Aveva ragione anche quando pensava di avere torto, il buon Albert Einstein. L’idea della “costante cosmologica” era infatti stato lui il primo a proporla, introducendola sotto forma di lambda nelle sue equazioni di campo della relatività generale. Salvo poi rimangiarsi l’intuizione, a seguito della scoperte di Hubble sull’espansione dell’universo, definendo quel termine lambda «la più grande cantonata della mia vita».
Negli ultimi 15 anni, però, la costante cosmologica ha vissuto un vero e proprio revival, in quanto possibile candidata per dare un nome e un volto all’ineffabile energia oscura, la forza respingente che costituisce il 74 percento dell’universo. Ebbene, gli esiti di una survey di cinque anni su 200mila galassie – la WiggleZ Dark Energy Survey, illustrati in due paper in corso di pubblicazione su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society – sembrano confermare l’intuizione iniziale del grande fisico. «I risultati ci dicono che l’energia oscura è una costante cosmologica, proprio come proponeva Einstein», dichiara infatti Chris Blake, della Swinburne University of Technology (Melbourne, Australia), primo autore dei due articoli.
Ora, che l’universo si stesse espandendo sempre più in fretta lo si sapeva da tempo, grazie soprattutto alle osservazioni di una particolare classe di supernovae, quelle di tipo Ia, le cosiddette “candele standard”, per le quali il calcolo della distanza è relativamente semplice e affidabile. Ma il modo in cui ciò avviene è tutt’altro che chiaro, anzi: è così oscuro che la forza alla base del fenomeno prende, appunto, il nome di “energia oscura”. Una forza che definire controintuitiva è poco: «L’effetto dell’energia oscura», spiega infatti Blake, «è quello che osserveremmo se, avendo lanciato in alto una palla, questa continuasse a salire, ad allontanarsi. Su, verso il cielo, sempre più veloce». E quella della costante cosmologica non è l’unica ipotesi per tentare di spiegare il bizzarro effetto. Esistono teorie alternative. Fra queste, in particolare, ce n’è una che attribuisce l’espansione accelerata dell’universo non alla costante cosmologica bensì alla forza di gravità, che a grandi distanze finirebbe col funzionare al contrario: invece di attirare, respingerebbe. Ebbene, stando ai risultati della nuova survey, quest’ultima ipotesi non tiene. «Se il colpevole fosse la gravità», dice Blake, «gli effetti dell’energia oscura non sarebbero, nel corso del tempo, così costanti come quelli da noi osservati».
Gli effetti ai quali si riferisce Blake sono il pattern di distribuzione delle galassie nello spazio e il tempo impiegato dagli ammassi di galassie per formarsi. Effetti valutati misurando velocità e distanze sulla più grande mappa di galassie in 3D disponibile, quella ottenuta grazie al Galaxy Evolution Explorer della NASA e al telescopio anglo-australiano di Siding Spring Mountain, in Australia. Dunque, un metodo indipendente rispetto alle osservazioni di supernovae Ia. Il calcolo della distanza e della distribuzione delle galassie, nella survey di Blake e colleghi, è stato fatto considerandole due a due. Le coppie di galassie, infatti, stando alle osservazioni e ai modelli cosmologici, sono lontane fra loro, in media, circa 500 milioni di anni luce, per effetto delle “onde sonore” (baryon acoustic oscillations) presenti nell’universo primordiale. Partendo da quest’assunto (battezzato dal team “righello standard”), e misurando la velocità alla quale le coppie di galassie si allontanano dalla Terra, i ricercatori hanno avuto la conferma che lo spazio si sta “stirando” sempre più rapidamente.
Marco Malaspina-Inaf
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