“Credete a tutto ciò che sentite sul conto del mondo, nulla è troppo brutto per essere impossibile”
Honoré De Balzac
Ha ragione Balzac, l’uomo è capace di ogni nefandezza e, spesso, trova il modo di giustificare le cose più atroci in nome di un ideale superiore, che va oltre la comune follia. Così Anders Behring Breivik, l’ultimo di una serie infinita di folli che uccidono in nome di un ideale, vuole dire alla Norvegia e al mondo perché ha ucciso almeno 93 persone negli attentati di venerdì, spiegare perché ha agito con tanta determinata ferocia, in quanto aveva capito che “che non poteva avere successo con gli usuali strumenti politici”. Alla base di quello che è stato il più grave massacro in tempo di pace in un Paese tranquillo come la Norvegia vi è dunque la folle convinzione di avere la missione di salvare l’Europa dalla minaccia dell’Islam, dell’immigrazione e del multiculturalismo. E il fatto che il trentaduenne neonazista si sia deliberatamente arreso alla polizia dopo aver ucciso 86 giovani sull’isola di Utoeya, metterebbe, secondo il suo avvocato, in luce il desiderio di assicurarsi uno spazio pubblico per esporre la propria visione radicale. Sabato 23, il giorno dopo la strage attuata come un lupo solitario, meditata e programmata maniacalmente per due anni, il blogger statunitense Kevin Slaughter (@kevinslaughter) ha scoperto online un documento-manifesto di 1514 pagine e un video di 12 minuti, appartenenti allo stesso Breivik, anche se il secondo pubblicato in inglese sotto lo pseudonimo di “Andrew Berwick”. Nel video è proposta una confusa denuncia alla ‘cultura marxista’ e alla ‘islamizzazione dell’Europa’, oltre a consigli-guida per chi volesse diventare terrorista. I media norvegesi hanno confermato che il documento e il video sono stati caricati su internet da Breivik il giorno stesso degli attentati. L’intensa curiosità circa l’identità del killer ha trasformato il manifesto, in altra situazione difficilmente raccomandato per la lettura, in un argomento di discussione estremamente popolare online, con accenni spesso da gossip ed altri, a mio giudizio, preoccupanti. Si parla da tempo di neonazismo strisciante sia nella democratica Inghilterra, che in Germania, che negli evoluti paesi scandinavi e prove ne sono documenti come il romanzo dello svedese Olle Lonnaeus “Cuore nazista”, uscito pochi mesi fa e grande successo in Patria, ove si parla, con acume e preoccupazione, di xenofobia e di esaltazione di correnti di estrema destra, che albergano all’interno di una società apparentemente moderna ed evoluta. Per me – scrive Anders Behring Breivik, il nazifondamentalista cristiano che ha ucciso pensando di preserva ciò che di autentico resta in Europa – è ipocrita trattare musulmani, nazisti e marxisti in modo diverso: sono tutti supporter di ideologie dell’odio”. Queste parole, che sono un vero e proprio manifesto della destra neonazista europea, sono state affidate un volume di 1500 pagine dal titolo “2083, dichiarazione di indipendenza europea“, in cui il futuro attentatore invocava il “terrorismo come metodo di risveglio delle masse” e si augurava di passare alla storia come “il più grande mostro nazista dopo la seconda guerra mondiale”. Ora, lasciando da parte il fatto singolare di parlare di altri come supporters dell’odio e poi dar luogo ad una strage che non è precisamente una manifestazione di amore cristiano, andiamo direttamente al sodo. Ormai da anni, in Europa, si sono ricostituiti gruppi neonazisti e neofascisti, cui è stata data la possibilità di veicolare le idee che sono esemplificate nel delirante messaggio di Breivik. Basti pensare alla incredibile lista comparsa nei giorni scorsi sulle pagine italiane del forum neonazista americano Stormfront, fondato nel 1995 dall’ex leader del KU Klux Klan, Don Black, nella quale compaiono decine di nomi e cognomi di personalità italiane influenti del mondo dell’economia, dello spettacolo e del giornalismo, aventi come minimo denominatore comune la loro vera o presunta appartenenza alla comunità ebraica. Marcus Buck, studioso norvegese di terrorismo, docente all´Università di Tromsø, ha dichiarato che: “La carneficina di Utoya ci ha fatto scoprire quel che sapevamo da sempre e cioè che ogni atto di violenza in Norvegia dalla Seconda guerra mondiale a oggi, reca la firma dell´estrema destra”. Ed aggiunto cupo che : “I simpatizzanti di questi movimenti non sono tanti ma hanno un impatto devastante”. La Norvegia è un Paese estremamente ricco, privo di disoccupazione, con un enorme surplus investito all´estero, anziché in patria. Ma, fino al 50 per cento degli elettori è contrario alla politica del governo: pretende che il fondo petrolifero, il più danaroso al mondo, venga reinvestito in casa per migliorare i servizi pubblici e diminuire le tasse. Dall´attimo in cui s´è saputo della sparatoria all´isola di Utoya, è stato chiaro agli intellettuali di quel Paese, che si trattava di una questione interna: quel luogo è carico di simboli solo per i norvegesi. Ed i 100 morti hanno fatto naufragare l´adagio del “tutti i terroristi sono musulmani e fatto riaffiorare la verità, cioè che l´Europa ha un problema di terrorismo proprio e che questo, soprattutto nei Paesi Nordici, esso viene da destra”. Ed è per lo meno contraddittorio il comportamento di un governo, quello norvegese, che si dichiara di sinistra, ma snobba l’unione europea e manda militari in Afganistan ed aerei in Libia, in due guerre pieni di enigmi, di problemi, di questioni di base ed opportunità, completamente