Avvicinare il linguaggio cinematografico, anche quello più denso di significato e più criptico nella comunicazione di senso di molto del cinema d’autore, alla gente comune, ai non addetti ai lavori, in modo da trasmettere la ricchezza e complessità di risorse messe in campo nella settima arte. Questo il filo rosso che ha sempre legato le molteplici iniziative promosse da ormai diversi anni dall’Istituto Cinematografico dell’Aquila “La Lanterna Magica” in favore della nostra città, assieme alla consapevolezza – ora più che mai consolidata in una situazione di pericolosa frantumazione territoriale – della necessità di utilizzare il linguaggio delle arti come mezzo di aggregazione sociale e condivisione di un patrimonio comune. Questa la motivazione di base dell’iniziativa che colorerà le serate estive di tanti aquilani ingrigite dalle trite repliche di trasmissioni televisive e da film sempre allineati con le esigenze della politica commerciale. Il progetto è intitolato Comunicare il Cinema: “L’invenzione, la storia, e l’evoluzione della settima arte” e si inserisce in un programma più ampio, promosso dall’associazione “L’Impronta” cofinanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che ha dato la possibilità a giovani studenti universitari e delle Scuole Medie Superiori di formarsi nel campo giornalistico, ponendo attenzione alla diversificazione e alla contaminazione dei sistemi di comunicazione.
L’iniziativa prevede la proiezione di grandi capolavori della storia del cinema per cercare di rintracciare e apprezzare gli strumenti dello specifico filmico ma anche per constatare l’universalità del messaggio dei grandi classici. Si riscontra in misura sempre maggiore un atteggiamento di diffidenza nei confronti del cinema d’autore, specialmente in quei casi in cui si serve di modalità di narrazione inusuali e ormai considerate surclassate, come l’uso della pellicola in bianco e nero e l’assenza del sonoro. Gli interventi di Piercesare Stagni, responsabile della programmazione artistica della “Lanterna Magica”, forniranno delle linee guida alla visione e saranno di stimolo ad orientare lo spettatore all’interno della densità semantica di una delle arti che maggiormente si serve della contaminazione tra linguaggi e accostamento di estetiche.
Ieri sera, in Piazza Duomo la rassegna è iniziata con la proiezione del film Il Monello di Charlie Chaplin; di un magico equilibrio tra comicità e lirismo parla Piercesare Stagni a conclusione della visione del film, annoverandolo tra i capolavori assoluti della storia del cinema.
Il film si apre con la presentazione di una madre che ha tra le braccia un bimbo ancora in fasce; per condizioni d’indigenza, si trova costretta nella disperazione ad abbandonarlo sui sedili di una lussuosa auto. Il caso vuole che l’auto venga rubata da due malviventi, i quali, appena accortisi del neonato, se ne disfano lasciandolo tra le macerie di un quartiere desolato. S’imbatte nel fagotto Charlot, che dapprima tenta di sbarazzarsene, poi, rinvenuto tra le fasce un biglietto che invoca perdono per il gesto e chiede cure per il bimbo, decide di tenerlo con sé. Charlot cresce il piccolo in condizioni di povertà estrema, in un fatiscente e angusto sottotetto arrangiandosi ad accudirlo con fantasia ma con tutto l’amore di un padre.
Cinque anni dopo il bambino aiuta il padre nel procacciarsi il necessario per la sopravvivenza tramite piccoli espedienti illeciti che li rendono entrambi tormentati dalle autorità. Nel frattempo la madre è diventata un’attrice di successo che cerca di assopire il senso di colpa per il gesto compiuto anni prima, tramite opere di carità in favore dei bambini poveri degli slums. Il destino vuole che dopo il tentativo da parte delle autorità di sottrarre il bambino a Charlot per le condizioni di indigenza in cui vive e la disperazione dei due per la forzata separazione, la donna si renderà conto di aver conosciuto il figlio in una delle sue opere di carità e riuscirà a ricongiungersi con lui. Charlot viene invitato dalla donna ad entrare nel lussuoso palazzo dove ora abita con il bambino. Il film termina con la porta che si richiude.
<<Credo nel potere del riso e delle lacrime come antidoto all’odio e al terrore>>: Chaplin è uno dei pochissimi artisti in grado di far convivere il comico con il tragico fondendo divertimento e messaggio etico. Il cinema di allora conosceva la commedia dello stile slapstick, quello facile dei ruzzoloni e degli spintoni, oppure si riempivano le sale con scene dal sentimentalismo melenso ed enfatico. Il genio interviene con una rivoluzione del linguaggio che riguarda forme e contenuti.
<<Attraverso la comicità vediamo l’irrazionale in ciò che sembra razionale, il folle in ciò che sembra sensato, l’insignificante in ciò che sembra pieno d’importanza>>: gli inseguimenti rocamboleschi denunciano ora l’assurdità del potere che calpesta la dignità umana e gli autentici legami affettivi, ora la precarietà della condizione di tanti diseredati che lottavano negli slums inglesi per la sopravvivenza. Ma in questo primo ma perfetto lungometraggio, tanto da essere considerato da tanti il capolavoro di Chaplin, vince il lirismo, cosa ben diversa dal sentimentalismo, con la sensibilità e la delicatezza della narrazione del legame affettivo autentico che rende sopportabili le più difficili vicissitudini della vita.
Elisa Giandomenico
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