Secondo quanto dichiarato dallo stesso presidente USA ieri sera, Osama Bin Laden, leader di Al Qaida e ricercato numero uno al mondo, è stato ucciso in un blitz delle forze speciali americane, in collaborazione con la Cia, ad a Abbottabad, una città a soli 75 chilometri da Islamabad, capitale del Pakistan. Il blitz sarebbe stato preparato da cinque riunioni fra il presidente Obama e i servizi segreti in questi ultimi mesi. Abbottabad come Islamabad si trova a qualche ora di strada da alcune delle zone tribali della Frontiera del Nord Ovest, la zona tribale al confine con il Pakistan che è sempre stata considerata il suo rifugio. Il terrorista si trovava in una residenza ad alta sicurezza, circondato da una recinzione e protetto da una doppia cancellata. Secondo quanto scrivono i principali quotidiani, Bin Laden è stato ucciso con un colpo di arma da fuoco alla testa, durante la sparatoria ingaggiata nel corso del blitz, pianificato negli ultimi due mesi e condotto contro quella che era diventata la residenza segreta del leader terrorista, un condominio fortificato a circa 70 chilometri a nord di Islamabad. Con lui sono state uccise altre quattro persone. Due mogli e sei figli sono invece stati arrestati e con loro sarebbero stati anche catturati quattro collaboratori del leader terrorista. Fonti del Pentagono riferiscono che le forze speciali che hanno effettuato l’operazione avevano provato più volte il piano di attacco per evitare vittime tra civili innocenti. Uno dei quattro elicotteri che hanno preso parte all’operazione contro il compound di Bin Laden, secondo fonti ufficiali coperte da anonimato, si sarebbe schiantato dopo essere stato raggiunto da colpi d’arma da fuoco esplosi da terra, anche se viene specificato che non ci sono state vittime. La fonte ha aggiunto che durante il raid donne e bambini sono stati presi in custodia. Gli Stati Uniti non avevano avvisato le autorità pachistane dell’imminente operazione, ma hanno giustificato la violazione della sovranità pachistana con “l’obbligo legale e morale di agire”. “Questa sera sono in grado di annunciare agli americani e al mondo che gli Stati Uniti hanno condotto un’operazione che ha ucciso Osama Bin Laden, il leader di al Qaida, un terrorista responsabile della morte di innocenti”, ha dichiarato Barack Obama in un discorso solenne pronunciato dalla Casa Bianca, in cui ha anche messo in guardia contro possibili ritorsioni contro interessi americani nel mondo. “Non ci sono dubbi sul fatto che al Qaida continuerà ad attaccarci. Dobbiamo rimanere vigili, e lo saremo, negli Stati Uniti e all’estero”, ha ammonito. Intanto l’emittente pakistana Express tv, ha ammesso che la foto diffusa nella notte con l’immagine del cadavere di Bin Laden, è in realtà un falso, un fotomontaggio, che ha fatto in pochi minuti il giro del mondo, ma risalirebbe al 2006. Ancora adesso resta il giallo sulla sepoltura del cadavere: in un primo momento era stato riferito che esso si trovava in una base Usa in Afghanistan ma successivamente la Cnn ha dichiarato che sarebbe già stato sepolto in mare dopo essere stato trattato “secondo la tradizione islamica”. Secondo Mahmoud Ashour, noto accademico musulmano, al contrario, gettare in mare un cadavere rappresenta un “peccato”, in quanto l’Islam prevede la sepoltura in terra e l’aver gettato in mare il cadavere alimenta ulteriori dubbi: perché sbarazzarsi del corpo così in fretta, se fosse realmente quello del leader del terrorismo islamico? La qual cosa mi ha ricordato la vicenda del Che, ucciso nel ’67, per mano della polizia Boliviana, sepolto in un luogo sconosciuto e con foto che ne documentavano la morte e che appartenevano a Federico Arana Serrundo, capo dell’intelligence militare dello Stato maggiore boliviano della’epoca, pubblicate dal quotidiano argentino ‘Clarin’ solo 30 anni dopo la vicenda. Ma, a parte tali circostanze, ben poco altro accomuna Bin Landen a Che Guevara: il primo terrorista internazionale che ha inteso destabilizzare il mondo occidentale con una serie di stragi senza fine e contro uomini inermi; il secondo autentico martire della libertà. La notizia della morte di Bin Laden è stata salutata con soddisfazione dai principali attori internazionali. Scene di giubilo hanno avuto luogo a Ground Zero e Times Square, a New York, e davanti