I segni lasciati da un terremoto non riguardano solo gli edifici e i beni materiali delle persone. Forse meno evidente, ma ancora più subdolo è il segno che può lasciare sull’attività cerebrale delle persone che hanno vissuto questo trauma e sulla loro capacità di nuovi apprendimenti. Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS) è una sindrome caratterizzata da invalidanti sintomi comportamentali ed emotivi che si riscontra in alcune persone che hanno subìto un grave trauma psicologico (abuso sessuale, incidente, disastro naturale). Il DPTS è associato inoltre ad anomalie strutturali e funzionali dell’ippocampo, una struttura profonda del cervello di fondamentale importanza nei processi di consolidamento della memoria.
Uno studio italiano, condotto da ricercatori del Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università dell’Aquila diretti dal Prof. Michele Ferrara, insieme a ricercatori della Sapienza Università di Roma e dell’Università di Calgary, e pubblicato questa settimana sulla prestigiosa rivista Hippocampus, dimostra che i soggetti con DPTS hanno uno specifico e significativo deficit nella formazione di una mappa cognitiva dell’ambiente. Inoltre, in questi soggetti non si evidenzia il miglioramento delle prestazioni al compito appreso, miglioramento che normalmente si verifica nei soggetti di controllo dopo una notte di sonno. Questo effetto sembra legato ai disturbi del sonno che chi soffre di DPTS tipicamente riporta.
“I soggetti che abbiamo esaminato, spiega Michele Ferrara, coordinatore dello studio, sono studenti dell’Università dell’Aquila e le difficoltà di apprendimento sono un prezzo da mettere in conto in chi ha subito un trauma“.
I ricercatori hanno analizzato il comportamento di studenti universitari, residenti nella zona del cratere sismico al momento della scossa del 9 aprile 2009, durante l’esecuzione di un test di apprendimento spaziale. Metà dei partecipanti mostrava i sintomi tipici del DPTS, conseguenti al terremoto dell’Aquila.
“Il primo giorno, racconta Ferrara, abbiamo assegnato a tutto il campione un compito da svolgere in una sorta di città virtuale. Ogni soggetto doveva muoversi nell’ambiente virtuale allo scopo di creare una mappa cognitiva e dimostrare di essere in grado di localizzare nello spazio alcuni specifici punti di riferimento (come un supermercato o un cinema). Dopo questa fase, detta “di apprendimento”, i partecipanti eseguivano il vero e proprio “test”, nel quale dovevano recarsi rapidamente in un luogo specifico come il supermercato, partendo da un altro punto dell’ambiente, come il cinema, seguendo se possibile la strada più breve. Poi sono stati mandati a casa per la notte, con la richiesta di compilare un diario del sonno. Il giorno dopo tutti i partecipanti hanno ripetuto il compito.
“I risultati ci hanno stupito, dice Michele Ferrara. Gli studenti che avevano riportato il disturbo post-traumatico nel periodo successivo al terremoto, impiegavano oltre il doppio del tempo rispetto ai loro colleghi senza i sintomi del DPTS, per formare correttamente la mappa cognitiva dell’ambiente. Inoltre, quando erano valutati nuovamente dopo una notte di sonno, il gruppo di controllo migliorava, riuscendo a portare a termine la navigazione virtuale in minor tempo e scegliendo quasi sempre la strada più breve“.
Chi era affetto da disturbo post-traumatico da stress, invece, non mostrava alcun miglioramento della prestazione, anche perché nella notte aveva dormito mediamente un’ora di meno e in maniera più frammentata.
“Il prossimo step di questo studio, conclude Michele Ferrara, dovrebbe andare oltre la verifica delle prestazioni spaziali: con una risonanza magnetica strutturale e funzionale proveremo a esplorare direttamente ciò succede al cervello, verificando l’effettiva esistenza di danni anatomici e anomalie funzionali dell’ippocampo, per metterli in relazione sia con i deficit comportamentali sia con i disturbi del sonno. Soltanto così potremo capire meglio fino a che punto un trauma come il terremoto possa danneggiare la mente delle persone“.
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