“Presidente Napolitano, perchè il segreto di Stato deve servire per nascondere i traffici di armi?”. Così titolano il comunicato che accompagna la “Lettera aperta” al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che la Rete italiana per disarmo e la Tavola della pace hanno inviato stamane (diffondendola a mezzo stampa e sui siti internet delle due organizzazioni) per richiamare all’attenzione del Capo dello Stato sulla recente notizia dell’imposizione del segreto di Stato da parte del Governo su una consegna di armi partite dal nostro paese.
Ciò ha di fatto bloccato le indagini che la magistratura di Tempio Pausania stava conducendo riguardo alla destinazione finale di un carico di armamenti sovietici sequestrati nel 1994 e che, su ordine del Tribunale di Torino, avrebbero dovuto esser distrutti in seguito ad un’azione giudiziaria che le aveva bloccate pur non riuscendo a condannare i responsabili di tale traffico per difetto di giurisdizione. “Una problematica che continua a permanere anche oggi poiché l’Italia non possiede una legislazione specifica su trafficanti e broker di armi, pur esistendo dal 2003 una Posizione Comune dell’Unione Europea (2003/468/PESC – qui in .pdf) in merito che obbligherebbe il nostro paese ad un adeguamento legislativo specifico” – evidenziano le due organizzazioni.
“Si tratta di armamenti che – stando ad accreditate fonti di stampa nazionale e internazionale – nei mesi scorsi sarebbero stati consegnati dalla Marina Militare all’Esercito facendole sbarcare nel Lazio per essere poi consegnati, contravvenendo all’embargo di armamenti decretato dalla Risoluzione delle Nazioni Unite (in italiano, in inglese in .pdf), alle forze sostenitrici del Consiglio Nazionale di Transizione libico” – afferma la nota delle due organizzazioni.
Rete Italiana per il Disarmo e Tavola della Pace si rivolgono al Presidente Napolitano poiché alla Magistratura ordinaria è impedito l’intervento su questa fattispecie di Segreto di Stato disposto dal Presidente del Consiglio perché è relativa a materiale bellico e, in quanto tale, rientra nella sfera della sicurezza nazionale e della difesa dello Stato su cui il Presidente della Repubblica ha uno specifico compito di garanzia.
Lo scorso marzo Rete Italiana per il Disarmo e la Tavola della Pace hanno denunciato come il Governo Berlusconi nel 2009 ha autorizzato l’invio a Gheddafi di oltre 11mila tra pistole e fucili semiautomatici di alta precisione e di tipo quasi militare della ditta Beretta decidendo poi di non segnalarlo all’Unione europea. Va anche ricordato che – come Unimondo ha per primo segnalato – i Rapporti dell’Unione europea sulle esportazioni di materiali e sistemi militari certificano che nel biennio 2008-2009 l’Italia è stata il maggior esportatore europeo di armamenti al regime di Gheddafi con autorizzazioni del valore di oltre 205 milioni di euro e che nel solo 2010 le industrie militari italiane hanno inviato al rais libico sistemi militari per oltre 100 milioni di euro di armamenti tra cui “bombe, siluri e razzi”. [GB-Unimondo]
Di seguito il testo della “Lettera aperta” inviata al Presidente della Repubblica
Egregio Signor Presidente,
come rete di associazioni della società civile da diversi anni attente al problema del commercio di armamenti e nella promozione della pace Le scriviamo per porre alla Sua attenzione il caso dell’imposizione del segreto di Stato da parte del Governo Berlusconi sulle indagini che la magistratura di Tempio Pausania stava conducendo riguardo alla destinazione finale del carico di armamenti ex-sovietici sequestrati nel 1994 e che, su ordine del Tribunale di Torino, avrebbero dovuto già da tempo esser distrutti. Si tratta di armamenti che – stando ad accreditate fonti di stampa nazionale e internazionale – nei mesi scorsi sarebbero stati consegnati dalla Marina Militare all’Esercito facendole sbarcare nel Lazio per essere poi consegnati, contravvenendo all’embargo di armamenti decretato dalle Nazioni Unite, alle forze sostenitrici del Consiglio Nazionale di Transizione libico.
Il caso solleva diversi e inquietanti interrogativi che ci permettiamo di sottoporLe.
Innanzitutto ci chiediamo perché e a quale scopo un carico così ingente di armamenti (400 missili Fagot con 50 postazioni di tiro, 30 mila mitragliatori AK-47, 5 mila razzi katiuscia, 11 mila razzi anticarro, 32 milioni di proiettili per i mitragliatori) sia stato conservato per così lungo tempo nonostante un’ordinanza del Tribunale di Torino – presso il quale, per una falla ripetutamente denunciata dalle nostre associazioni nella legislazione nazionale in materia di brokeraggio, tutti i presunti trafficanti di quelle armi vennero assolti – già dal 2006 avesse stabilito che quelle armi andavano distrutte.
