Dopo lo scorso “venerdì nero”, ieri la borsa ha perso un ulteriore 4% e lo spread fra i bond italiani e tedeschi, ha segnato un nuovo record differenziale, con 311 punti, mente i Bpt sono saliti al 5,75%, contro il 2,64 degli analoghi tedeschi. L’Italia è sotto attacco finanziario e sono in molti a ritenere che le grandi forze economiche non credono più nella nostra possibilità di ripresa, tanto da considerare il nostrio rischio default superiore a quello della Spagna. La stessa Angela Merkel, che è restia a farlo e che pure non ama né stima Berlusconi, lo ha chiamato ieri, dopo che lui in mattinata l’aveva cercata, per chiedere al nostro governo segnali forti e urgenti per risanare i conti, mentre il ministro delle Finanze tedesco ha sottolineato che siamo sulla strada giusta: basta approvare al più presto la manovra finanziaria. Il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker ha ribadito, al termine dei lavori dei ministri delle Finanze della zona euro, ieri a tarda notte, che l’Italia non è un argomento di discussione e che in ogni caso le risposte fornite dall’Eurogruppo saranno sufficienti a calmare i mercati. Ulteriori indicazioni sui sentimenti degli investitori, comunque, si attendono oggi, quando arriveranno dalle aste di titoli di Stato nell’Eurozona. Sotto i riflettori Grecia e Italia, con la prima che offrirà titoli a 26 settimane per 1,25 miliardi e la seconda che emetterà sul mercato primario Bot-annuali per 6,75 miliardi contro i 7,5 in scadenza. Il rendimento fissato all’asta precedente (che diventa il benchmark per giudicare il livello di tensione dei mercati) è stato del 2,147 per cento. Ieri sera Berlusconi, dopo una riflessione di 48 ore fra Sardegna ed Arcore, nelle sue residenze trasformate in veri e propri “bunker di guerra”, con tutti i consiglieri ed i collaboratori che elaboravano strategie per contrastare l’attacco speculativo, ha emesso, dopo l’appello alla coesione nazionale sulla manovra del Presidente Napolitano, una dichiarazione in cui ha espresso la sua disponibilità collaborativa con l’opposizione. Già per oggi è previsto un tavolo di confronto tra maggioranza e opposizione al quale potrebbe partecipare lo stesso premier, secondo il quale le cose, alla fine, si aggiusteranno perché, una volta approvata la manovra, anche la speculazione contro l’Italia allenterà la sua morsa. Del resto, ha dichiarato: “siamo ben lontani da una situazione come quella greca” Il Governo, “ha fatto la sua parte”, i conti pubblici sono in ordine e ora tocca al Parlamento accelerare i tempi della manovra. Certo, l’Italia è il Paese più colpito, ma, nonostante tutto, non c’è ancora un vero “problema Italia” bensì un “attacco sistemico contro l’Euro” cui occorre reagire in maniera efficace e coordinata. Dalla Banca d’Italia giungono, intanto, messaggi incoraggianti. Domani, mentre i banchieri si riuniranno per l’assemblea annuale dell’Abi, il vicedirettore generale di palazzo Koch, Ignazio Visco, verrà ascoltato sulla manovra alle commissioni Finanze e Tesoro di Camera e Senato. Venerdì verrà reso pubblico il bollettino economico della stessa Banca, con la parte riguardante la valutazione sulla manovra e sempre venerdì saranno noti i risultati degli “stress test” sulla banche italiane che non desterebbero, però, particolari preoccupazioni. Amedeo La Mattina su La Stampa, avverte che la situazione resta grave e che il governo è chiamato ad una prova di grande responsabilità. E’ vero che la Cancelliera ha apprezzato pubblicamente la manovra presentata dal governo italiano, “fiduciosa” sul fatto che l’Italia riuscirà a realizzare il risanamento del bilancio per ristabilire la fiducia nell’eurozona. “Ma quella della Merkel è una solidarietà pelosa”, ha commentato uno dei parlamentari più vicini al Cavaliere e, infatti, la signora di Berlino ha detto altro ai giornalisti tedeschi, spiegando che l’Italia si deve salvare da sola. La Grecia si tenta di salvarla, se dovesse succedere qualcosa del genere al Portogallo l’Europa si muoverebbe allo stesso modo. Per il nostro Paese invece non è pensabile perché non c’è un fondo europeo in grado di fare fronte al salvataggio di una economia come la nostra. Una doccia freddissima. Forse queste cose la Merkel le ha dette anche a Berlusconi nella telefonata che, stranamente, è stata resa nota da Berlino e non da Roma, che è venuta dopo che era stato Berlusconi a cercare la Cancelliera e che, a parte tutto, non cancella il fatto che non sono previsti paracaduti per l’Italia. Sempre ieri la Borsa di Tokyo ha chiusa la seduta a ridosso dei minimi intraday, con un calo dell’1,43% in scia ai timori sulla tenuta di Eurolandia, alle prese con le turbolenze finanziarie estese all’Italia e delle discussioni sul budget negli Usa, all’insegna del riordino dei conti pubblici. Insomma la situazione internazionale