irrisolte. Guerre più inutili di ogni altra guerra, in cui si procede a tentoni e c’è il sospetto di difendere solo interessi personali, relativi ad alcune Nazioni. Guerre in cui ancora più esposto è in nostro Paese, per motivi logistici, geografici e per una politica ondivaga, contraddittoria, senza una vera direzione. In Afganistan, ieri, un altro nostro militare io è rimasto ucciso in uno scontro a fuoco nella zona a nord ovest della valle di Bala Murghab. A Herat, la settimana scorsa, gli italiani hanno passato la responsabilità della sicurezza agli afghani, avviando un processo di “uscita” che dovrebbe concludersi entro il 2014. Ma intanto sul campo, sono ancora 4.000 i nostri militari impegnati in un’area molto calda e con un tributo, con quello di oggi, di 41 vite sacrificate per una guerra senza alcun evidente scopo, né autentica progressione. L’ultima vittima si chiamava David Tobini, caporalmaggiore nato a Roma il 23 luglio 1983, in forza al 183 reggimento paracadutisti “Nembo”. “Tutto ciò serve o muoiono invano?”, si è chiesto ancora Stefano Stefani, presidente della Commissione esteri della Camera ed ha aggiunto che c’è da chiedersi “se, data per scontata l’agenda di disimpegno dell’Italia dal pantano afgano, si può ancora proseguire in una strategia che lascia i nostri ragazzi troppo esposti e, di converso, poco tutelati contro un nemico che non ha regole”. Ma questo è il mondo, un universo umano feroce e insensato, che, come nota Balzac, non muta nel tempo e non ripara ai suoi e(o)rrori. Come scrive Pietro Citati, parlando sì di Balzac, ma riferendosi al’umanità feroce e peggiore di ieri e di oggi, ciò che va temuto è l’ostinazione fanatica, il furore della “follia” divina, l’entusiasmo delirante delle baccanti, le impure aspirazioni della bile nera, l’apatia della depressione, l’aridità e il torpore della noia, il terrore, la fantasticheria senza limiti, l’orgoglio dissennato, la demenza che insegue folli ideali. Il politologo Luigi De Marchi, nella relazione Introduttiva al Convegno “Fanatismo: cause e rimedi (Roma, novembre 2007), intitolata “Psicogenesi del Fanatismo e del Terrorismo”, vaticinava: il fanatismo religioso sarà il flagello del XXI” secolo, affermando che, spinti dall’ingenuità o dall’opportunismo, molti leaders politici e culturali dell’Occidente liberal-democratico hanno preferito, durante tutto il ‘900, evitare ogni scontro od attrito con i dogmatismi religiosi, credendo o dando a credere che l’unica vera minaccia per la libertà e i diritti umani fosse costituita dai dogmatismi politici che venivano via via combattuti: fascismo, leninismo, nazismo, stalinismo, maoismo, castrismo. Esaminata nell’ottica della psicologia di massa e di vertice, però, la realtà appare assai diversa. In quest’ottica, i dogmatismi e i fanatismi politici che hanno insanguinato tutto il ‘900 si disvelano piuttosto come altrettanti, effimeri surrogati dei dogmatismi e fanatismi religiosi: insomma come la risposta che molti intellettuali e gruppi più vulnerabili hanno tentato di dare alla crisi delle certezze religiose, iniziata coll’Illuminismo ed esplosa nel XX secolo anche tra le masse popolari. Ai Paradisi Celesti promessi per secoli dai Papi Infallibili, dalle Vere Fedi e dalle Vere Chiese si sostituirono i Paradisi Terrestri (quello nazista della Razza Eletta o quello comunista dei Lavoratori) promessi dai Capi Infallibili, dai Partiti Unici e dalle Vere Rivoluzioni. Sul piano ideologico, naturalmente, tutto cambiò ed i profeti dei nuovi Paradisi Terrestri poterono perfino dirsi e credersi atei. Ma, sul piano psicologico, il meccanismo salvazionista restava immutato, col suo carico di distruttività contro i nemici della Vera Fede e della Vera Rivoluzione. E, difatti, molti osservatori più acuti intuirono il nucleo religioso dei totalitarismi politici del ‘900. Il risorgente fanatismo religioso, che evedidentemente non è solo islamico, appare ben più pericoloso, in un’epoca di bombe atomiche e chimiche caserecce, del vecchio fanatismo politico del ‘900. Esso infatti non può essere né prevenuto né arginato con la deterrenza della superiorità militare per l’ovvio motivo che, al fanatico religioso, il rischio mortale della repressione violenta appare un vero e proprio invito a nozze: la morte in battaglia o il suicidio stragista del kamikaze costituisce infatti, per lui, un viatico bramato per la gloria, la felicità e la vita eterna nel Paradiso degli Eroi della Guerra Santa contro gl’infedeli. Per il fanatico, inoltre, lo sterminio o la sottomissione degl’infedeli non è un optional ma una questione di vita o di morte eterna, un contributo doveroso alla lotta del Bene contro il Male e alla vittoria della Vera Fede. Se non lo si crede si leggano le farneticanti parole di Anders Behring Breivik, colui già consegnato alla storia come il boia di Utoeya. Piuttosto che chidersi come tornare ad avere un nuovo ruolo politico un un’Italia alla deriva, ingovernabile fra poli di destra e di sinistra, gli ideologi cristiani del Nostro Paese, farebbero meglio ad interrogarsi su come prevenire, in casa propria, tale esiziale e tragico fanatismo, che genera, come in campo islamico, la cultura ripugnante che porta le vittime ad applaudire i loro carnefici, a suicidarsi e ad uccidere per loro e costituisce per gli uomini e per le donne dell’Occidente liberale, un nemico infinitamente più pericoloso, per sé e per il futuro dell’intera umanità, di ogni altra tirannia del passato.
Carlo Di Stanislao
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