Siamo tutti concentrati sul voto a Milano e nelle altre città o presi dalla esemplare indignazione dei giovani spagnoli che mette in crisi la sinistra. Alcuni si concentrano sulla nuova eruzione in Islanda ed altri sulla presunta uccisione del mullah Oman, anche se, la vera notizia su cui riflettere, riguarda gli ultimi dati ISTAT, che ci dicono che un italiano su quattro è a rischio di povertà o esclusione sociale e, anche se finora la rete di protezione delle famiglie ha tenuto, il problema è in progressivo aggravamento, con una crisi galoppante che colpisce i più i giovani, che in due anni hanno perso mezzo milione di posti di lavoro e che, soprattutto, si aprano ad un futuro senza prospettive né orizzonte. “I giovani e le donne hanno pagato in misura più elevata la crisi, con prospettive sempre più incerte di rientro sul mercato del lavoro, le quali ampliano ulteriormente il divario tra le loro aspirazioni, testimoniate da un più alto livello di istruzione, e le opportunità. Una quota sempre più alta di giovani scivola, non solo nel Mezzogiorno, verso l’inattività prolungata, vissuta il più delle volte nella famiglia di origine, e verso bassi livelli di integrazione sociale, soprattutto per quelli appartenenti alle classi sociali meno agiate”; si legge nel focus del rapporto, che fa pendant con la recentissima bocciatura di Standard&Poor’s, che sabato 21 maggio ha rivisto da stabile a negativo l’outlook, del nostro Paese, che sconta, nelle attese di bassa crescita, il rischio di paralisi politica. Nessun sollievo è arrivato con le dichiarazioni di Fitch, agenzia di rating concorrente, che invece conferma outlook e rating sull’Italia, né ci tranquillizzano le parole di Tremonti che a Reuters dichiara: “Abbiamo tenuto e ci sono tutte le condizioni per continuare a tenere”. Da Bruxelles il commissario europeo agli Affari economici Olli Rehn ha rassicurato sul fatto che l’Italia “è sul sentiero prestabilito per rispettare gli obiettivi di deficit”, ma sono in molti a ritenere la cosa poco fondata ed il Paese in profondissima crisi. L’Agenzia USA S&P, che gli esponenti di governo hanno subito definito “scredita”, non ritiene credibile il percorso di risanamento del nostro Paese, sull’arco temporale che porta al 2014, a causa della estrema debolezza dell’azione dell’esecutivo. Qui ci corre l’obbligo si segnalare che l’agenzia americana è “dietro la curva”, come si dice sui mercati, riferendosi all’azione di banche centrali che sono in ritardo a comprendere l’evoluzione congiunturale e le misure da adottare. E’ dietro la curva perché la debolezza del governo italiano esiste dal primo giorno del suo insediamento, e non è il prodotto di recenti sommovimenti, che pure ci sono stati. Anche nel momento di maggiore compattezza della maggioranza, nulla è stato fatto per avviare riforme di struttura vere, al netto di qualche pannicello caldo, come i salari di produttività (nati già rachitici ed assoggettati alla crisi fiscale dello stato, che ha impedito una loro applicazione estensiva). In questo contesto di non riforme, S&P si è accorta (con grande ritardo, ancora una volta) del fatto che il nostro pPese continua a non crescere. In sostanza, all’agenzia di rating non sta bene il fatto che l’esecutivo, ed i suoi più vocali sostenitori, abbiano deciso di barattare le non-riforme con una politica di contenimento delle spese e di aumento strisciante della pressione fiscale. Ed è questo il grande equivoco alla base di molte reazioni provenienti dalle file della maggioranza, e non solo. Ma come, si stupiscono i più, minacciate di declassare il nostro debito proprio ora che stiamo promettendo il pareggio ciclico del bilancio pubblico nel 2014? Trascurando il dettaglio che il grosso della correzione è previsto per il 2012 (anno pre-elettorale) ed il 2013 (primo anno di una nuova legislatura), e che già questo fa inarcare più di un sopracciglio, S&P teme (con ragione) che un paese che colma i buchi di bilancio con strette fiscali e tagli di spesa senza fare nulla per la crescita, finirà con l’implodere. Soprattutto nell’ipotesi di un aumento dell’onere per