L’esplosione si è verificata al secondo piano del caffè Argana che dà sulla famosa piazza Jamaa el-Fnaa di Marrakech, solitamente gremita di turisti e ambulanti locali. Un fotografo Reuters sul posto ha detto di aver visto soccorritori estrarre corpi smembrati dalle macerie. Era dal 2003 e dalla strage di Casablanca, costata la vita a 45 persone, che il terrorismo non colpiva in Marocco. Ma le centinaia di arresti di questi anni non l’hanno debellato, come dimostra la strage avvenuta due giorni fa in un bar turistico di Marrakesh, che ha fatto 16 vittime, di cui 8 francesi, un britannico, un olandese e una donna israeliana incinta di sei mesi; con una modalità che fa pensare ad Al-Qaeda. A mettere la polizia su questa pista, la dinamica dell’azione, ben organizzata e in grado di creare il maggior danno possibile: una bomba attivata a distanza, potenziata con chiodi, che ha ucciso e fatto più di 25 feriti. Per la strage è ricercato un uomo, il cui identikit è stato tracciato grazie alla testimonianza di 2 olandesi. Colpito nel settore turistico, motore economico del paese, il Marocco sotto choc ieri è sceso in piazza per dire no al terrorismo e rendere omaggio alle vittime dell’attacco. Sono in molti a ritenere l’attentato la sanguinaria risposta jadista alla politica di cambiamenti perseguita dal 9 marzo da re Mohamed VI, in risposta alle manifestazioni Tutte pacifiche) popolari iniziate il 20 febbraio in tutto il Paese. Forse a realizzare la strage uno shahid liberato lo scorso 14 marzo su indulto del re Mohamed VI, ma fra i sospettati vi è anche Fizazi, l’ideologo della strage di Casablanca. A Marrakech sono subito arrivati esperti anti-terrorismo e artificieri sia francesi che spagnoli. L’Argana, il bar distrutto, è ancora battuto dalla scientifica. La piazza ieri era ieri semivuota, come il limitrofo bazar e in città, come detto, girava insistentemente la voce che l’uomo-bomba sarebbe uno dei 96 graziati da Mohamed VI lo scorso 14 marzo, cinque giorni dopo il suo storico annuncio di riforme alla Costituzione, provocate dalle manifestazioni di massa del Movimento 20 Febbraio. Riforme che metteranno fine alla suo potere quasi assoluto e trasformeranno il Paese una monarchia costituzionale, con più poteri al Parlamento. Re intelligente e moderato Mohamed VI, qui chiamato confidenzialmente M6, per cui da parte di tutti si ritiene che l’obbiettivo dell’attentato sia stato quello di destabilizzare il Marocco e fermare le riforme democratiche promesse. Ma il piano è fallito, dal momento che il ministro dell’Economia, Salaheddine Mezouar ha subito dichiarato: “Non faremo alcun passo indietro. La riforma costituzionale, pronta per giugno, va avanti”. Ieri, Mohammed Ziane, ex ministro dei Diritti umani, nonchè fondatore del Partito liberale marocchino (Pml), sulle pagine de “La Stampa” in merito all’attentato in Marocco, ha detto: “Non conosciamo l’identità dei responsabili ma si tratta certamente di un sabotaggio al processo di democratizzazione in corso nel mondo arabo”. Certamente il Marocco è il Paese più avanzato del mondo arabo in termini di libertà, educazione civica e giustizia, ma, una serie di bombe e di stragi potrebbero innescare la paura e, fermarne la progressiva democratizzazione. Come scrive Karima Moual su Il Sole 24 Ore, dopo questo attentato c’è chi avanza l’ipotesi di un brutto segnale per il cammino della democrazia e delle riforme che, iniziato già da tempo, aveva visto un’accelerazione con l’ultimo discorso del Re M6. In quell’occasione, poche settimane fa, il re aveva toccato molti punti critici messi in dicussione dalla piazza, in favore di una monarchia più europea. Sembrava fatta, ma ora tutto potrà cambiare con uno stop, perchè più che le riforme si darà la precedenza alla sicurezza. I