Quello del Marocco è stato un passo importante verso la democrazia, con una partecipazione al referendum, che l’opposizione aveva invitato a boicottare, del 72% ed una schiacciante vittoria dei sì, attestatisi sul 98%. Con la riforma, il sovrano del Marocco non potrà più nominare il primo ministro a suo piacimento, ma dovrá scegliere un esponente del partito di maggioranza. Inoltre non potrá più nominare i titolari dei dicasteri di Difesa, Interni, Esteri e Affari Religiosi, o destituire ministri, senza il consenso del premier. Il re non è più persona “sacra”, ma rimane “inviolabile” e continua a presiedere le riunione del governo e dei consigli giudiziario e di sicurezza. Può sciogliere il parlamento e continua a guidare l’esercito e il consiglio religioso degli ulema. Infine la nuova costituzione pone l’amazigh, la lingua della minoranza berbera, sullo stesso piano dell’arabo. Una risposta che va nella linea riformista della manorchia di Rabat e che non si è fatta attendere appena si è affacciato sulla scena del dissenso il movimento del 20 febbraio. Dal primo discorso del 9 marzo, nel quale Mohammed VI prometteva una riforma globale a partire dalla costituzione, altri veloci passi ne sono seguiti, a differenza, ad esempio, di quanto sta accadendo in Siria (ieri altri 24 morti) e Yemen (dove oltre 100.000 persone hanno ancora protestato contro il governo e l’Arabia Saudita che lo appoggia). Per prevenire il contagio delle rivolte nel mondo arabo, il 17 giugno il sovrano del Paese nordafricano ha proposto di cedere alcuni poteri al primo ministro e al Parlamento, rinunciando al ruolo di capo del governo e trasformando la sua monarchia da assoluta a costituzionale . Il Marocco in questi anni ha voglia di stabilità: la crescita economica è continua e il processo di democratizzazione va incontro alle esigenze di una società in cammino. Pur se bisogna sempre tenere presente che siamo sempre in un Paese dove l’analfabetismo tocca altissime vette, perciò la strada verso la democrazia piena è ancora lunga. La Costituzione è certamente un passo importante. Mohammed VI ha aperto una nuova pagina, con un nuovo ordine di poteri non più esclusivi. Nuovi poteri vengono messi nelle mani del primo ministro, scelto dal partito che vince elezioni. Siamo sulla via di una monarchia parlamentare di tipo europeo e questo è un fatto davvero importante. L’insorgere delle piazze arabe, dopo l’effetto domino di Tunisia e Algeria, è la dimostrazione che anche il regime più autoritario e determinato a conservare il potere a qualsiasi costo può essere messo in discussione e addirittura venire abbattuto. In Senegal un crescendo di proteste, culminate il 23 giugno in una serie di manifestazioni organizzate dai partiti dell’opposizione e che hanno visto la partecipazione di massa dei giovani della capitale Dakar, ha bloccato una riforma costituzionale che stava per essere approvata dal parlamento.Ancora più importante l’avanzamento democratico in Marocco, con le proteste popolari che hanno accelerato un processo, peraltro già avviato negli ultimi 10 anni da re Mohamed VI , di cui la riforma del diritto di famiglia, varata nel 2004, ha costituito una delle pietre miliari. E anche se il movimento “20 febbbraio” commenta che continuerà la sua protesta giudicando la riforma insufficiente, i dati confermano la vittoria del sovrano marocchino che è riuscito, ancora una volta, a conquistare l’appoggio dei suoi sudditi. Certo restano ancora nel Paese problemi e contraddizioni difficilmente superabili in tempi brevi, ma l’avvio verso una nuova direzione è segnato ormai in modo irreversibile. I limiti presenti in una società ancora al guado tra l’antico e il nuovo che avanza pesano sui tempi e sui termini degli interventi istituzionali ed economici che il Marocco ha promosso da più di un decennio. Si tratta tuttavia di una fase di grandi aspettative, destinate alla lunga a trasformare il Paese atlantico. Allo sforzo posto in essere dal re deve ora corrispondere l’analoga tensione del tessuto sociale e delle stesse parti politiche, soprattutto dopo l’emergere inevitabile di sintomi di malessere più o meno diffusi, culminati purtroppo con gli eventi di Marrakech. Il richiamo delle sirene fondamentaliste, il permanere delle tensioni nella provincia dell’ex Sahara spagnolo e la ormai indifferibile soluzione della questione femminile (che peraltro, la monarchia ha già mostrato di affrontare con sapiente regia e decisione) sono solo alcune delle sfide con cui dovrà misurarsi la stagione, già avviata, di rinnovamento del Marocco.
Carlo Di Stanislao
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