alla Casa Bianca. Per la cancelliera tedesca Angela Merkel è “una vittoria delle forze di pace”, per il presidente francese Nicolas Sarkozy un “avvenimento epocale nella lotta mondiale contro il terrorismo”. Anche il Cremlino si è congratulato per il “successo” Usa. E il premier Silvio Berlusconi ha commentato: “è un grande risultato nella lotta contro il male ma non bisogna abbassare la guardia perché c’è il rischio di reazioni”. L’uccisione di Osama Bin Laden è un fatto di grossa importanza”. E’ con queste parole che il presidente afgano, Hamid Karzai, ha commentato la notizia della morte del terrorista saudita. Nel corso di una conferenza stampa, ripresa dalla tv satellitare ‘al-Arabiya”, ha affermato che “si tratta di un fatto importante e i talebani dovrebbero imparare da questa lezione”. “Con la morte di Osama Bin Laden è caduto il pretesto della lotta al terrorismo con cui gli Usa e i suoi alleati motivavano la loro presenza in Medio Oriente”, ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Ramin Mehmanparast, citato dal sito web dell’emittente ‘Press Tv’. L’Iran, ha sottolineato il portavoce, “auspica che (la morte di Bin Laden, ndr) contribuirà ad avviare un periodo di pace e sicurezza nella regione”. Mehmanparast ha quindi concluso dichiarando che “la Repubblica Islamica condanna fermamente il terrorismo in tutto il mondo”. Per il presidente turco Abdullah Gul, ”il fatto che la mente più pericolosa e sofisticata al mondo sia stata catturata in questo mondo deve servire da esempio per tutti”. Citato dall’agenzia Anadolu, Gul ha espresso il suo ”grande benvenuto” alla notizia, affermando: ”Questo dimostra che i terroristi e i leader delle organizzazioni terroristiche alla fine saranno catturati, vivi o morti”. “Osama Bin Laden – come tutti sappiamo – ha avuto la gravissima responsabilità di diffondere divisione e odio fra i popoli e di strumentalizzare le religioni a questo fine – ha detto il direttore della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi -. Di fronte alla morte di un uomo, un cristiano non si rallegra mai, ma riflette sulle gravi responsabilità di ognuno davanti a Dio e agli uomini, e spera e si impegna perché ogni evento non sia occasione per una crescita ulteriore dell’odio, ma della pace”. Immediate anche le positive reazioni in borsa. Come scrive Affariitaliani.it, con rafforzamento del dollaro e crescita di chi, nonostante ancora la scorsa settimana l’Iea (International energy agency) avesse ricordato che la corsa del greggio non è legata tanto alla speculazione quanto ad uno squilibrio tra domanda e offerta, scommette sulle quotazioni del petrolio e di altri prodotti energetici come il gas naturale; nonostante si dica che, siccome all’orizzonte non sembra esservi il temuto “double dip”, ossia una nuova recessione delle maggiori economie occidentali, a partire dagli Usa, quanto una lenta ripresa accompagnata da tagli più o meno drastici a spese e sussidi pubblici, quando non ad incrementi di tasse; difficilmente il trend di crescita dei prezzi del petrolio potrà cambiare a medio-lungo termine. La nascita dell’organizzazione terroristica di al-Qāeda, in principio una formazione preparata per la guerriglia, risale attorno al 1988. Quando Osāma lasciò il MAK, molti dei suoi militanti confluirono nella nuova organizzazione. Osannato come eroe in Arabia Saudita, Bin Lāden non si mostrò tenero verso la sua patria, lamentando in occasione della Guerra del Golfo del 1991 un’eccessiva dipendenza militare del suo paese nei confronti degli Stati Uniti. Seguì una incrinatura dei rapporti, ed una rottura definitiva, con la monarchia araba. Nello stesso 1991 decise di fissare in Sudan la propria base operativa ad al-Khartum, in via Mc Nimr. Tre anni dopo, ammettendo il suo coinvolgimento in attentati compiuti a Riyad e Zahran, perderà la cittadinanza saudita. Si sospetta che, con l’aiuto di organizzazioni ufficialmente presunte alla carità verso i musulmani (una delle quali fondata dallo stesso cognato Muhammed Jamāl Khalīfa),espanse successivamente il proprio raggio di attività inviando esponenti della propria organizzazione nel sud est asiatico ed in Africa, Europa e Stati Uniti con lo scopo di reclutare nuovi affiliati per al-Qāeda e radicare il fondamentalismo islamico. Nel 1996 il Sudan espulse Bin