Ci sia permesso evidenziare che tale grave mancanza non può essere giustificata con supposti “motivi economici” e che non sarebbe stato poi così dispendioso per lo Stato trasferire e distruggere quel carico di materiale bellico in una base delle Forze armate in Sardegna dove esiste la più grande base sperimentale a cielo aperto: il Poligono militare interforze del Salto di Quirra, dove vengono sparati proiettili e missili di ogni genere. La conservazione per così lungo tempo e nonostante un’ordinanza del Tribunale di tale ingente quantità di una così particolare tipologia di materiali bellici di provenienza sovietica – armamenti che sono spesso impiegati da gruppi ribelli e formazioni terroristiche nelle zone più brutali di guerra – riteniamo sollevi più di un interrogativo sulla prontezza di taluni apparati dello Stato ad ottemperare ai propri doveri. Andrebbe inoltre chiarito se nel bunker di Santo Stefano, dove sono state conservate per diversi anni, siano rimaste altre armi che facevano parte del carico sequestrato.
In secondo luogo riteniamo che andrebbero spiegati i motivi per cui tale materiale riposto in quattro container, scortati da mezzi dell’Esercito, sia stato imbarcato tra il 18 e il 20 maggio scorsi su un traghetto della compagnia Saremar dalla Maddalena a Palau e da Olbia su una nave della Tirrenia, con 600 passeggeri a bordo, per Civitavecchia. Quante armi sono state portate via dal bunker? Era il primo viaggio o l’ultimo? Perché sono state utilizzate navi passeggeri per il trasporto di armi e missili? E soprattutto perché è stata bloccata con segreto di Stato l’inchiesta avviata nel giugno scorso dalla procura della Repubblica di Tempio Pausania proprio sulla destinazione finale di tale carico. «La destinazione finale delle armi confiscate e custodite nelle riservette di Santo Stefano è assoggettata al vincolo del segreto di Stato» – riporta la succinta nota dello Stato maggiore della Marina Militare che ha bloccato l’inchiesta. Se si tratta realmente di segreto di Stato perché non risultano né smentite né conferme da parte del Governo italiano?
In terzo luogo, dove sono finite quelle armi? Secondo accreditate fonti di stampa nazionale e internazionale esse sarebbero “ancora in buona parte in ottimo stato di conservazione e facilmente impiegabili in Libia, dove le armi sovietiche sono circolate in abbondanza negli ultimi decenni e dove il carico sarebbe stato sbarcato (nel porto di Bengasi) ‘mascherato’ da aiuti umanitari”. Se tale notizia venisse confermata abbiamo motivo di ritenere che si tratta di una esplicita violazione della Risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiede a tutti gli Stati membri di monitorare l’assoluto rispetto da parte degli stati dell’embargo sulle armi deciso con la Risoluzione 1970 (2011) del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Infine le fonti di stampa sollevano altri e ancor più inquietanti interrogativi: “Come hanno confermato al Sole 24 Ore diverse fonti, l’addestramento degli insorti all’impiego delle armi (soprattutto dei missili anticarro), dirottate dal deposito in caverna dell’isola sarda di Santo Stefano ai campi d’addestramento del deserto a sud di Bengasi, è curato direttamente da consiglieri militari italiani. L’Italia, con la Francia e la Gran Bretagna, ha inviato ufficialmente in Libia dieci ufficiali che gestiscono lo stato maggiore dei ribelli, affiancando i loro vertici militari ma curando di fatto le funzioni di comando e controllo e coordinando i movimenti degli insorti e i raids aerei della Nato. Oltre a questi consiglieri, l’Italia ha inviato in segreto in Libia altri team di militari, per lo più appartenenti alle forze speciali, con compiti di supporto ai miliziani e operativi da fine maggio. Una tempistica che coinciderebbe con l’arrivo a Bengasi dei carichi di armi che vent’anni fa avrebbero dovuto equipaggiare l’esercito croato all’epoca in guerra contro i serbi. Un ruolo da “military advisor” che rientra nelle competenze specifiche delle forze speciali”.
Ci rivolgiamo dunque a Lei per ottenere qualche elemento di chiarezza su una vicenda che ci ha turbato e ci preoccupa e che appare in chiaro contrasto con le Risoluzione delle Nazioni Unite e col il dettato stesso della nostra Costituzione nella quale, Lei ce lo insegna, si legge che “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” (art. 11).
Con profonda e sincera stima,
Francesco Vignarca (coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo)
Flavio Lotti (coordinatore nazionale della Tavola della Pace)
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