Dopo quello “santo”, “della collera” e “della sfida”, venerdì 13 scorso è stato, in Siria, il “venerdì delle donne libere”, con tante siriane che hanno contestato per le vie di varie città, Amouda, Rastan Al Damir , per chiedere il cambiamento del regime. Queste coraggiosissime donne hanno manifestato per la dignità delle sorelle incarcerate, tra cui Tal Al-Mallouhi, una ragazza di 19 anni, che è stata arrestata nel febbraio del 2009 e condannata a 5 anni di prigione con l’accusa di lavorare per la Cia. Secondo Reporters senza frontiere la ragazza è semplicemente una studentessa che nel suo blog scriveva in particolare sui palestinesi e a questo proposito inviò una lettera al presidente degli Stati Uniti Barack Obama. “La Siria è una società conservatrice dove le donne non partecipano alle manifestazioni, inoltre, le persone non possono riunirsi senza incorrere in grossi problemi di sicurezza – commenta Tarif, direttore di Insan, organizzazione per la difesa dei diritti degli uomini – ecco il motivo per cui gli uomini si sono riuniti nelle moschee dove le donne qui in Siria non vanno a pregare. Le donne hanno quindi adottato un altro metodo: quello dei raduni separati. Qui la polizia non può sparare e nel caso lo facesse gli uomini reagirebbero in maniera violenta – sottolinea Fabrice Balanche. Per Wissam Tarif: “La battaglia per l’uguaglianza tra donne e uomini è parte integrante delle lotte che avvengono in questi giorni. E’ vero, le donne siriane hanno qualche diritto per esempio quello di sposarsi senza l’accordo dei genitori ma il delitto d’onore ancora oggi è punito in maniera blanda e le donne devono affrontare moltissimi problemi a livello sociale”. Nella prossima settimana Louay Hussein e altri tre veterani dell’opposizione incontreranno il consiglie presidenziale per discutere delle richieste avanzate al governo, ma, intanto è di poche ore fa, la notizia che un’altra donna sarebbe stata uccisa, mentre tentava di fuggire varcando il confine tra Siria e il Libano. I massacri in Siria sono iniziati il venerdì della Pasqua, quando dopo la preghiera migliaia di cittadini si erano riversati nelle principali piazze dello stato per la cosiddetta giornata della collera ed il regime non ha esitato, nonostante i richiami internazionali, a sparare sulla folla, provocando centinaia di morti e di feriti. Ma, nonostante l’intervento di militari in assetto di guerra e carri armati, le proteste si estendono a macchia d’olio e non sono bastate le timide riforme annunciate dal presidente e non ancora attuate. Ora gli arresti di massa (casa per casa) si contano a migliaia. Vengono utilizzati anche gli stadi, come nel Cile di Pinochet, per concentrarvi i dissidenti prima di trasferirli nelle prigioni (se ci arriveranno), senza distinguere tra capi ribelli e bambini, anche di dieci anni. Infatti anche a questi metodi (il sequestro dei bambini) ha fatto ricorso di recente il regime di Damasco per costringere i genitori a rivelare nomi di manifestanti. Sembra che questi metodi siano stati suggeriti alla polizia segreta siriana dagli alleati iraniani. A proposito di questa alleanza, il regime di Teheran sembra ormai molto impegnato con Assad, non solo con una massiccia fornitura di armi, ma anche con la presenza di militari, pasdaran e uomini dei servizi segreti, utilizzati direttamente nella repressione, sulla base dell’esperienza fatta in oltre 30 anni di tirannia in Iran. Ciò che urta la nostra sensibilità è che, a differenza della Libia di Gheddafi, pochi denunciano il regime autoritario siriano che “spara sul suo popolo”, per le gravi violazioni dei diritti umani. Chissà perché, si chiede Forbice sul Giornale di Sicilia, l’Onu e l’Occidente in generale prendono tempo. Gli Usa e Israele appaiono cauti