovrebbe farlo e al più presto”. Il fatto è che, per come tutte le altre vicende, anche questa, alla fine, segnerà il trionfo di Berlusconi, martire crocefisso innocente, dai tenutari (e manigoldi) della congiura di sinistra.
Carlo Di Stanislao
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