Wojtyla: maestro sci, le sue fughe sui ghiacciai

Uno sciatore “bravissimo”, con un grande vigore fisico, “entusiasta” tutte le volte che con una fuga in incognito dalla “prigione” del Vaticano poteva godere di qualche ora sulle amatissime cime montuose per abbandonarsi allo sci ma anche a intensi momenti di preghiera e raccoglimento. E che, anche se non lo fece vedere, “in cuor suo […]

Uno sciatore “bravissimo”, con un grande vigore fisico, “entusiasta” tutte le volte che con una fuga in incognito dalla “prigione” del Vaticano poteva godere di qualche ora sulle amatissime cime montuose per abbandonarsi allo sci ma anche a intensi momenti di preghiera e raccoglimento. E che, anche se non lo fece vedere, “in cuor suo si arrabbiò”, quella volta che il presidente della Repubblica Sandro Pertini divulgò la notizia della sua vacanza di tre giorni sull’Adamello, costringendolo quindi a dover lasciare gli agognati ghiacciai. Ricorda così Giovanni Paolo II, Lino Zani, ex maestro di sci e alpinista, l’uomo che ebbe il privilegio, nel luglio dell’84, di guidare il Papa, neo beato, nella ormai celebre fuga sull’Adamello insieme al presidente Pertini e poi da allora, fino al ’96, quando Wojtyla smise di sciare per la rottura di un femore, nelle fughe, rivelate solo di recente, del marted sui monti dell’Abruzzo. “Partivamo dal Vaticano la mattina molto presto in incognito – racconta all’ANSA Zani -. Impiegavamo del tempo per arrivare in Abruzzo nelle località sciistiche che sceglievamo di volta in volta a seconda del bollettino neve, perché non ci accompagnava la scorta e dovevamo fermarci a tutti i semafori, nel traffico, come persone normali. Ricordo benissimo l’entusiasmo, quasi lo scalpitare di Giovanni Paolo II per la possibilità di trascorrere del tempo all’aria aperta e in particolare in montagna, la sua grande passione”. “Mi diceva – continua Zani – che in Vaticano si sentiva quasi in prigione per l’impossibilità di uscire e per i tanti impegni che incombevano su di lui. Ma non appena arrivava in montagna si ritemprava completamente, in un attimo era come se ringiovanisse”. La frequentazione tra l’oggi beato Karol e la guida alpina di tante escursioni sui ghiacciai nasce nell’84 sull’Adamello quando nel rifugio a 3.000 metri di altezza della famiglia Zani si presentano quattro preti polacchi che chiedono un maestro. Uno di loro era mons. Stanislao Dziwisz, il segretario del Papa. L’esperienza fu così gratificante che decisero di portare lo stesso Pontefice su quei ghiacciai. “Organizzammo tutto in gran segreto – racconta Zani -. Il Papa dormiva in una stanzetta del rifugio in condizioni davvero spartane. In una stanza accanto di appena un metro per due dormiva mons. Stanislao. Solo una guardia vaticana controllava il piano. Allestimmo anche un inginocchiatoio di fortuna”. Ma poi, come tutti sanno, il presidente Pertini, anche lui presente, divulgò la notizia e la vacanza di tre giorni divenne di due. “Guardavamo insieme il tg dell’ora di pranzo che dava la notizia – ricorda Zani -. In un primo momento Wojtyla si disse preoccupato di che cosa si poteva pensare di un Papa che andava a sciare”. Ma fu poi soprattutto per non mettere in pericolo l’incolumità dei fedeli che volevano a quel punto salire a 3000 metri per incontrare il Papa, che l’entourage vaticano decise di partire. “Non prima però – afferma Zani – di un’ultima sciata. Infatti, il Pontefice doveva partire all’ora di pranzo ma alle 15 mi si piantò di nuovo davanti e a sorpresa mi disse :”Andiamo”. Sciammo ininterrottamente fino alle 19″. Lo sport invernale non ritemprava solo il fisico del Papa ma anche e forse soprattutto lo spirito. “Ricordo quando – dice Zani – nel mezzo di una discesa mi dissero che il Papa voleva stare un momento da solo in preghiera e in contemplazione. Eravamo sulla sommità di un ghiacciaio in un luogo mozzafiato. Il Papa cominciò a pregare. Anche l’aria si fermò. Restò in raccoglimento per un’ora e mezza”.

Nina Fabrizio

Foto Manuel Romano

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