e silenziosi: fanno “paura” i possibili cambiamenti in quest’aria rovente del Mediooriente. Ma l’imprevedibile potrebbe anche accadere, nonostante la sanguinosa repressione che non trova riscontri nelle rivolte degli altri paesi arabi. Compresa la Libia, dove però la Nato (e ora anche l’Italia) continua a bombardare. Secondo Adnkronos, sono circa diecimila i cittadini siriani che hanno lasciato la Siria alla volta del Libano per sfuggire alla repressione dell’esercito e la maggior parte di loro ha trovato alloggio e ospitalita’ a Wadi al Khaled, villaggio nel Libano del nord. Luai Hussein, scrittore ed attivista, ha detto ra all’agenzia Reuters che l’ex ministra e consigliera del presidente, Butheina Shabaan, gli “avrebbe assicurato che Assad ha dato ordini di non sparare sui manifestanti”. Butheina Shaban, intervistata dal New York Times (il cui reporter e’ stato autorizzato ad entrare in Siria per qualche ora), ha spiegato che “che la protesta e’ ormai sotto controllo, il peggio e’ passato. Una combinazione di fondamentalisti e criminali ha manipolato le legittime domande della popolazione”. Shaaban ha riferito di aver incontrato personaggi dell’opposizione come Michel Kilo, Aref Dalila, Salim Kheirbek, prospettando maggiore liberta’ di stampa, sistema multipartitico e legge elettorale in quello che definisce l’inizio di un dialogo nazionale, ma alcuni nell’opposizione, che si riunira’ a giorni a Il Cairo (molti si trovano in esilio) denunciano un tentativo di cooptazione e di riforme di facciata. Il Ministro dell’informazione Adnan Hasan Mahmoud da parte sua ha confermato che un processo di “dialogo nazionale” si terra’ in tutto il paese nei prossimi giorni ed l’agenzia ufficiale Sana annuncia che in due settimane la commissione incaricata di proporre una nuova legge elettorale presentera’ una proposta in linea con gli standard democratici internazionali. Ma nel variegato e frammentato fronte dei manifestanti molti sono scettici. “Bashar non fara’ mai delle vere riforme democratiche perche’ altrimenti perderebbe il potere. Aveva cancellato la legge d’emergenza ed il giorno dopo oltre 100 manifestanti sono stati uccisi. Noi chiediamo liberta’, basta con lo stato di polizia” dice Munir, studente ventenne dell’accademia di belle arti e attivista da quando le forze di sicurezza l’hanno fermato per strada e messo nel bagagliaio solo perche’ aveva i capelli lunghi. Amina, eroina virtuale della rivoluzione siriana con il blog “una ragazza gay a Damasco” e’ personalmente convinta che “vinceremo, o attraverso una soluzione negoziata o con una vera rivoluzione. Il genio non puo’ rientrare nella bottiglia”. Ciò che è certo è che le proteste vanno avanti da due mesi, che il regime, ha intensificato, nelle ultime due settimane, la repressione contro le manifestazioni, accusate di essere istigate da gruppi salafiti che vogliono destabilizzare la Siria e le vittime sono state finora almeno 850, secondo le Nazioni Unite. E se da una parte le donne sono parte centrale della protesta, anche il regime conta donne importanti ed influenti. In primo luogo la madre di Assdad, Anisa e la sorella Bushra, il cui marito Assef Al Shawkat era a capo dei servizi di sicurezza militari ed è ora consulente per questioni strategiche. C’è poi è Bouthaina Shaaban, sua consigliera politico e per la stampa, laureata in letteratura inglese all’Università di Warwick, iscritta al partito Baath a soli 16 anni, ora cinquatasettene con tre figli, prima traduttrice, poi consigliere di Hafez e quindi del figlio, svolgendo prima un ruolo di interprete e poi quello di ministro per gli Espatriati, fino al 2008. Per molti la persona più influente oggi in Siria.
Carlo Di Stanislao
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