Guerre senza senso

Secondo agenzie di ieri, passate in secondo piano per la “botta” elettorale alla destra, due dei sei militari italiani vittime, tre giorni fa,  dell’attentato alle porte di Sidone, roccaforte sunnita libanese a sud di Beirut non lontana dal fiume Litani, sono ancora in condizioni critiche, un altro presenta una difficile ferita vicina ad un occhio, […]

Secondo agenzie di ieri, passate in secondo piano per la “botta” elettorale alla destra, due dei sei militari italiani vittime, tre giorni fa,  dell’attentato alle porte di Sidone, roccaforte sunnita libanese a sud di Beirut non lontana dal fiume Litani, sono ancora in condizioni critiche, un altro presenta una difficile ferita vicina ad un occhio, mentre gli altri tre potranno essere dimessi nei prossimi giorni. Resta da comprendere, comunque,  per quale ragione i militari si muovessero su mezzi così esposti e, a quanto pare, senza indossare elmetto e giubbotto anti proiettile. Le normali disposizioni per i 13 mila caschi blu di Unifil prevedono, infatti,  di portare sempre con sé questi equipaggiamenti protettivi da indossare in caso di emergenza, ma non c’è l’obbligo di circolare con giubbotto ed elmetto addosso. Negli ultimi mesi però si sono infittite le indiscrezioni circa le minacce terroristiche a Unifil, segnalate dall’intelligence libanese ma anche da alcuni servizi segreti europei (italiani, tedeschi e francesi) e dagli israeliani. La Stampa del 29 maggio ha reso noto un documento classificato dell’Onu,  nel quale le promesse del ministro degli Esteri siriano, Walid Al Mouallem, di rispondere alle sanzioni decise dalla Ue contro Damasco vengono interpretate come una minaccia per gli interessi e i militari europei in Libano. Pertanto, nonostante le smentire, vi sono prove circa un intensificarsi del rischio per quelle truppe che devono da tempo fare i conti anche con le provocazioni di Hezbollah,  che continua impunemente a trasportare armi nel Sud del Libano presidiato da caschi blu e da tre brigate dell’esercito libanese,  da sempre molto compiacenti nei confronti dei miliziani sciiti. Non è vero, dunque, che nessuno se l’aspettava. Ci sono parecchi pezzi di carta che raccontano di questo allarme invece pubblicamente negato a livello internazionale. Soprattutto c’è un post-it, appiccicato sul documento confidenziale siglato CLX-058 e circolato su una manciata di scrivanie di uomini delle Nazioni Unite in due momenti diversi: prima dell’attentato e dopo. Fra i dettagliati punti di quello che è di fatto un rapporto di intelligence, vi sono frasi evidenziate in giallo e un commento aggiunto a ordigno esploso laddove l’estensore del testo – anche dopo aver avuto conversazioni con le sue fonti libanesi – ricorda le ritorsioni minacciate dal ministro degli Esteri siriano Walid Al Mouallem per le sanzioni imposte dall’Europa al regime di Damasco, reo di reprimere con la violenza le proteste anti-Assad. L’attacco di Sidone, secondo quanto emerso dai primi interrogatori, sarebbe da mettere in relazione agli scontri del 15 maggio, alle frontiere con Israele. Lo Stato ebraico aveva accusato Damasco di essere dietro quelle proteste avvenute a metà del mese, orchestrate – a suo dire – per distogliere l’attenzione da quello che sta succedendo in Siria. Che influenzi tutta l’area è comunque evidente a tutti. Il documento premonitore dell’Onu, intitolato non a caso “L’impatto della crisi siriana sulla situazione politica e sulla sicurezza in Libano”, sottolinea che dopo aver applaudito le rivolte in altri Paesi arabi e taciuto a lungo sui fatti dell’immediato oltreconfine, il 25 maggio, a due giorni dall’attentato agli italiani, il leader degli Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha rotto il silenzio sulla Siria, dichiarando il suo appoggio al presidente Bashar Assad che «a differenza dei leader di Libia, Bahrein e Yemen ha avviato un percorso di riforme”. Hezbollah, va detto, ha condannato l’attacco di Sidone. Fonti diplomatiche locali, però, «annotano e registrano la coincidenza temporale fra le affermazioni di Nasrallah e le notizie giunte poche ore dopo». E non si placa la polemica, sul Tempo ed altri giornali di destra, circa il fatto che in Libano noi ci stiamo senza un vero perché, a causa di D’Alema che, all’epoca ministro degli esteri, per motivare la decisione di scappare dall’Iraq, fece ricorso al mendacio intenzionale, per risolvere, con una mossa azzardata, un problema di politica interna e senza alcuna seria riflessione sulle sue finalità. Il mandato dell’Onu prevedeva il blocco delle forniture militari che, attraverso la Siria, affluivano a Hezbollah e il disarmo di quest’ultimo. Ma nessuno ha mai ordinato di eseguirle e la loro fattibilità era comunque dubbia. Allora cosa ci stanno a fare i quasi duemila (il contingente più numeroso da sempre) i nostri militari in Libano? La risposta ufficiale è che sono un “cuscinetto”, una forza d’interposizione fra Hezbollah e Israele, che ha anche l’obiettivo di stabilizzare la regione, ma i fatti dimostrano che il tentativo è fallito e gli italiani sono una vera e propria una forza d’interposizione fra due opposti contendenti. Ma se è vero che la responsabilità è di Prodi e del suo governo, perché questo governo non ha ritirato i nostri soldati, ma si è limitato a dire, con il solito Maroni, che ridurremo gradualmente il contingente? Ieri vi è stato un ennesimo attacco contro i nostri militari a Herat e Berlusconi si è limitato a dirsi solidale con i nostri soldati, ma non se l’è nemmeno sognato di mettere in forse un’altra missione che, ogni giorno, miete vittime in una guerra che non ci appartiene, non fa bene a nessuno e, soprattutto, non pare portare da nessuna parte. Ha ragione il generale Castagnetti, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito italiano fino al 2009, dopo avere lavorato per anni come osservatore Onu in Libano, Siria, Israele ed Egitto, il quale ha detto, anche la politica deve fare la sua parte, ponendo obiettivi realistici e coordinando i diversi attori presenti sul campo, per evitare che la nostra missione perda la sua incisività. Ma la politica, evidentemente è, in tempi e con colori diversi, molto spesso distratta.

Carlo Di Stanislao

 

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