è tale che l’Italia o si salva da sola o non si salva affatto. Ieri, come detto, i ministri finanziari dell’Eurozona hanno annunciato una serie di nuove misure in preparazione contro il rischio di “contagio” della crisi finanziaria. Si tratta, secondo le parole usate dal presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, di “alleggerire il peso” del debito pubblico della Grecia e degli altri Stati membri in crisi finanziaria, riducendo i tassi d’interesse da loro pagati, prorogando le scadenze dei rimborsi ai creditori (nel caso specifico di Atene), e soprattutto permettendo al “Fondo salvastati” (Efsf) di intervenire sul mercato secondario dei bond, direttamente, con l’acquisto di titoli di Stato dei Paesi messi sotto pressione dai mercati, oppure indirettamente, prestando a quei Paesi i soldi per ricomprare i propri bond (il cosiddetto “Buy back”). Oggi, dalle 9, i ministri sono di nuovo riuniti e, certamente, parleranno del rischio Italia ma, è già scontato, si vi prenderà atto della necessità che il Nostro Paese se la cavi da solo. Come scrive sempre su La Stampa Mauro De Aglio, esperto di problemi economici, tra moneta americana e moneta europea è in atto una sorta di duello tra due debolezze: gli americani devono fare i conti con un rilancio non riuscito della loro economia, con un “tetto” del debito pubblico di fatto già sfondato, senza il consenso parlamentare, con qualche preoccupante segnale di inflazione incipiente; gli europei con i conti pubblici pericolanti di molti Paesi dell’euro. L’attacco al debito pubblico italiano – oggi tecnicamente non più debole di ieri – potrebbe essere una sorta di diversivo per cercar di evitare, o quanto meno di procrastinare, una diffusa perdita di fiducia nel dollaro che rischia di lasciarsi sfuggire la sua posizione di punto centrale del sistema valutario mondiale. E questa possibilità costituisce per noi una aggravante. Per l’Italia, la “tempesta perfetta”, comporta pericoli molto gravi. Significa che tutti i nodi vengono al pettine nello stesso momento: la manovra finanziaria non può essere disgiunta da un nuovo equilibrio politico (di questo si è già avuto qualche sentore nel mutare dei rapporti tra Lega Nord e Popolo della Libertà, con una maggiore forza dialettica della prima) e probabilmente da un nuovo patto sociale, il che richiede consensi più vasti di quelli dell’aritmetica parlamentare. Perché questi consensi si materializzino è necessario che il tutto si collochi nell’ottica di una fondata speranza di ripresa quanto meno nel medio periodo. Le grandi linee di un nuovo patto sociale dovrebbero essere rappresentate da sacrifici paralleli per “capitale” e “lavoro”, il primo chiamato a qualche forma di imposta patrimoniale, il secondo necessitato ad attenuare alcune conquiste del passato nell’ambito dei contratti nazionali. La falsariga, scrivono gli esperti, dovrebbe essere rappresentata dai grandi accordi sindacali tedeschi dell’anno scorso, che hanno fortemente contribuito al robusto rilancio dell’economia della Germania, ma hanno fatto ridurre il consenso per un governo che pure era forte e coeso. Invece noi, presi da una politica di piccolo cabotaggio, con un governo disunito e concentrato su problemi “ad personam” ed “aziendas”, con ministri che si sposano di notte, come ladri e si danno del cretino, ci siamo, e per ora continuiamo ad attenerci ad una politica di basso profilo, una politica del tirare a campare, in cui anche gli Scilipodi diventano personaggi di prima grandezza. Sono convinto, peraltro in ottima compagnia, che a centocinquant’anni dalla formazione dello Stato italiano, il Nostro Paese abbia ancora molte cose da dire sull’orizzonte mondiale e che non dovrebbe aver bisogno di una telefonata del Cancelliere tedesco per sapere che cosa deve fare. Ma, di fatto, grazie ad un non governo ed ad una non opposizione, ciò che si è generato è un pericoloso clima da fine impero, con un dissolversi progressivo della coscienza pubblica, stemperatasi in uno scetticismo privo di qualsiasi moralità, reso, purtroppo, evidente nella successione di scandali pubblici e privati che hanno caratterizzato la nostra storia recente e non solo quella di una parte politica. Galli della Loggia, nell’editoriale di ieri sul Corriere, si chiede cosa avranno pensato, leggendo le ultime avventure dell’onorevole Milanese, gli elettori dei vari Cosentino, Papa, Brancher, Romano ecc. indagati o in attesa di giudizio. Come nota oggi, in una risposta ad una irritata lettrice, Federico Orlando su Europa, per impedire il neo qualunquismo nel paese occorre – come scriveva sabato Arnaldo Sciarelli sullo stesso quotidiano, “candidarsi a dire la verità, abbandonando la troppo lunga stagione dei populismi”. Sciarelli lo diceva riferendosi a un invito di Rutelli al Terzo polo, noi lo diciamo come invito a tutte le