Sarà Mario Moretti, intenso ed eterodosso autore di testi (soprattutto teatrali) di grande valore civile, a presiedere la giuria popolare della XV edizione del Roseto Film Festival Opera Prima, che vede in concorso, dal 22 al 29 luglio, le seguenti pellicole: “Tutti al mare” di Matteo Cerami; “Corpo celeste” di Alice Rohrwacher; “Et in terra pax” di Daniele Coluccini e Matteo Botrugno; “Il primo incarico” di Giorgia Cecere; “Venti sigarette” di Aureliano Amadei; “Nessuno mi può giudicare” di Massimiliano Bruno e “Un giorno della vita” di Giuseppe Papasso. Mario Moretti è nato a Genova nel 1929, laureato in Lingue e Letterature Straniere, a Roma, con Giovanni Macchia, si è diplomato alla Sorbona di Parigi ed ha insegnato il francese in vari istituti statali e parificati romani. E’ stato dal 1963 al 1965 Lettore di Italiano Presso l’Università di Stoccolma, dove ha messo in scena come regista, con gli allievi del suo corso, due spettacoli: “Serata futurista” e “Serata d’Avanguardia”. Tornato in Italia si è poi dimesso dall’insegnamento per dedicarsi completamente al teatro. Ha fondato, a Roma, il “Teatro Tordinona”, “Il CaffèTeatro” di Piazza Navona, il Teatro in Trastevere e, nel 1982, il “Teatro dell’Orologio”, la multisala di cui è attualmente direttore artistico. E” Stato Presidente delle Cooperative Teatrali dell’AGIS (Agenzia Generale dello Spettacolo Italiano), Consigliere dell’Istituto del Dramma Italiano e, per 25 anni, Presidente della SIAD, Società Italiana Autori Drammatici. Ha organizzato e diretto sette Festivals del Teatro Italiano a New York, per conto dell’Ente Teatrale Italiano, sia nel “Provincetown Playhouse” che in altri spazi e tre Festival du “Théâtre Italien d”aujourd’hui” a Parigi, (Letture, Mises en espace e Rappresentazioni) al RondPoint, al Théâtre de la Colline, al “Petit Montparnasse”, ed in vari altri teatri. Ha fatto esperienze cinematografiche come attore (“Manhattan Baby” di Lucio Fulci) e come sceneggiatore di due films tratti da sue opere teatrali, “Processo di Giordano Bruno”, regia di Giuliano Montaldo, produzione di Carlo Ponti, con Gianmaria Volontà, e “Cuore di cane”, regia di Alberto Lattuada, con Max Von Sidow e Mario Adorf. Ha anche recitato in teatro, come attore protagonista, in una commedia di Diego Gullo, “Oenne e Disegnone”, di cui ha curato la regia. Ha insegnato – ed insegna tuttora – all’Accademia dei Teatro dell’Orologio, impegnandosi come regista in vari saggi teatrali con gli allievi. Ha fatto una ventina di regie, dirigendo attori come Virginio Gazzolo, Arnoldo Foà, Saverio Vallone, Miranda Martino, Lando Buzzanca, Neri Marcoré, Francesco Pannofino, Gigi Angelillo, Luigi De Filippo, Caterina Costantini ed altri ancora. Ha scritto un centinaio di testi, di cui molti tradotti, pubblicati e rappresentati in varie lingue (francese, inglese, tedesco, ungherese, svedese, russo, argentino, croato, spagnolo, ecc.). A partire dagli esordi, favoriti da Pier Paolo Pasolini, la dicitura “teatro politico e civile” non è per Mario Moretti una vuota etichetta. E’ vero che tutto il teatro è politico, tranne quello politico, che è quasi sempre teatro di mera propaganda, cioè non-teatro, tuttavia la sua refrattaria indole individualistica lo ha sempre tenuto lontano dai partiti per fargli autonomamente privilegiare temi sociali e spunti civili di attualità, anche quando venivano da lontano. Narrare il passato per ammonire il presente, questa massima gramsciana gli è stata costantemente di guida, anche quando si è occupato di cinema. Palare dell’oggi, malgrado i rischi del cronachismo