Compare e scompare all’improvviso, come pioggia in Estate, la guerra libica, sui nostri quotidiani e nei vari Tg, ma non per questo è meno sanguinosa, crudele, confusa, con Gheddafi tutt’altro che battuto e che, anzi, gioca a scacchi, di fronte alle telecamere, in un palazzo degli uffici amministrativi del Paese e non in un bunker, con Kirsan llyumzhinov, presidente della Federazione Internazionale di Scacchi, mentre le sue truppe uccidono altre 21 persone, nell’Est della sua Nazione. Hilary Clinton, in visita ad Addis Abeba, ha chiesto a tutti gli Stati africani di cessare il fuoco e di allontanare il Rais e tutti i diplomatici che ancora lo sostengono, ma intanto lui se ne sta a giocare a scacchi, assomigliando sempre più a Vlad Tepes, figlio di Vlad II Dracul, che addirittura banchettava con i prigionieri impalati e moribondi che lo circondavano. La Germania, estranea alle operazioni militari, ha finalmente riconosciuto il Consiglio Nazionale di Transizione come unico rappresentante libico, mentre sul fronte di battaglia i ribelli sono riusciti ad avanzare di alcune decine di chilometri da Misurata verso Tripoli, ma registrano anche una sconfitta nella zona costiera di Zawiya, a 50 km a Ovest di Tripoli e le colonne fedeli a Gheddafi hanno riportato piccole vittorie anche nella zona montana di Nafusah, dove i ribelli si erano spinti fino a 70 km dalla capitale. Nella città di Brega, che ospita un importante terminal petrolifero, circa 7.000 soldati fedeli al Colonnello avrebbero impedito ai ribelli di conquistare il pozzo. Frattini condivide con la Clinton l’idea che Gheddafi ed il suo regime abbiano i giorni contati e Farhat Bengdara, ex direttore della Banca Centrale libica, che ha abbandonato l’incarico all’inizio del conflitto, dichiara che il regime non ha più liquidità. A conferma di ciò, ha raccontato, il governo di Gheddafi ha chiesto alle banche commerciali di consegnargli qualsiasi valuta forte abbiano; quattro direttori di importanti banche hanno cosi’ lasciato l’incarico (ma Bengdara non ne ha rivelato i nomi per questioni di sicurezza). Il regime ha anche 155 tonnellate di lingotti d’oro che pero’ non possono essere utilizzati facilmente per pagare le forniture. Parallelamente gli aerei della Nato controllano i movimenti sul terreno, rendendo difficile l’approvvigionamento di carburante necessario alle forze di regime. “Hanno cercato di importare carburante con qualunque mezzo, ma non ci sono riusciti”, ha aggiunto l’ex banchiere. La Nato punta inoltre a distruggere qualsiasi deposito di carburante, anche sotterraneo, del Colonnello e a tagliarne le linee di approvvigionamento via terra. Il blocco navale impedisce, tra l’altro, i rifornimenti di derrate alimentari alla popolazione libica. Le scorte accumulate sono destinate ad esaurimento. I metodi di guerra adottati contro Gheddafi ricordano da molto, molto vicino quelli usati contro l’Iraq di Saddam Hussein. Pressoché identica anche la morfologia del terreno e la strategia militare di strangolamento adottata dall’aggressore, compreso i bombardamenti “ad personam”. Scrive “Rinascita” che la differenza più significativa sta nel volume di fuoco scatenato nel 2003 su Baghdad e nel 2011 su Tripoli, anche se c’è da dire che sia i numeri che le qualità, nel personale e nelle dotazioni militari, sul campo non sono comparabili. Per il numero uno della Royal Navy, la guerra in Libia è diventata insostenibile. Come riporta il Guardian, l’ammiraglio Sir Mark Stanhope ha ammesso ieri che la flotta di Sua Maestà non sarà in grado di assicurare la stessa intensità di operazioni contro il regime di Gheddafi anche dopo l’estate. Il primo lord del mare ha precisato che secondo gli accordi iniziali, la campagna di Libia sarebbe dovuta durare solo sei
mesi. Alla luce dell’attuale situazione, Sir Mark Stanhope chiede ora al governo di prendere “decisioni difficili” sul prosieguo delle operazioni nel Mediterraneo. E’ una questione di priorità, visti i costi della guerra, i mezzi a disposizioni e l’importanza del fronte afghano. Stanhope ha ricordato che recentemente la marina britannica è stata costretta ad acquistare missili Tomahawk dagli Stati Uniti per sostituire quelli che aveva già sparato. Costi enormi che fanno pesare il taglio di oltre cinque mila posti di lavoro, tra le forze del mare e del cielo, e che soprattutto richiedono un innalzamento significativo della spesa dopo il 2015, se si vuole rispettare gli impegni assunti con la Nato. Costi enormi (si stima fra 700 milioni e un miliardo di Euro), anche per noi italiani, che in guerra siamo, anche se abbiamo dichiarato di non sparare. Comunque, il giorno 7 giugno, prima della partita in diretta tv, Gheddafi, sempre dai teleschermi di stato, aveva detto che dalla Libia lui non se ne andrà mai: un milione di volte preferibile il martirio alla resa. Al di là di qualche aspetto propagandistico (le tribù si imporranno agli armati, i sostenitori vengano a fare gli scudi umani, ecc.), si conferma quanto da più parti e da tempo scritto su di lui, che non è Mubarak o Ben Ali e certamente non vuol finire come Saddam, processato e impiccato. Non vuole andarsene in qualche Paese ospitale. Gli brucia l’assassinio dei figlio e dei nipotini. Ha una sua figura nella storia della Libia, dell’Africa e dell’Islam. Può essere una sorta di droga la prospettiva di finire sotto una bomba più “fortunata” di altre o vittima di qualche infiltrato nel breve, o dei ‘Bengasiani’ entro qualche settimana. Gli estremisti islamici, che pure non amano il rais, sarebbero ben contenti di agitarlo come vittima-martire degli imperialisti occidentali, bombaroli e alleati, che stanno dilapidando una quantità incredibile di risorse per distruggere, sapendo poi di dover tirarne fuori altre per ricostruire. Così cresce, nell’opinione pubblica, la sensazione di una guerra inutile e sporca, una sorta di crociata sanguinosa contro uno oggi chiamato nemico, ma che noi stessi abbiamo contribuito a far crescere, armare e stabilizzare. Ilyumzhinov è un personaggio eccentrico: sostiene da oltre dieci anni di avere incontrato extraterrestri con i quali ha comunicato per telepatia prima di fare un giro con loro a bordo di una navicella spaziale. Adesso potrà dire che ha giocato contro un mostro sanguinoso che tiene in scacco una Nazione, attaccato da ex alleati che adesso gli rimproverano quello che ieri avevano finto di non vedere. Ad esempio, lo stupro di massa, che era praticato nei lager di Gheddafi anche prima dello scoppio della guerra civile. “In Libia ci hanno torturate, picchiate, stuprate, trattate come schiave per mesi. Meglio finire in fondo al mare. Morire nel deserto. Ma in Libia no”. Parole di donne, pronunciate da nigeriane, etiopi, eritree, somale che erano riuscite ad arrivare a Lampedusa. Era il 2009. L’Italia sapeva e taceva. Perché, a quei tempi, il Colonnello era ancora l’”amico Muammar “, con cui fare affari, imparare la pratica del Bunga Bunga e dare il meglio di sé da Bruno Vespa.
Carlo Di Stanislao
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