Si è tenuta nell’auditorium, Carispaq “E. Sericchi” – L’Aquila, la presentazione del libro di Giorgio Izzo “L’Aquila n’annu prima e n’annu dopo”, i cui proventi saranno interamente devoluti all’associazione “L’aquila per la vita”: ha introdotto e coordinato i lavori il giornalista Adriano Cantalini, con moderatore professor Dante Capaldi e relatori professor Franco Trequadrini, professor Fernando Nardecchia e dottor Mario Narducci.
Un libro che si distingue dal proliferare di opere pubblicate dopo il terremoto e sul terremoto a volte pletoriche e presuntuose: questa l’unanime riflessione scaturita dagli interventi dei relatori. L’opera di Izzo se ne distanzia per strumenti espressivi utilizzati, per finalità, per sintesi ed efficacia di contenuti.
Il libro prevede contaminazioni tra le arti: a partire dal ciclo di produzione pittorica realizzata durante i mesi immediatamente precedenti il sisma e sull’onda emotiva delle esposizioni in Abruzzo e nel Lazio durante la fase di emergenza, scaturiscono il nuovo ciclo di disegni, che ritraggono L’Aquila devastata e popolata da vigili del fuoco, la prosa e la poesia in dialetto aquilano. Il libro affianca così alle riproduzioni dei dipinti che come un fermo immagine immortalano le bellezze storico-artistiche nella loro integrità prima del 6 aprile, i disegni che con tratti ruvidi e marcati, quasi emergessero a rilievo dalle tele, descrivono la drammatica situazione che si trascina ormai da due anni. La stessa ruvidezza e asprezza che, come osserva Mario Narducci, si ritrova nel flusso della narrazione. Emerge contemporaneamente alla produzione pittorica il bisogno della scrittura che prende le forme della prosa e della poesia attingendo però alla spontaneità e alla veridicità del dialetto aquilano. “La lingua che noi parliamo è la lingua che risente del Paese che abbiamo dietro alle spalle. E guai all’uomo che non ha un paese dietro alle spalle” ricorda Dante Capaldi citando Luigi Volpicelli, sottolineando come l’uso del dialetto sia uno dei valori aggiunti all’opera e auspicando che i “ tredici idilli aquilani” trovino la loro naturale prosecuzione in teatro, portati sulla scena da una delle compagnie della nostra città. “Dobbiamo ritrovare noi stessi. L’aquilano deve ritrovare la sua aquilanità” Franco Trequadrini afferma la necessità di affermazione di appartenenza territoriale e il potere catartico della narrazione, ancor più della narrazione in dialetto, in questa fase della storia della città: dopo che il sisma ci ha strappato i punti di riferimenti storici ed artistici, ci ha sottratto ai luoghi simbolo della nostra vita sociale, è bisogno impellente il flusso memoriale perché esorcizza la paura dell’oblio, è preziosa l’espressione dialettale perché rivendica non soltanto, più banalmente un modo di comunicare, ma un modo di pensare. “Dialetto popolare e popolano” lo definisce Mario Narducci sostenendo che Giorgio Izzo ha trasposto una lingua viva coerente con la parlata corrente capace di sottile ironia come di amare stroncature.
Ed è proprio l’ironia un altro tratto caratterizzante l’opera di Izzo, un’ironia che interviene ora a mitigare la drammaticità del distruttivo evento, ora a suggellare con amaro disincanto l’inaccettabile condizione della città. Ironia che non lascia spazio allo sconforto e all’accettazione di una città ormai distrutta: la speranza deriva dalla presenza delle generazioni giovani, dei “quatranìtti” come sottolinea Fernando Nardecchia, riconoscendo la costante presenza di bambini e adolescenti negli scritti dell’autore come augurio fiducioso di una seppur lontana ricostruzione. “ Fiju mè l’amor pè L’aquila è sacro: chi lascia il natio luogo è ladro” ammonisce l’autore, mettendo in bocca, con la solita amarissima ironia, queste parole ad un piccione morente che parla al figlio ne’“jù testamento dè jù picciò a jù picciunittu”: le generazioni che hanno vissuto L’Aquila nel suo splendore originario, “L’Aquila bomboniera” come la definisce Izzo, hanno l’obbligo di adoperarsi come possono per favorire e instillare l’esigenza della ricostruzione. “Non sono né poeta né scrittore” ribadisce continuamente l’autore alludendo alla possibilità da parte di tutti gli aquilani di manifestare, secondo le proprie capacità e inclinazioni, l’esigenza di riavere la città e di aiutarla guadagnando una posizione attiva nel processo di ricostruzione. E’ anche per questo motivo che i proventi del libro sono stati devoluti ad una onlus come “L’aquila per la vita”, operativa dal 2004 sul territorio aquilano con equipe di medici, psicologi, infermiere e fisioterapisti impegnati nell’oncologia domiciliare. Il dottor Giampiero Porzio, ieri presente alla presentazione del libro, ha espresso soddisfazione per le oltre 7650 visite effettuate sino ad oggi e spera che con la solidarietà di enti e privati, soltanto tramite i quali l’associazione continua ad esistere, si possa guardare con crescente fiducia alla realizzazione del Centro di Ricerca e Formazione per le Cure Domiciliari, previsto dal progetto che vede la collaborazione di Umberto Veronesi.
Elisa Giandomenico
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