giornalistico; tentare di non raccontare favole non significanti; comunicare emozioni che in qualche modo toccano i nervi scoperti della nostra società, è stato e continua ad essere il suo lavoro, non di rado artigianale, talora professorale, a volte sofferto ma più spesso felice, al di là dei risultati commerciali. Per costruire questo arco parabolico, Moretti ha fatto ricorso a tutte le risorse che offre il suo mestiere: scrittura di testi a più voci o di monologhi su commissione, pubblica o privata; utilizzazione sistematica dei sogni, già singolarmente serviti sul piatto scenico; collaborazione con musicisti per la compilazione di commedie musicali o di veri e propri “musicals “; impiego della cronaca, della storia e di quella storia con più fantasia che è la leggenda; elaborazione di racconti orali e di opere letterarie ritenute adatte alla drammatizzazione; studio dei meccanismi comici e umoristici per carpirne i segreti e, infine, ricerca di rigorosi materiali biografici per tracciare credibili, o almeno plausibili, ritratti di varia umanità. A ottobre dello scorso anno, al Quirino di Roma, il Centro Teatrale Meridionale Soc.Coop. Domenico Pantano, Saverio Vallone e Grazia Schiavo, lo ha omaggiato mettendo in scena il suo “Pitagora e la Magna Grecia”, con la partecipazione straordinaria di Marcello Perracchio e con Pier Paolo De Mejo, Antonio Pisu, Sara Platania, Maria Marino, Vittorio Chia, Chiaraluce Fiorito e Claudia Ferri. Un’opera che racchiude tutte le tematiche morettiane, con la figura di Pitagora che emerge dal passato con la prepotenza del mito nel nostro mondo, un mondo che non ha mai fatto a meno di santi e di eroi come di profeti veri e di profeti falsi, di guru e di cialtroni truccati da guide spirituali. Le analisi e le congetture sulla presenza di Pitagora nella Grecia del VI secolo a.C. sono tali e tante da convalidare la tesi della “questione pitagorica”, non meno significativa della “questione socratica”. Come Socrate Pitagora non ha lasciato testimonianze scritte del suo pensiero e tanto meno frammenti autobiografici. Come quella di Socrate la sua fine è stata traumatica, ma, a differenza di Socrate, che ha avuto biografi contemporanei accreditati, quelli di Pitagora sono vissuti dieci secoli dopo di lui : in particolare i più attendibili, da Diogene Laerzio ai neo-platonici Porfirio di Tiro e Giamblico di Calcide. Lo studioso tedesco Carl A. Huffman sostiene, in un suo saggio del 1999, che la figura più importante del “primo pensiero greco” sembra “significare troppo o troppo poco, al punto che scrivere qualcosa su di lui sarebbe praticamente impossibile”. Non lo è stato: le biografie serie e quelle più o meno romanzate di Pitagora sono sterminate e le analisi del suo pensiero sono da tempo materia scolastica. Ora, in occasione del festival di Roseto, dove con orgoglio è inserita la nostra “Lanterna Magica”, con una rassegna di bozzetti originale alla Villa Comunale, sono curioso di vedere come, un autore di tale livello ed impegno, coordinerà una giuria popolare di cinefili e comuni spettatori e quale sarà la sua scelta finale fra otto pellicole in concorso, pellicole certamente popolari e che non si occupano dei temi a lui cari: la portata anfibia della natura scenica, che galleggia tra terra e cielo, tra mari e prati, tra monti e foreste, rubando favole alla realtà e creando storie dalla leggenda. O frose, proprio questa distanza straniata e surreale, creerà il clima giusto per una indimenticabile edizione.
Carlo Di Stanislao
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