Lettera a Bob Dylan per i suoi 70 anni

“Tutto quello che posso fare è essere me stesso, chiunque io sia” Bob Dylan Il suo nome di battesimo, Robert Allen, gli sembra troppo altisonante, adatto tutt’al più per qualche re scozzese. Quello che cercava era qualcosa di più semplice ed esotico: magari Robert Allyn, come il sassofonista della West Coast David Allyn; oppure Robert […]

“Tutto quello che posso fare è essere me stesso, chiunque io sia” Bob Dylan
Il suo nome di battesimo, Robert Allen, gli sembra troppo altisonante, adatto tutt’al più per qualche re scozzese. Quello che cercava era qualcosa di più semplice ed esotico: magari Robert Allyn, come il sassofonista della West Coast David Allyn; oppure Robert Dylan, come quel poeta dal nome fascinoso, Dylan Thomas. Ma Bobby Dylan suonava troppo civettuolo, invece Bob Dylan era perfetto. Un nome nuovo, una vita nuova, persino un nuovo passato, reinventato ogni volta secondo l’ispirazione del momento, avventuroso, romantico e leggendario come quello dei personaggi delle canzoni che impara voracemente ogni giorno.Portavoce di una generazione di utopie, ultimo bardo di una tradizione perduta, menestrello elevato al rango di poeta, appena sembra di averlo inquadrato in una definizione, eccolo già lontano nella direzione opposta. Una maschera enigmatica e sfuggente, in perenne contraddizione con la propria immagine. Perché la sfinge Bob Dylan non si presta alle semplificazioni di comodo del mito: la sua chiave non si nasconde negli stereotipi che il tempo gli ha cucito addosso. “Non sono io che ho creato Bob Dylan. Bob Dylan è sempre esistito e sempre esisterà”. Compie oggi 70 anni Bob Dylan, personaggio della commedia dell’arte, protagonista di una folk song dimenticata, tutto il contrario di ciò che su di lui è stato detto e scritto. E a lui ho immaginato di inviare questa lettera.
“Tanti auguri Bob, gigante della  cultura americana e mondiale, che ti sei meritato molte candidature al Nobel e sei stto considerato, da “Rolling Stone” nel 2004, il più grande artista rock di tutti i tempi,  solo dietro ai Beatles. Negli anni tu, invece di riposare sugli allori ed invecchiare, hai ampliato e personalizzato il tuo stile, spaziando dal rock’n’roll al jazz, dal gospel alle musiche popolari inglesi, scozzesi e irlandesi. Oggi compi 70 anni  e, nel mio Paese, Arcana ha ristampato “Mr.Tambourine”, una raccolta di tutti i tuoi testi e poesie dal 1962 al 1985,  tradotti in italiano e introdotti da Patty Smith, che in tanta parte di strada ti ha fatto compagnia. Mi è parso curioso il modo di festeggiarti della Bbc, che ha mandato  l’intervista inedita che rilasciasti nel 1966 dopo un concerto “Sono uscito dalla dipendenza da eroina a New York  Sono diventato molto teso, voglio dire molto molto teso e ho smesso. Ero solito spendere 25 dollari al giorno in eroina, e ho smesso”. Nella conversazione con l’amico  e giornalista Robert Shelton, rivelavi di aver pensato di suicidarsi dopo essere stato definito un genio ma di esserne uscito. “Sono felice – dichiaravi – ma felicità è una parola un po’ conveniente. Mi sparerei al cervello se le cose andassero male. Mi butterei da una finestra, mi sparerei davvero. Penso alla morte in modo aperto, sai”. Non so in quanti ti capiranno. Ma credo anche che ne riderai e non ti importerà, come non ti è mai importato per le querelle se tu fossi più un cantante o un poeta, schivo e affezionato a giocare con qualsiasi argomento, mentre permettevi alla musica popolare e al rock di salire a cime impensabili, trattando le parole non più come un riempitivo della melodia, ma come il sale sulle ferite tracciate dalle armonie. Certamente, anche chi non ti ama, deve riconoscere che sei stato e resti un gigante della cultura degli ultimi 50 anni,  come disse Bruce Springsteen nel discorso con cui, nel gennaio 1988, entrò nella Rock and Roll Hall of Fame: “Bob ha liberato le nostre menti nello stesso modo in cui Elvis ha liberato il nostro corpo”. Aveva ragione e ragione da vendere. Da questo punto di vista il tuo contributo è addirittura difficile da definire: con i dischi incisi negli anni ’60 all’inizio della tua carriera, hai aperto alla musica popolare le porte della grande letteratura, creando un modello (il cantautore) e un mito, per poi lottarvi contro, tutta la vita. Il fatto è che proprio le tue canzoni più celebri di quel periodo, così immerse nella tradizione popolare americana e al tempo stesso assolutamente anti retoriche nella loro essenza, hanno rappresentato, e ancora rappresentano, la sintesi perfetta dello spirito di quel tempo, diviso tra le aspirazioni a un mondo migliore, il rifiuto della guerra, la ricerca di un’identità per i giovani, da poco diventati effettivamente una nuova categoria sociologica. Da The Frewheelin’, Blonde on Blonde, The Times They Are a Changin’ e Highway 61 Revisited,   sono passati quasi 50 anni e tu, che hai sempre ostinatamente rifiutato il ruolo del profeta, li hai trascorsi tra alti e bassi, svolte improvvise e iniziative sorprendenti, ostentando un’olimpica indifferenza a quello che succedeva attorno alla tua musica. Sei un enigma che compie 70 anni, raccontato forse meglio che altrove, nel film “io non sono qui”, con sei personaggi e sei attori (compresa Cate Blanchett), per rintracciarti. Ricorderò sempre le tue canzoni a commento di un film di uno di destra, Sam Peckinpah, ma che era capace di parlare di uomini veri, che gli eventi portano su opposte rive. E ti ricorderò quando, qualche anno fa , ti presentasti al Molo Ichnusa: scontroso come una zitella, senza salutare il pubblico, senza neanche un “ciao Cagliari”, limitandodi a suonare e cantare divinamente,  per un paio d’ore. Sei stato e sei (e non solo per la mia generazione,  nostalgica e cadente), il menestrello di Duluth, Minnesota, Stati Uniti d’America, fresco ancora come a Elmas, sulla pista di rullaggio. Due giorni fa la tua leggenda durata 70 anni è stata raccontata con un “focus” in prima Tv da Studio Universal, ricordando che, oltre tutto, la tua musica ha contribuito alla realizzazione di 100 film.  La mia generazione (di questo non ti sarò mai sufficientemente grato), ha capito grazie a te che dall’altra parte dell’Atlantico non c’erano solo rose e fiori e che l’american dream poteva essere molto più poetico dell’avere successo, si era quello di non andare ad ammazzare altri coetanei innocenti, in giro per il mondo. La tua love-story con Joan Baez (che ai settanta è giunta a gennaio), ha fatto molto rumore: sul palco o sul vinile; ma poi è stata la vicenda più bella di sempre, il completamento di una vita piena di sorprese e di stile”.

Carlo Di Stanislao

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