Si è conclusa tra le proteste di Greenpeace e Sea Shepherd la scorsa settimana a Jersey nel Canale della Manica, la 63esima riunione dellal’International Whaling Commission (IWC). Ancora una volta i Pesi balenieri, capitanati dal Giappone, sono riusciti a bloccare ogni progresso verso una reale tutela delle balene impedendo la creazione di un nuovo santuario per i cetacei nel sud dell’Oceano Atlantico.
La nuova oasi marina pensata per la tutela didiverse specie a rischio di estinzione non vedrà quindi la luce sebbene da dieci anni i Paesi latino-americani, Brasile e Argentina in testa, ne attendessero la creazione. “L’annuale commissione dell’IWC ci ha lasciato con tanta amarezza” ha affermato Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare e Oceani per Greenpeace Italia. “Durante i lavori che si sono susseguiti tra il 4 e il 14 luglio, per non votare la prevista mozione a favore della creazione della nuova area protetta i Paesi a favore della caccia ai cetacei hanno abbandonato l’incontro”. Per questo Greenpeace ha parlato apertamente di “sabotaggio”.
Troppi gli interessi economici in gioco a cominciare da quelli giapponesi che dietro alla “caccia per motivi scientifici”, che aggira la moratoria internazionale del 1986, nascondono il redditizio ed illecito commercio della carne di balena. Con l’alibi della scienza, infatti, si mistifica un’operazione costosissima volta alla produzione di grandi quantità di carne destinata al consumo umano e che “Greenpeace ha sempre denunciato – ha continuato la Monti – opponendosi ad ogni tipo di caccia commerciale alle balene in ogni oceano del mondo”.
Il nuovo santuario poteva rappresentare un importante passo verso una maggiore tutela dei cetacei, ma la pressione internazionale del Giappone contro ogni tentativo di limitare la caccia alle balene rimane alta. Ne è un esempio il giudizio di appello dei due attivisti giapponesi Junichi Sato e Toru Suzuki, conosciuti come i Tokyo 2, conclusosi con una conferma dell’ingiusta condanna ricevuta nel settembre 2010 proprio per aver denunciato il contrabbando di carne di balena nel programma di caccia baleniera del Giappone. Un “segreto” ben noto anche in seno all’IWC dove “il pagamento in contanti della quota di partecipazione ha permesso per anni a nazioni come il Giappone di comprare voti per sostenere la caccia commerciale alle balene” ha concluso la Monti.
Ma qualcosa di buono, nel campo della maggior trasparenza della Commissione baleniera, il meeting di Jersey lo ha regalato e fa sperare in una svolta. È stata, infatti, votata l’adozione di nuove regole per il pagamento delle quote di partecipazione all’IWC, “che dovrebbero contribuire a ridurre i frequenti episodi di corruzione e compravendita di voti tra i membri della Commissione” ha spiegato Sea Shepherd, l’unica associazione ambientalista che è riuscita lo scorso febbraio, con azioni di sabotaggio in mare, adinterrompere la caccia alle balene della flotta giapponese.
I “Pastori del mare” che vantano un altro primato, essere anche l’unica associazione alla quale non è stato consentito presenziare ai lavori dell’IWC, non hanno dubbi su cosa fosse diventata la Commissione baleniera internazionale negli ultimi anni: “Uno degli enti normativi internazionali più corrotti in assoluto” per questo mazzi di denaro fuori corso proveniente dalla Russia, dalle nazioni dell’ex blocco sovietico, dall’Iraq e dallo Zimbabwe sono stati lanciati in aria dagli ambientalisti fuori dall’albergo che ospitava il meeting, per simboleggiare l’uso di bustarelle che il Giappone adotta da anni. “Pare che numerosi Paesi caraibici e africani, che votano convenientemente a favore della caccia alla balena insieme al Giappone in cambio di aiuti, siano ora nei guai” ha precisato Sea Shepherd. Le nuove regole proposte dalla delegazione britannica dovrebbero porre fine all’abitudine del Giappone “di pagare ai delegati compiacenti lussuose camere d’albergo, i biglietti aerei in classe business o in prima classe, i pasti costosissimi, per non parlare delle accompagnatrici che vengono fornite affinché aiutino i delegati a rilassarsi”.
Un parziale successo quindi contro la corruzione, ma non contro la caccia alle balene. Joji Morishita, Vice Commissario del Giappone presso IWC ha dichiarato ufficialmente alla BBC che “la flotta baleniera giapponese intende tornare nell’Oceano Antartico a dicembre per riprendere le attività di caccia alla balena”. Nel corso dell’intervista Morishita ha anche affermato che oggi “trovare un modo per fermare le navi di Sea Shepherd è il principale ostacolo che il Giappone vede riguardo alla continuazione delle sue attività per la prossima stagione”.
Nonostante i debiti massicci, il mercato sempre più ristretto della carne di balena, una causa legale da parte dell’Australia (anestetizzata dall’accordo svelato da Wikileaks) e la morte e la sofferenza dei cittadini giapponesi causate dallo tsunami, dal terremoto e dalle radiazioni, il governo giapponese sembra quindi determinato a deviare delle risorse finanziarie per erogare sussidi ai balenieri e permettere loro di ritornare alle coste dell’Antartide.
La risposta degli attivisti non si è fatta attendere: “Il Giappone vuole forzare le cose per un altro anno? Noi torneremo nell’Oceano Antartico e dimostreremo che la nostra fermezza e la nostra determinazione nel salvare le balene rimangono più forti che l’avido desiderio dei balenieri di compiere un massacro illegale – ha replicato il Capitano Paul Watson, storico fondatore di Sea Shepherd – Abbiamo investito sette anni in questa campagna e un totale di 24 mesi in mare in Antartide, per concretizzare il nostro obiettivo di affondare la flotta baleniera giapponese dal punto di vista economico. Intendiamo far sì che sia impossibile per questi bracconieri uccidere le balene nel Santuario dell’Oceano Antartico”.
L’appuntamento ora è a Panama dall’11 giugno al 6 luglio 2012, un’occasione decisiva: “È ora che queste politiche meschine vengano bloccate e che l’IWC si trasformi in un organismo che protegge le balene invece di fare il custode di una caccia inutile e senza senso” ha concluso per Greenpeace la Monti. La sfida è lanciata e sia per Greenpeace, che per Sea Shepherd, seppur con modalità differenti, l’obiettivo è lo stesso: “Non ci sarà ritirata o resa fino a che la caccia alla balena non finirà per sempre”.
Alessandro Graziadei
Unimondo
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