opposizioni. Fare le riforme e ricordare che esistono problemi di spesa e problemi di democrazia. Fino ad oggi nessun Grillo parlante ha ricordato, insieme alla dilapidazione del denaro pubblico, che il fascismo aveva abolito le province: al posto del consiglio, della giunta e del presidente c’era un “preside”, nominato dal federale del fascio. Il federale del fascio nominava anche il “podestà”, che amministrava città e paesi, senza consiglieri e assessori comunali. Poi parve giusto a Mussolini eliminare anche i deputati: sciolse la camera dei deputati e la sostituì con un organo di partito, la camera dei fasci e delle corporazioni, che non convocò mai. Se proprio sentiva bisogno di ascoltare un organo “rappresentativo”, convocava il Gran consiglio del fascismo. E questo, stranamente, mi ricorda la deriva che sta prendendo l’opinione corrente locale, invece di pensare ad una democrazia rappresentativa vera, non pletorica, non corrotta e, soprattutto, capace. In effetti, tentare di riscrivere le precondizioni del vivere civile dei mesi, degli anni, dei decenni futuri è un’operazione più ardua di quanto si possa pensare. E ancor più lo è in un Paese come il nostro nel quale quando si dice “riforme”, come ha sostenuto recentemente Galli della Loggia sul Corriere della Sera, “si dice in realtà rivoluzione”. Perché di questo si tratterebbe, di una rivoluzione culturale vera e propria, non di un semplice provvedimento impopolare come in qualsiasi altro Paese. Infrastrutture, ma anche costi della politica, ma anche sistema fiscale sono alcuni dei nodi, alcune delle criticità che attendono una seria presa di coscienza. Non sono i soli, naturalmente. Il problema vero è che chiunque voglia avviare una reale modernizzazione del Paese si scontra contro problemi differenti, specifici di ogni singolo settore e trova ostacoli ben più ardui da superare, che ricorrono in maniera costante uguali a se stessi, mutando i settori. Resistenze fortissime che attraversano la nostra società orizzontalmente e verticalmente. Il corporativismo e il privilegio in primis, ai quali si accompagna una fastidiosa demagogia. L’Italia, che i libri di storia ed i nostri territori e le nostre città descrivono patria di culture millenarie, si è trasformata nel Paese in cui merito, concorrenza e controlli indipendenti appaiono vuote parole. Qualunque categoria, ciascun organismo, anela a (e il più delle volte raggiunge) trattamenti di favore che a seconda delle circostanze divengono reclutamenti iniziali “indirizzati”, monopoli, numeri chiusi, carriere assicurate, trattamenti speciali, pensioni ad hoc. Nelle Università come nelle Banche, nei Ministeri come nei mille e mille posti della politica, tutti (o quasi) compatti., gelosamente custodi dei propri diritti e molto di più. Sicché, in questa lotta per le riforme, contro ogni credenza, la Politica non è tra gli attori che oppongono le maggiori resistenze. Anzi la Politica spesso per un gioco perverso, diviene lo strumento in mano alle infinite articolazioni corporativo-antimeritocratiche della società per ostacolare la realizzazione delle riforme ed essendo autoreferenziale e debolissima, per garantire se stessa deve garantire le diverse lobbie che la giustificano, anche nella corruzione. Sicché vengono alla mente le parole del sempre scomodo Cossiga, che definì i politici, marionette nelle mani di banchieri e di corporazioni. Il 27 settembre scorso, il Barometro Internazionale della Salute ha pubblicato un interessante rapporto che correla l’infinita crisi economica all’aumento costante di malattie non solo mentali come lo stress, ma anche fisiche. In Italia in particolare il risentimento è più forte, soprattutto nei confronti di un sistema sanitario che con il taglio dei fondi non fa altro che peggiorare: liste di attesa infinite, malasanità diffusa, incompetenza medica e assistenza scarsa. Quasi il 20% dei cittadini italiani ha rinunciato a curarsi, e ha rimandato varie tipologie di visite mediche, tra cui quelle odontoiatriche o per interventi chirurgici. “La preoccupazione delle persone di non riuscire ad arrivare a fine mese – si legge nel rapporto – ha anche delle ripercussioni sullo stato fisico e mentale”. La paura del futuro e l’aumento dello stress sono solo alcune delle patologie conseguenti al perdurare della recessione. Al calo dell’acquisto dei medicinali e alla diminuzione delle visite mediche su base annuale si risponde con il ricordo agli specialisti della psichiatria, per combattere stress, ansia e depressione. Dai dati del Barometro l’Italia si conferma al primo posto tra i paesi più influenzati dagli effetti della recessione e, nel frattempo, le cose sono peggiorate, mentre quelli che dovrebbero occuparsi di cure sono sempre più confusi e distratti.
Carlo Di Stanislao
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