Aggirando le liste d’attesa di Asl e ospedali e pagando qualche spicciolo in più del super-ticket in vigore dalla prossima settimana su visite e analisi, sempre più italiani scoprono la scorciatoia della sanità low cost privata, che oramai fattura quasi 10 miliardi di euro con una crescita del 20-30% l’anno.
Un vero e proprio boom, destinato a espandersi ancor di più con l’entrata in vigore con la manovra, dei 10 euro su visite specialistiche, analisi e accertamenti diagnostici, che vanno ad aggiungersi ai ticket da 36, in alcuni casi 46 euro già in vigore in tutte le Regioni. Importi destinati a crescere, nel 2014, quando con i contributi degli assistiti bisognerà ottenere il 40% dei risparmi previsti – e sono tanti- per la sanità. A quel punto curarsi nei nuovi centri medici privati low cost che stanno spuntando come funghi in tutta Italia diventerà quasi più conveniente che rivolgersi al pubblico. E i capitali privati l’hanno capito, spingendo il piede sull’acceleratore degli investimenti. Lo dimostra la scesa in campo di grandi gruppi bancari, come Intesa SanPaolo e il Gruppo Banche popolari, primi azionisti della Welfare Italia, 25 poliambulatori specialistici e odontoiatrici sparsi per l’Italia a fine anno, che diventeranno 130 tra 4 anni.
A fornire le stime di mercato è la Assolowcost, l’associazione che rappresenta le più svariate imprese, da Ikea alla Dacia automobili, accomunate dalla politica dei bassi costi a buoni livelli di qualità. «Nella sanità è difficile fare stime – spiega il presidente Andrea Cinosi – ma essendo questo uno dei settori di punta del low cost non è azzardato stimare una incidenza pari al 6% della spesa sanitaria complessiva». Ossia un mercato miliardario che sfiora le due cifre.
Alla base del fenomeno c’è ovviamente la crisi, che grava sia sui pazienti che sui medici. Il centro Studi di economia sanitaria, Ceis-Tor Vergata, ha calcolato che nel 2010 in Italia più di 3 milioni di persone hanno avuto problemi economici a causa delle spese sanitarie e che oltre 2 milioni e mezzo di italiani, soprattutto famiglie con bambini e pensionati, sono stati costretti a rinunciare a visite, analisi o appuntamenti dal dentista. E così, per fermare l’emorragia di pazienti/clienti anche gli studi medici e le strutture sanitarie hanno deciso di scendere nell’arena dell’offerta a basso costo, come hanno già fatto trasporto aereo, abbigliamento ed altre professioni.
Secondo l’indagine condotta dalla Scuola di Formazione Continua del Campus Biomedico di Roma,(che non a caso sta avviando un master in imprenditorialità sanitaria) le struttura sanitarie low cost riescono in media a far risparmiare tra il 30% e il 60% rispetto alle normali tariffe di mercato. «Soprattutto concentrando più medici in un unico poliambulatorio per ottenere economie di scala sfruttando in modo intensivo le apparecchiature», spiega Fabio Capasso, direttore della Scuola di formazione dell’Ateneo.
Le strutture per ora sono concentrate soprattutto a Nord ed offrono servizi medici di vario genere, anche se dove l’offerta low cost è determinante sono i settori non coperti dal Servizio Sanitario Nazionale: cure dentarie e psicoterapia. Due campi dove circa il 90% degli assistiti è costretto a rivolgersi al privato. Ma la formula «bassi prezzi, buona qualità» si sta rivelando vincente anche per visite specialistiche e accertamenti diagnostici, dove il low cost sanitario ha affilato due armi vincenti: prezzi non di molto superiori ai ticket e tempi di attesa praticamente azzerati. Un miracolo ottenuto senza diminuire i livelli di qualità e sicurezza dell’offerta ma, spiega il Presidente di Assolowcost, Andrea Cinosi, sfrondando i costi. «Ad esempio uno studio può decidere di puntare su centrali di acquisto, risparmiando fino al 70% sui materiali sanitari».
Completamente diversa è l’analisi che fa del fenomeno Costantino Troise, segretario nazionale del forte sindacato dei medici ospedalieri Anaao, per il quale «anche il low cost è comunque un privato profit portato per sua natura ad inflazionare la domanda». Come dire: paghi di meno ma spendi di più per prestazioni non sempre necessarie. Il tutto, aggiunge Troise, «con il rischio che continuando con tagli e ticket si favorisca una privatizzazione strisciante facendo del servizio pubblico una sanità povera per i poveri».
Paolo Russo
Lascia un commento