Il Corno d’Africa è sull’orlo del disastro umanitario. Oltre 10 milioni di persone stanno lottando per la sopravvivenza a causa di quella che l’Onu ha definito “la più grave siccità degli ultimi 60 anni”, che sta mettendo in ginocchio la regione orientale africana, tra Somalia, Kenya ed Etiopia.
“Una situazione che va aggravandosi ora per ora, nel quasi totale silenzio dei media italiani” – denuncia Oxfam Italia. “Le colture base, come fagioli e mais, da cui dipende la sopravvivenza di milioni di persone, sono infatti messe fortemente a rischio mentre il bestiame sta morendo colpendo gli allevatori della regione” – spiega il presidente di Oxfam Italia, Francesco Petrelli. “A fronte di questa situazione, la risposta dei governi Etiopi, Kenyano e Somalo, risulta sinora purtroppo insufficiente a fermare la carestia in atto, mentre l’appello agli aiuti, lanciato dalla Nazioni Unite, risulta solo parzialmente finanziato”.
Il lavoro delle agenzie umanitarie è anche ostacolato dal conflitto permanente che da anni affligge la Somalia, con il sud del Paese ancora nelle mani dei miliziani islamici di al-Shabab. Nel frattempo sono migliaia gli sfollati in cerca di rifugio: “Più di 1300 persone al giorno, la maggior parte dei quali bambini, stanno arrivando nel campo profughi di Dadaab nel Kenya orientale, vicino al confine con la Somalia che conta oggi circa 400 mila profughi a fronte dei 90mila per cui era stato approntato.
Oxfam ha chiesto al governo keniano ottemperare alla richiesta dell’Unhcr di aprire il campo rifugiati Ifo II nel nordest del Kenya, tuttora inaccessibile. “Il nuovo campo Ifo II è stato costruito per alleviare il grave sovraffollamento di Dadaab: Ifo II, completato alla fine del 2010, potrebbe ospitare circa 40mila rifugiati, riducendo così in modo notevole il sovraffollamento nei campi già esistenti” – sottolinea la nota di Oxfam. “Non avendo accesso al nuovo campo, i rifugiati sono costretti a stabilirsi sulle terre dei keniani, esacerbando così le tensioni già esistenti tra i rifugiati e la comunità locale, una delle più povere in Kenya”.
Oxfam ricorda che il governo keniano merita il dovuto riconoscimento per essersi fatto carico di buona parte della crisi dei rifugiati somali nel corso degli anni, consentendo a centinaia di migliaia di loro di entrare nel paese mentre altre nazioni avevano chiuso gli occhi. “E’ giunto tuttavia il momento di fare di più, non solo per il Kenya” – sottolinea Petrelli. “La comunità internazionale deve fornire più fondi e sostegno al governo keniano per far fronte al continuo flusso di rifugiati e intensificare gli sforzi per promuovere una soluzione duratura alla crisi umanitaria in Somalia”.
Diverse agenzie umanitarie stanno intensificando gli sforzi e nei giorni scorsi António Guterres, l’Alto Commissario Onu per i Rifugiati si è recato in Etiopia e Kenyaper promuovere misure per assistere i rifugiati in fuga da guerra e siccità in Somalia. L’Alto Commissario ha visitato i campi di rifugiati a Dollo Ado in Etiopia e a Dadaab in Kenya, dove ha parlato con i rifugiati appena arrivati, tra cui madri che hanno perso i loro bambini durante il viaggio dalla Somalia e persone arrivate ai campi stremate e bisognose di cure mediche. Guterres ha rivolto appelli alla comunità internazionale affinché garantisca un’immediata e consistente risposta alla crisi, oltre al sostegno alle popolazioni di tutti i paesi colpiti dalla siccità.
L’Alto Commissario ha raggiunto un accordo sulla necessità di organizzare unamassiccia operazione umanitaria internazionale all’interno della Somalia ed è stato inoltre concordato che il Rappresentante dell’UNHCR in Kenya e il Direttore del ministero keniano per la sicurezza e gli affari esteri svolgeranno una valutazione congiunta sulla riorganizzazione e sull’espansione dei campi di Dadaab, in modo da garantire una risposta più efficace alle necessità di sicurezza, protezione e assistenza dei nuovi arrivati.
Secondo un resoconto di Irin – il servizio informativo dell’Ufficio dell’Onu per il coordinamento degli aiuti umanitari – quella in Kenya è divenuta la più grande concentrazione di profughi al mondo: oltre 370.000 persone divise nei tre campi di Ifo, Hagadera e Dagahaley. Rappresentanti dei tre campi percorrono chilometri ogni giorno con un megafono chiedendo di condividere con gli ultimi arrivati il poco disponibile. “I nuovi rifugiati – dice a Irin Abdiwali Hussein Mohamed, membro del comitato dei rifugiati – arrivano qui in uno stato pietoso. In alcuni casi riescono a stento a stare in piedi”. Drammatici i racconti di chi durante un viaggio durato a volte settimane ha perso familiari, spesso bambini, ha incrociato altri disperati intenti a seppellire corpi senza vita.
Secondo le stime dell’Onu – riporta l’agenzia Misna – almeno 10 milioni di persone in tutto il Corno d’Africa (in particolare in Somalia meridionale, Etiopia orientale, Kenya settentrionale e Gibuti) sono colpite dagli effetti della carestia. Ma la situazione peggiore è quella della Somalia, paese già attraversato da un conflitto ventennale, senza un reale potere centrale. Qui, l’opposizione armata degli Shabab ha riaperto l’accesso alle organizzazioni internazionali e il Programma alimentare mondiale (Pam) ha detto ieri che sta valutando un ritorno nelle zone controllate dagli Shabab. [GB-Unimondo]
Premetto la mia mancanza di informazioni adeguate sulla situazione del corno d’Africa, ma ad occhi e croce direi che come al solito si spaccia per morti affamati delle persone che invece muoiono si di sete e di fame ma per via del fatto che scappano da una guerra taciuta da tutti!
Continuando a dire che queste persone muoino di fame anziche di GUERRA, si da adito ad una mistificazione e magari si fa il gioco delle multinazionali come la Monsanto che vuole dargli da mangiare Mais transgenico (vabbe certo, sono un altro mitomane!)