Zimbabwe: la carriera di Robert Mugabe presidente-despota è giunta al termine

L’avviso di sfratto gli è arrivato mentre era a Singapore, ufficialmente per sottoporsi ad un’operazione agli occhi. Così, Robert Mugabe ha appreso che la sua carriera di presidente-despota dello Zimbabwe è giunta al termine. A dargli l’annuncio, i vertici dell’onnipotente apparato di sicurezza del Paese, in una teleconferenza ad alta tensione al termine della quale […]

L’avviso di sfratto gli è arrivato mentre era a Singapore, ufficialmente per sottoporsi ad un’operazione agli occhi. Così, Robert Mugabe ha appreso che la sua carriera di presidente-despota dello Zimbabwe è giunta al termine. A dargli l’annuncio, i vertici dell’onnipotente apparato di sicurezza del Paese, in una teleconferenza ad alta tensione al termine della quale Mugabe è tornato ad essere quello che è: un signore di 88 anni, spaventato più che spaventoso. Il messaggio recapitatogli era estremamente chiaro: “Smettila di minacciare le elezioni un giorno si e uno no: si voterà l’anno prossimo ma a quel punto potrai (leggi dovrai) farti da parte“. L’indiscrezione è arrivata dal Zimbabwe Standard ed è stata confermata da altre fonti: “Lui (il presidente, ndr) non è più padrone delle sue facoltà – ha detto, dietro richiesta di anonimato, un alto funzionario dei servizi al Sunday Times – e la gente non ci prenderà seriamente se ci presentiamo di nuovo con la sua candidatura e sta pur sicuro che si presenta di nuovo contro Tsvangirai (Morgan, l’attuale premier, ndr) perderà clamorosamente”. Quindi, l’ordine impartito all’anziano leader è stato quello di rimandare il voto di un anno per dare tempo agli apparati di creare un nuovo candidato da far vincere, perché possano continuare a tenere il potere senza metterci la faccia. “Le uniche speranze che ha lo Zanu Pf è di trovare un successore da vendere al pubblico da qui al 2013”, ha detto un’altra fonte allo Standard.

Lo Zanu Pf (Zimbabwe African National Union – Patriotic Front) altro non è che il partito-stato di Mugabe che in Zimbabwe detiene il potere ininterrottamente dall’indipendenza, dichiarata nel 1980. I gerarchi, che all’ombra del dittatore hanno costruito impressionanti reti di potere, ora non hanno più bisogno di colui che negli ultimi anni era diventata la loro marionetta, e si apprestano a cambiare tutto perché non cambi nulla. Ma mentre preparano la exit strategy che porterà al giusto pensionamento di Mugabe, sempre più stremato dagli anni e da un tumore alla prostata che è la vera causa dei frequentissimi viaggi a Singapore, le anime nere del regime cominciano ad affilare le armi in vista dell’esplosione definitiva di quella faida interna da anni in corso sotterraneamente. Da una parte c’é l’ex generale Solomon Mujuru, potente anche grazie alla moglie Joyce, una dei vice di Mugabe, dall’altra l’altrettanto potente ministro della Difesa Emmerson Mnangagwa. Il primo nucleo rappresenta l’ala che, tra molte virgolette, si potrebbe definire moderata, essendo il secondo capofila dei cosiddetti falchi. Le manovre sono già iniziate: la corrente di Mujuru sembra poter contare su diverse protezioni in Sudafrica, Paese che da anni lavora per avere accanto un regime meno controverso di quello attuale. Ma soprattutto, il fronte moderato starebbe conducendo trattative segrete con il principale partito di opposizione, il Movement for Democratic Change del premier Tsvangirai. Mugabe aveva perso contro di lui già quattro anni fa ma esercito e servizi lo costrinsero a rifiutare i risultati e a restare in sella, per proteggere i loro affari. Nacque così un governo di unità nazionale con lo scopo di superare l’emergenza e il rischio di una guerra civile. Ora che questo tentativo è naufragato, Mugabe aveva cominciato a minacciare elezioni anticipate, senza che il processo di revisione costituzionale fosse stato completato. Da qui, lo stop dei suoi servizi: niente elezioni e uscita di scena nel 2013.

Chi comanda davvero in Zimbabwe si appresta quindi a fabbricare una transizione di cartapesta. Il despota verrà accantonato, in un trionfo di retorica che enfatizzerà il meritato riposo del guerriero, qualche riforma maquillage verrà anche adottata ma i veri centri di potere, e cioè il partito ma anche l’esercito, i servizi e la polizia, non ci pensano nemmeno a farsi da parte. Questo spiega perché in questi giorni si sia accentuata la campagna di violenze contro l’opposizione e i suoi sostenitori: vanno spaventati. Per restare solo agli ultimi giorni, domenica è stato quasi raso al suolo il villaggio di Nyambeya, nella Cashel Valley. Miliziani, “veterani”, soldati travestiti da mesi assaltano case e proprietà di membri o simpatizzanti dell’Mdc, in tutto il Paese. Lo stesso apparato repressivo che ha requisito i possedimenti dei bianchi, costringendone migliaia alla fuga, da qualche anno è stato riorientato contro i “nemici” neri, descritti come cavalli di Troia dell’Occidente predatore. Il Mugabe che si è genuflesso davanti al papa qualche giorno fa, è lo stesso che ha dato inizio ad un’escalation di violenze che, c’é da giurarci, non si arresterà con la sua dipartita.

Alberto Tundo-PeaceReporter

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