ruoli, i compiti e le priorità rischiano di confondersi. È il segno di come sia davvero difficile, in quest’area, nonostante i buoni presupposti, incamminarsi sulla strada della democrazia. Karim Emile Bitar, esperto dell’Iris, l’istituto francese per le Relazioni internazionali e strategiche, ritiene che l’attentato a Marrakesh ”produce esattamente l’effetto che si erano proposti i terroristi: infliggere un duro colpo psicologico, che rischia di bloccare i turisti e rovinare l’immagine del Paese”. ”Quello di oggi è un atto terroristico tipicamente simbolico”, sottolinea ancora Bitar, secondo cui ”il terrorismo è più potente quando colpisce luoghi simbolo come la piazza Jamaa el-Fna, la vetrina del Marocco, praticamente un passaggio obbligato per qualsiasi turista”. Per l’esperto, ”ora bisogna vedere chi sono gli autori di questo attentato. Se si tratta di gruppi isolati o di una più grande organizzazione terroristica internazionale”. ”In quest’ultimo caso – ha continuato – sarebbe più preoccupante per il paese”. Inoltre, per Bitar, ”adesso la grande incognita è vedere se le autorità approfitteranno della situazione per imporre un giro di vite in materia di sicurezza e libertà pubbliche. In particolare, rispetto ai movimenti di contestazione del regime marocchino, che pur non essendo comparabili a quelli di Tunisia ed Egitto, stanno comunque muovendosi”. Il re Mohammed VI, 47 anni, in carica dal 1999, era riuscito finora in un quasi miracolo: evitare che la nazione fosse contagiata dall’entusiasmo della primavera araba. Merito di una certa stabilità economica, ma anche di un processo di riforme moderate che avevano costruito il consenso intorno alla sua figura. Mohammed VI è considerato una garanzia dell’unità nazionale di fronte alle tensioni che hanno minato il resto della regione: contrariamente a quanto successo al Cairo in piazza Tahrir, i marocchini non si sono mai spinti a chiedere la testa del loro sovrano. L’attentato kamikaze di giovedì avrebbe invece voluto invertire la tendenza. Ricordare al sovrano che nel Paese c’è chi non è disposto ad accettare piccole concessioni di facciata. Indurre una paralisi del processo di riforme, per indebolire il re ed esacerbare gli animi, spingendo verso l’estremismo. Tuttavia, esiste un’altra lettura della vicenda, riferita a Lettera43.it da una fonte ben informata. Secondo la seconda ipotesi, la violenza sarebbe sì un segno, ma destinato a questa sponda del Mediterraneo. Nel mirino degli attentatori ci sarebbe Parigi, responsabile dell’escalation bellica in Libia e di un interventismo poco gradito. I sei cittadini francesi uccisi sarebbero un monito per l’Eliseo, nei confronti dei quali la pazienza del Nord Africa sta per terminare. “L’odio per l’occidente”, così gli esperti chiamano il risorgente sentimento che nasce, nel cosiddetto Sud del mondo, dalla memoria delle umiliazioni e degli abusi subiti nel passato che continuano a vivere come una profonda negazione della propria identità. Ferite che l’occidente si ostina ad ignorare. Da qui nasce l’odio; un odio che ha due facce, sempre secondo Ziegler. Un odio ragionato, basato sulla rinascita di un´identità collettiva e sulla resistenza all’ordine capitalistico, che produce nazioni capaci di negoziare con l´Occidente e un odio patologico che si esprime con atti di terrorismo, come quello di Marrakech. Per questo l’attentato di Marrakech è ancora più doloroso, il segno di un odio patologico che risucchia l’odio ragionato, non è solo la terribile perdita di vite umane, e ma il tentativo di sottrarre futuro ad una generazione che, attraverso la memoria e l’orgoglio per il proprio passato e la propria identità, sta cercando di costruire il suo futuro.
Carlo Di Stanislao
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