“Nutro la forte speranza che si possa giungere nel giro di pochi giorni alla liberazione dei marittimi italiani sequestrati dai pirati somali”. Lo ha affermato Margherita Boniver, inviata speciale della Farnesina nel Corno d’Africa, la quale, dopo la sua missione politico-diplomatica terminata l’8 luglio, si dice convinta che ci siano solide basi per una soluzione positiva della vicenda. Attualmente sono due le navi in attesa di riscatto sotto il controllo di pirati somali nell’Oceano Indiano: la petroliera Savina Caylin sequestrata l’8 febbraio, con 5 italiani e 17 indiani a bordo, e la motonave Rosalia d’Amato caduta in mano alla pirateria il 21 aprile, con un equipaggio di 22 persone, di cui 6 italiani.
Ma, nonostante la legittima fiducia della Boniver, ormai a 5 mesi dal sequestro della Savina Caylyn, petroliera dell’armatore italiano Fratelli D’Amato, sono poche le informazioni attorno alla sorte dei marinai ed è molta la preoccupazione dei famigliari e del Sindacato dei Marittimi (SDM). Dal Ministero per gi Affari Esteri, infatti, non trapela alcuna notizia e sulle due vicende è calato il silenzio. Così dopo aver organizzato ancora il primo maggio una fiaccolata per le vie dell’isola di Procida (4 dei marittimi sono di Procida) i familiari degli ostaggi hanno diffuso una raccolta di firme da presentare al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affinché si adoperi, presso la Farnesina, per un rapido ritorno alla libertà degli equipaggi.
“Da mesi quello che sappiamo sono solo frasi di rito: stiamo lavorando per voi come se si stesse parlando dell’ampliamento di una corsia autostradale… – ha spiegato il giornalista Gaetano Baldi che dalle pagine di LiberoRepoter si è fin da principio occupato della vicenda – Crediamo sia arrivato il momento di far sentire coralmente la nostra voce, chiedendo, attraverso questa raccolta di firme, che il nostro governo si attivi in maniera concreta affinché i nostri marittimi, che già svolgono un lavoro pesante e disagiato per pochi euro al mese, possano tornare a casa e riabbracciare i loro cari”.
“Vi chiediamo quindi di inondare di firme la Farnesina – ha concluso Baldi – affinché si adoperi in tal senso cercando al contempo di coinvolgere quella svogliata stampa italiana, che per Mastrogiacomo e Sgrena, ha vociferato e si è stracciata le vesti, ma che non sta neppure pubblicando una semplice velina sull’argomento… I marittimi della Savina Caylyn, ma anche della Rosalia D’Amato […] sono cittadini di serie c, neppure di serie b, beffati due volte; sequestrati dai pirati somali e occultati dalla intellettualismo mediatico italiano”.
Intanto la Boniver dal suo blog rassicura: “Sono stati attivati tutti i protocolli che il nostro governo poteva legittimamente mettere in campo per ottenere il rilascio dei marittimi sequestrati, mentre le autorità di Tanzania e Gibuti sono state coinvolte nello stesso obiettivo con la piena assunzione della propria volontà di cooperazione. È stato stabilito il coordinamento negli sforzi comuni per ottenere la liberazione dei prigionieri dai pirati senza passare attraverso il pagamento di un riscatto. Lo scopo della mia missione era appunto quello di rafforzare dal punto di vista politico e diplomatico l’azione già svolta nel Como d’Africa dai nostri servizi segreti”, che per il momento hanno segregato anche gli eventuali progressi della vicenda,come fecero nel 2009 quando la linea del silenzio portò alla liberazione dell’equipaggio della Buccaneer dopo 4 mesi di sequestro .
Per l’inviata speciale della Farnesina “le autorità di Gibuti hanno garantito all’Italia il pieno appoggio per combattere la pirateria e per liberare i marittimi sequestrati e la strategia da seguire è quella di allargare sempre più il corridoio di transito – ma ha aggiunto – bisogna anche fare i conti con l’ampiezza dell’area da proteggere e con i sistemi sempre più sofisticati dei pirati. Il supporto di grandi navi alle piccole imbarcazioni corsare dimostra che s’è sviluppata una forte industria criminale”.
La situazione di grave instabilità politica e sociale della Somalia, oltre alla drammatica crisi umanitaria, incide non poco su questa situazione e sull’escalation della pirateria marittima. Secondo la Farnesina da gennaio 2011 sono stati ben 140 i tentativi di sequestro di navi mercantili, di cui 22 andati a segno con circa 360 ostaggi di varie nazionalità in mano ai pirati, in un braccio di mare dove passano circa 22mila navigli l’anno (oltre il 40 per cento del traffico mondiale). Ma il problema ha radici profonde e lontane. Per il comandante di lungo corso Arrigo Garipoli “I Pirati sono nati dopo che noi del mondo occidentale abbiamo impoverito quell’area scaricando in mare rifiuti tossici, se non radioattivi, che hanno fatto una moria di pesci. I pescatori somali stanchi e arrabbiati hanno incominciato ad attaccare quelle navi che ritenevano scaricare i prodotti suddetti, si sono accorti ben presto che le navi non erano cosi difficili da abbordare grazie anche alla riduzione di personale: 12 uomini di tabella d’armamento (negli anni ‘70 erano 32). Ciò significa che la notte su una nave mercantile in navigazione vi sono due uomini a scrutare l’orizzonte”, entrambi non pagati e non addestrati per respingere azioni armate.
Un problema non facile da risolvere quindi, ma anche su questo punto la Boniver ha una ricetta: “Ci sono due missioni militari nel golfo di Aden, una sotto l’egida Nato e l’altra dell’Ue che svolgono attività di pattugliamento e scortano le imbarcazioni umanitarie delle agenzie dell’Onu. È un vero e proprio corridoio di protezione. Andrebbe intensificato. […] Quello che si deve fare è allargare sempre di più il corridoio di transito protetto, ma tra il dire e il fare, in questo caso, c’è di mezzo un Oceano”, soprattutto in un periodo dove ci si interroga sempre più sul costo, ancor prima che sull’utilità di tutte le operazioni militari.
Per il Sindacato dei Marittimi questa, al pari della proposta di avere scorte armate sulle navi avanzata dal presidente della società di assicurazioni marine Banchero e Costa Insurance Brokers, Giacomo Madìa, pare inverosimile. “Per quanto ci riguarda noi del SDM, non paventiamo il rischio di un aumento di violenza con scorte armate, poiché non sappiamo non avendo palla di vetro se questo si avrà. Quello che noi diciamo è un altro concetto, e cioè è possibile che ciò accada? Non vorremmo che come sempre, non si guardi alla sostanza del problema, e cioè come fermare, anzi arginare la pirateria”. Per il sindacato, infatti, “la Somalia è oggi in piena anarchia, non c’é controllo alcuno e se non si interviene in questa direzione, la pirateria ci sarà sempre perché un popolo che vive un dramma così, facilmente viene reclutato da organizzazioni criminali”.
“Infine – ha concluso il SDM – stare in una sparatoria […] non vuol dire sicurezza sul lavoro”, senza contare che “Quando poi si parla di vita umana, noi di SDM non distinguiamo la nostra da quella del pirata, anche una vita persa è un dato pesantissimo”, soprattutto quando appare chiaro che i destini della Somalia sono i primi fattori di rischio per i marinai (non solo i nostri), che nel silenzio aspettano di poter tornare a casa, sani e salvi.
Alessandro Graziadei-Unimondo
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