Laden che fu costretto ad un ritorno in Afghanistan, accolto con simpatia dai capi del governo talebano che in quell’anno avevano assunto il controllo del paese. Nel 1999 la CIA si occupò di addestrare ed equipaggiare segretamente un commando di circa 60 uomini dei servizi segreti pakistani con l’obiettivo di farli entrare in Afghanistan per catturare o uccidere Osama bin Laden. Il 1º marzo 2003 a Rawalpindi, nel nord-est del Pakistan avviene l’arresto di Khālid Sheikh Mohammed, uomo chiave dell’organizzazione terroristica al-Qāeda e ritenuto la mente degli attentati dell’11 settembre 2001. Dopo il tragico attentato alle Torri Gemelle di New York, Bin Laden è diventato il pericolo numero uno per gli Stati Uniti, che hanno unito le loro forze, insieme a numerosi alleati internazionali, per dare la caccia a quello che è ormai considerato a tutti gli effetti (anche grazie ad alcuni video che lo vedono “dissertare” sulla riuscita dell’attentato), il responsabile morale e materiale della strage newyorchese. Molte le presunte morti di Bin Landen. Nel 2003 si parlò di morte accidentale per soffocamento a causa di un banale spinacio; tre anni dopo, il 2 novembre 2007, in un’intervista alla televisione Al Jazeera, durante il programma canadese Frost over the world, la scomparsa statista pakistana Benazir Bhutto disse che Osāma bin Lāden era stato ucciso da Ahmad Omar Sa’id Shaykh, noto ufficiale del servizio segreto militare pakistano dell’ISI (Inter-Services Intelligence). Il 28 aprile 2009 comparve la notizia, poi smentita, secondo cui il presidente pachistano Asif Ali Zardari dichiarava che l’intelligence del suo Paese riteneva morto il leader di al-Qāeida, pur non avendo prove certe della stessa. Circa le ultime apparizioni, ricordiamo che, il 25 marzo 2010 è tornato all’uso di un linguaggio duro e minaccioso, in un audiomessaggio diffuso da Al Jazeera, dopo la parentesi di pochi mesi prima di tipo ambientalista, nel quale minacciava, dopo essersi lamentato col popolo americano del proseguimento della Guerra in Afghanistan, di far uccidere qualunque ostaggio statunitense catturato dai suoi affiliati se fossero state condannate a morte le menti degli attentati dell’11 settembre 2001 e i suoi compagni detenuti a Guantanamo. In data 1 ottobre 2010 ha fatto comparire un messaggio audio sul web dove parlava di nuovo dei rischi connessi ai cambiamenti climatici e della povertà. Dava inoltre consigli agli agricoltori del Sudan riguardo ai problemi comportati dalla desertificazione, e ha espresso il suo cordoglio alle vittime dell’alluvione del 2010 in Pakistan, chiedendo un’azione più incisiva dei governi e criticando la scelta del Pakistan di destinare solo l’1% dei suoi bilanci ai poveri. Ha fatto gli auguri ai musulmani per la fine del Ramadan. Il 21 gennaio 2011 Bin Laden ha rivolto una dura minaccia alla Francia affermando che se essa non farà lasciare ai propri soldati l’Afghanistan, gli ostaggi francesi, sequestrati da cellule di al-Qāeida in Niger, saranno uccisi, per colpa della subalternità di Nicolas Sarkozy agli USA. Vale la pena qui di ricordare che il terrorismo e la risposta occidentale, cui assistiamo da dieci anni, i non solo di scontro tra civiltà diverse ed è più corretto parlare di conflittualità terrotistica islamista, poiché non tutto l’Islam è terrorista. Dall’800 in poi si è verificata una inversione e l’Europa si rivelò più forte nella scienza e nella tecnologia. L’Islam ha assistito ad un lento declino culturale ed economico. Si tratterebbe, per molti esperti, di una reazione non volta ad affermare una civiltà diversa, ma volta a neutralizzare i loro avversari cioè i popoli corrotti. Il terrorismo internazionale sarebbe una scorciatoia militare per coprire i problemi di carenza di un progetto economico-politico. Allora con il progetto terroristico Delenda America (in realtà non attuabile) si vorrebbero liberare i paesi islamici da tutte quelle conquiste politiche, culturali ed economiche che sono tipiche delle società occidentali (conquiste che, in parte, alcuni paesi islamici hanno recepito, vedi l’Egitto, Turchia, Tunisia, paesi più tolleranti ed aperti che distinguono tra ciò che è la religione e ciò che è la politica o il diritto). Ciò che va ribadito, a scanso di equivoci, è che i terroristi non migliorano la situazione