C’é chi come Adriano Galliani la vorrebbe regolata come un’assemblea condominiale, in cui ai millesimi equivale il peso decisionale. E chi, le società medio-piccole, prova a fondare la propria forza sul principio della maggioranza. Concetti rievocati nel Consiglio che oggi ha sancito la spaccatura sui bacini di utenza. E sentiti decine di altre volte. Da quando le squadre di calcio sono associate in una Lega, la dinamica dei litigi è stata più o meno questa, e sempre alla base di tutto ci sono soldi da spartire. Negli anni Ottanta sono quelli provenienti dalla Rai e dal Totocalcio, nell’ultimo decennio quelli dei diritti tv. E con le dimensioni della torta da dividere, aumentano anche le liti. Epocale è la crisi che a fine 2004 vede Diego Della Valle contrastare la conferma alla presidenza di Adriano Galliani. Fra riunioni clandestine, frecciate e diplomazia, il patron della Fiorentina perde la guerra, ma spinge a inizio 2005 dieci club (dall’Atalanta all’Udinese, passando per Palermo e Fiorentina) a riunirsi in un consorzio per la vendita dei diritti tv. La sede di via Rosellini è spesso un palazzo dei veleni. Parallelamente ai conflitti fra grandi e piccole, cresce quello fra serie A e B. Il 14 ottobre 2005 Maurizio Zamparini annuncia la divisione fra le due categorie, che però non sarà portata a termine anche per Calciopoli. Lo scandalo del calcio manda in subbuglio la Lega. “Non si capisce più nulla”, denuncia sempre il presidente del Palermo nell’agosto 2006, invocando un commissario in via Rosellini dove non si capisce più chi abbia legittimamente il potere di prendere una qualsiasi decisione. Difficile è anche, due mesi più tardi, eleggere due componenti del consiglio di Lega al posto di Rosella Sensi e dello scomparso Giacinto Facchetti. Un atto di ordinaria amministrazione dura invece ore, fino all’elezione di Leandro Cantamessa (Milan). Grida alla frode Zamparini, che arriva ai 15 voti necessari ma Aldo Spinelli (Livorno) scrive ‘Zamparini+15’, e la scheda decisiva viene annullata. Urla e nervi tesi si ricordano anche nel pomeriggio del 3 luglio 2007. Inter, Milan, Roma, Napoli e Juventus si oppongono al voto a maggioranza semplice per decidere come dividere le risorse. Di riflesso, due mesi più tardi i piccoli club si ribellano e portano il presidente del Parma Tommaso Ghirardi (da appena sei mesi nel calcio) in Consiglio di Lega a scapito di quello della Juventus, Giovanni Cobolli Gigli. Le cinque grandi abbandonano i lavori. Altro che vittoria di Davide su Golia, nota Cobolli Gigli, è quella di Masaniello. E Galliani attacca: “Non può essere che Juve, Milan, Roma, Inter e Napoli con l’84 per cento di tifosi non abbiano nemmeno un voto in consiglio, mentre la maggioranza va a quei 15 che tutti insieme contano molti meno supporter”. Grandi e piccole cominciano a incontrarsi in sedi separate in maniera informale, e serve la diplomazia di Antonio Matarrese per raggiungere nel 2008 l’accordo per la vendita collettiva dei diritti tv. Con un miliardo di euro da dividere, la B diventa un fardello per la A e la separazione è inevitabile. Ma anche in 20 è difficile mettersi d’accordo. Dallo scorso autunno la serie A prova a mettersi d’accordo sui bacini di utenza. E il 3 maggio rischia di essere solo un altro pomeriggio di tensione.
Calcio: piccole e grandi, mai facile dividere soldi
C’é chi come Adriano Galliani la vorrebbe regolata come un’assemblea condominiale, in cui ai millesimi equivale il peso decisionale. E chi, le società medio-piccole, prova a fondare la propria forza sul principio della maggioranza. Concetti rievocati nel Consiglio che oggi ha sancito la spaccatura sui bacini di utenza. E sentiti decine di altre volte. Da […]
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