il servizio del debito, che appare pressoché certo sia per la normalizzazione dei tassi d’interesse promossa dalla Banca centrale europea che per il persistentemente elevato premio al rischio che caratterizza i paesi con maggiore debito pubblico. Secondo il rapporto ISTAT: “Nel decennio 2001-2010 l’Italia ha realizzato la performance di crescita peggiore tra tutti i paesi dell’Unione europea” ed è il “fanalino di coda dell’ Europa Unita”. Nel biennio 2009-2010 il numero di occupati è diminuito di 532 mila unità. I più colpiti sono stati i giovani tra i 15 e i 29 anni, fascia d’età in cui si registrano 501 mila occupati in meno, dice l’Istat. L’Istituto spiega che “circa i tre quarti della caduta dell’occupazione del biennio hanno riguardato l’industria in senso stretto” (-404 mila unita’ nel 2009-2010), nonostante l’ampio utilizzo della Cig (ordinaria, straordinaria, in deroga). Nel Mezzogiorno la discesa della manodopera industriale è doppia in confronto al Centro-Nord (rispettivamente, 13,8 e 6,9 per cento), contribuendo a ridurre ancora di più il tasso di industrializzazione di questa area geografica. L’Istat spiega come “nonostante la sostanziale stabilità degli indicatori di deprivazione economica, il 43% delle famiglie dichiara di aver visto peggiorare la propria situazione economica rispetto all’anno precedente”. La leggera ripresa del reddito, sottolinea ancora il dossier, “non è riuscita a compensare nè la riduzione registrata nel 2009 nè la contemporanea variazione dei prezzi, determinando un’ulteriore contrazione del potere d’acquisto (0,5%)”. La percentuale di famiglie incapaci di far fronte a spese impreviste si colloca al 33%; quella delle famiglie in arretrato nei pagamenti all’11,1; le famiglie che non possono permettersi l’auto o la lavatrice sono il 3,9, mentre il 6,9 non fa un pasto proteico almeno ogni due giorni. Sempre in base ai dati ISTAT, inoltre, le buste paga per gli stranieri in Italia nel 2010 sono state sensibilmente più leggere e, a parità di professione, la retribuzione mensile netta degli immigrati è stata del 24% in meno rispetto a quella degli italiani (rispettivamente 973 e 1.286 euro). Secondo il dossier, ancora, il differenziale aumenta fino al 30% per le donne (788 e 1.131). In confronto al 2009, si legge nel focus, “lo svantaggio degli stranieri è divenuto più ampio sia per gli occupati a tempo pieno sia per quelli a orario ridotto”. Inoltre, per effetto della diversa struttura produttiva, “le disuguaglianze retributive tendono a differenziarsi a livello territoriale passando da circa il 22% nel Nord a poco meno del 34 del Mezzogiorno”. In questa area, inoltre, la più elevata presenza delle straniere impiegate nei settori dell’agricoltura e del terziario innalza il divario fino al 35%: 680 euro le straniere e 1.048 le italiane. Secondo Standard & Poor’s, vi sono almeno dieci motivi per il declassamento italiano, con il dito puntato su: infrastrutture, istruzione, mentalità, sistema decisionale e politico, debolezza industriale, ricerca e sviluppo, concorrenza nei servizi, eredità del debito pubblico, burocrazia. Ieri sera, Report, il programma condotto da Milena Gabanelli, ha mostrato, dati alla mano, come da noi l’investimento su giovani e famiglie e tre-quattro volte più basso che in Francia e Germania, come non vi siano aiuti per i figli, per le famiglie e per i giovani di talento che intendano studiare. Se poi si tratta di entrare nell’Università, negli ospedali, nella magistratura, la battaglia per la poltrona viene condotta senza esclusioni di colpi. Il problema di fondo è sempre lo stesso. Non sono i più bravi a superare i concorsi, ma i figli di, gli amanti di, gli amici di. Il panorama che ne scaturisce è sconfortante. Uno scandalo, una vergogna, di cui si dovrebbe parlare ogni giorno, mentre i tg, si sa, sono impegnati a discutere di sole d’estate, traffico nel week end, nuovi gusti del gelato o mandare, a reti unite, videocassette del premier, che avverte che se vince la sinistra s’islamizza Milano e l’intero Paese.
Carlo Di Stanislao
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