della propria popolazione ed in più massacrano gli innocenti e che nel terrorismo non c’è progetto politico. Ma, al contempo, va anche ricordato con forza che l’intervento militare è il segnale del superamento dei limiti di tolleranza della criminalità terrorista. E’ dunque fondamentale sia un contrasto fisico (intervento militare) sia un contrasto critico (discussione pubblica di studiosi e mass media) che tenda a comprendere le origini del terrorismo ed aprire un dialogo. C’è bisogno di nuove strategie per individuare i terroristi. La diversità dell’Occidente risiede non nel fatto di non aver prodotto una grande religione, ma nell’aver distinto Stato e Chiesa, distinzione fondamentale per evitare le guerre cosiddette sante. Attualmente La leadership dell’iperterrorismo è araba (22 paesi fanno parte della Lega araba, sono paesi ricchi = petrolio, ma non umanamente sviluppati, tranne rare eccezioni) e se guardiamo le medie in vari settori della società (deficit di libertà, di capacità-conoscenze connesse al reddito, condizioni della donna) siamo molto al di sotto dei numeri dell’occidente e anche dell’oriente e dell’America latina e, figuriamoci dell’Australia. Gli schemi di Durkheim e di Merton spiegano perciò molto bene, con l’anomia, il fenomeno della discrepanza tra i modelli internazionali di sviluppo e la propria situazione reale, di vita quotidiana. Contrasto tra aspirazioni ed il loro soddisfacimento. Anche le norme e la legittimazione sono obsolete nei paesi arabi. . La società civile araba è una società immobile, la cui classe dirigente addossa la responsabilità dell’arretratezza ad altri (e cioè ad esempio agli USA o a Israele. Il voler colpevolizzare i paesi occidentali leader in tema di sviluppo, non può non essere interpretato – sotto il profilo sociologico – come momento della neutralizzazione della vittima da parte dell’ipeterrorismo. Esso tenta di autolegittimarsi. La dottrina terroristica, spingendo la pratica del “martirio”, non segue in realtà i principi del Corano, essendo il suicidio proibito dalla religione islamica, anche se per quest’ultima colore che sono stati uccisi sulla via di Dio (ma, nota bene, non quelli che si sono uccisi) vivono nella grazia del Signore. Secondo le credenze religiose, coloro che muoiono sulla via di Dio sono accolti in Paradiso e hanno 72 mogli. Il martirio “consapevole” fa la sua apparizione nella guerra contro l’Iraq che nel 1980 invade il territorio iraniano. A praticarlo sono soprattutto i giovani 12-16 anni. L’eresia del martire suicida nasce nella lotta contro i musulmani. Il kamikaze uccidendo vittime innocenti, annulla la diversità con le vittime stesse e la rivalità con esse (si appaga il desiderio di possedere ciò che l’altro possiede). I terrorismi islamistici propongono nuovi modelli di violenza. E’ un neotaglione nella misura in cui, se tutti sono responsabili di tutto, non c’è più. L’iperterrorismo islamista sembra dunque un fenomeno specifico non riconducibile al contrasto tra paesi ricchi e poveri ma all’autolegittimazione islamocentrica di circoscritti movimenti politici non ancorati a realtà statuali. Er la morte di Bin Laden non cambia lo stato delle cose. Alle frustrazioni per il divario tra mezzi e fini, si aggiungono anche quelle maturate negli ultimi secoli rispetto all’Occidente. I rapporti dell’ONU hanno dichiarato dell’arresto dei paesi dell’Islam in confronto ai successi dell’Occidente in continuo sviluppo. In questi paesi, la vita politica deve fare i conti con una lenta occidentalizzazione e l’iperterrorismo potrebbe essere battuto col tempo da una convincente revisione di certe politiche internazionali occidentali e/o dalla maturazione culturale e democratica dei musulmani. Si parla da tempo di globalizzazione giuridica però vi sono due ostacoli da superare: diverse identità culturali e diversità storiche. Credo che occorra auspicare, per la soluzione di questo ed altri urgenti problemi, una giustizia globale senza frontiere i cui tre fondamenti siano: 1) idea dello sviluppo umano come libertà 2) idea della giustizia procedurale 3) idea di utopia ragionevole. Si tratta di una teoria non tesa ad un progetto ma alla presa d’atto di un processo, contro cui occorre strenuamente lottare.
Carlo Di Stanislao
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