Gli imprenditori stranieri in Italia (+29.000 nel 2010) si fanno largo tra le cucine dei ristoranti e i banconi del bar: un titolare su dieci è infatti straniero e sono già oltre 38mila le imprese del settore gestite da immigrati (13,8% ristoranti e 10,2% bar). Sono i dati che emergono da un’indagine di Fipe Confcommercio sulle imprese della ristorazione gestite dagli immigrati in Italia. In questo panorama multietnico che riguarda il 12% della ristorazione in Italia, l’arcipelago dei ristoranti etnici è una realtà di spicco con 2500 locali dove spopolano i cinesi (1.883, per una quota del 75%), seguiti dai giapponesi (9,3%), africani (3,2%), brasiliani (2,8%) e messicani (2%) I locali stranieri si concentrano soprattutto al Nord, con il primato della Lombardia (8.370 imprese), seguita da Lazio (4.167), Veneto (4.076), Emilia Romagna (4.064), Piemonte (3.230) e Toscana (2.641). In queste sei regioni si concentrano i tre quarti delle imprese straniere attive nella ristorazione in Italia. Se il 9,8% delle ditte individuali è di marca straniera, stessa impronta nelle società di capitali (11%) e nelle società di persone (15,2%), evidenziando una certa capacità di business ‘evoluto’ da parte degli immigrati. E il melting pot nei ristoranti, così come nei bar – frontiera di recente scoperta ma subito apprezzata dagli imprenditori stranieri – e persino nelle mense è destinato ad accentuarsi. Per il direttore generale della Fipe-Confcommercio, Edi Sommariva, “i segnali che giungono dalla demografia imprenditoriale e dal mercato spingono a prevedere un irrobustimento della presenza degli stranieri nel settore”. “Un fenomeno – aggiunge Sommariva – che può essere interpretato, tra l’altro, anche come la spia della perdita di appeal del mondo della ristorazione per gli imprenditori di casa nostra, dovuta sia alle crescenti difficoltà di mercato che agli ingenti carichi di impegno e di lavoro che richiedono queste attività”. In questo contesto sembra scontato che la ‘bella Italia’ dell’enogastronomia italiana possa scolorirsi tra un kebab e un involtino primavera. E Sommariva perciò sottolinea la necessità di “misure adeguate, se vogliamo mantenere un modello d’offerta che il mondo ci invidia”.
Cristina Latessa
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