Era la piazzetta della domenica del mercatino dell’antiquariato, quella che risuonava del vociare dei venditori, del tintinnio degli oggetti di rame, dell’odore del vimini intrecciato, dello sbrilluccichìo degli amuleti: Piazza Chiarino, luogo caro alla memoria degli aquilani, si è reso ieri sera scenario della “bancarella dei sensi” tramite l’evento finale del progetto “Quale Senso” promosso dall’Arci L’Aquila e finanziato dalle Politiche sociali della Regione Abruzzo.
<<Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla.>>
Lo trovo scritto su un cartellone, adagiato lungo un margine della piazza, e mai avrei creduto che i non luoghi calviniani sospesi in una vertiginosa immaginazione che si fa a volte angosciosa, avrebbero potuto suggerirmi tanto da vicino l’assurdità della situazione che da aquilana vivo nella mia città-non città. Il contatto con il territorio non mi consente un’adesione identitaria, quandanche fosse ambigua e rifiutata. La rassicurante continuità temporale si interrompe tra le rovine dei monumenti storico-artistici, si perde nella perdurante presenza di “temporanee” strutture d’emergenza, contraddice il naturale processo del continuum storico. La continuità spaziale si frange nell’impossibilità di identificare luoghi simbolo, luoghi deputati a precise funzioni del vivere civile.
Il percorso proposto dall’Arci mira a riflettere sullo stravolgimento sensoriale avvenuto durante la notte del sisma, alle sensazioni cui siamo andati incontro nella percezione di una realtà territoriale stravolta nel giro di pochi secondi.
I sensi sollecitano la memoria, evocano luoghi scomparsi, acuiscono la nostalgia di situazioni passate, gettano luce sul consolatorio bisogno di ritornare periodicamente a sensazioni familiari. L’esperienza sensoriale serve per ricordarci i luoghi di quella che era la nostra quotidianità, ma anche stimolare l’immaginazione alla ricostruzione di scenari necessari al nostro vivere in comunità e come comunità.
“Il percorso è partito ad Aprile tramite laboratori artistici che hanno coinvolto giovani dai 15 ai 35 anni– mi spiega il responsabile del progetto, Andrea Sansone – l’obiettivo è stato quello di farci raccontare dai ragazzi la città attraverso le arti associate ad ognuno dei 5 sensi. Hanno partecipato 40 giovani che sono stati affiancati nei laboratori da professionisti.”
Ieri sera i laboratori hanno avuto modo di comporsi in un unico percorso narrativo: 5 i fili intrecciati durante l’esibizione che i ragazzi hanno eseguito sui trampoli, a significare la ricerca di nuovi equilibri e le possibilità di intrecciare nuovi orditi tramite la comunicazione artistica.
Il laboratorio visivo, curato da Francesco Paolucci, ha portato alla registrazione di un cortometraggio che è stato proiettato a inizio di serata e sarà prossimamente presente sul web. “La città imperfetta” è una sintesi di 12 racconti, 12 diversi modi di descrivere L’Aquila: la città è ora personificata in un’elegante dama in costume storico, ora palcoscenico asfittico per le transenne che non consentono libertà di movimento alle marionette, ora oggetto della cristallina visione di bambini, ora imposizione all’omologazione territoriale.
Il laboratorio che lega il senso dell’olfatto al teatro è incentrato sulla possibilità che offre l’immaginario teatrale di rendere visibile l’invisibile. Gli attori danno vita ad un teatro di strada ed è il linguaggio dei clown che consente di colloquiare, giocando con le potenzialità di mondi invisibili. “Impossibile” impresa s.r.l. il titolo dello spettacolo curato da Cecilia Cruciani.
Il laboratorio del gusto, il senso più intimo, il più soggettivo, non poteva che essere associato alla scrittura creativa: i liberi pensieri sulla scrittura come testimonianza e affermazione della propria esistenza fanno da fondale proiettati su schermi e sulle facciate degli edifici a ridosso della piazza. Nadia Tarantini ha accompagnato i partecipanti a scoprire i racconti incisi dentro di loro.
Il laboratorio uditivo, grazie alla guida di Maria Cristina De Amicis, ha consentito ai giovani di riflettere sulla composizione e generazione del suono, ma soprattutto di riconoscerne il valore narrativo. Dal rumore generato da semplici oggetti al linguaggio musicale, la serata invita ad uscire dall’indistinto paesaggio sonoro entro cui siamo immersi.
Il laboratorio tattile oltre ad offrire la possibilità di creare figure dall’indistinto, ha consentito alla serata una chiusura dal sapore nostalgico che risveglia linguaggi ancestrali: il ballo della pupazza. Pupazzi-sculture in carta e legno dipinti di bianco, molto grandi, quasi fantasmi dal sesso e dall’ età appena distinguibili che sembrano riaffiorare dalle macerie incorniciano la piazza e prendono vita tramite gli attori nascosti nel loro interno. La direzione dei lavori è stata affidata a Massimo Piunti.
In una notte si fa rivivere il centro storico grazie alle capacità di aggregazione sociale e di esplorazione dei bisogni dominio esclusivo delle arti.
Elisa Giandomenico
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