Sono forti i timori che avvengano di nuovo episodi di guerriglia come l’altra notte, quando due o trecento incappucciati, armati di spranghe, bastoni, bombe-carta potentissime, bulloni agganciati con lo scotch ai raudi, di fionde che lanciano piccoli e micidiali proiettili di piombo, hanno tentato l’ennesimo assalto al cantiere, miseramente fallito come tutti i precedenti. In Val di Susa si attende quello che è già stato definito “un sabato di tregenda”: prova del fuoco circa l’irrisolta, infinita questione delle proteste contro la Tav. La marcia-simbolo organizzata dalle tante anime diverse del movimento e da tutti i comitati contro l’apertura, dopo 22 anni, del primo cantiere della Torino-Lione, è preannunciata come pacifica, ma, secondo le forse dell’ordine, rischia di trasformarsi in un nuovo episodio di autentica guerriglia. La tensione il Val di Susa è di fatto altissima e c’è il rischio che il corteo di oggi, ancora una volta, degeneri in scontri con le forze dell’ordine che presidiano il cantiere della Maddalena a Chiomonte. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, parla di “giornata clou”, con le forze dell’ordine attrezzate a fronteggiare, l’eventuale violenza dei manifestanti. Il movimento contro la linea ad alta velocità Torino-Lione, ha ieri assicurato che oggi a Giaglione, punto di partenza della marcia che attraverso i boschi raggiungerà il campeggio No-Tav di Chiomonte passando attorno al cantiere, saranno allontanati i violenti. Ma i sindaci della Valle non vi prenderanno parte perché, dicono, il rischio di degenerazione è troppo alto. Secondo il governo quello della linea veloce Torino-Lione è un progetto strategico di cui in nostro Paese non può fare a meno, con un supertunnel ferroviario di oltre 50 km di lunghezza (sotto una delle parti a più alta concentrazione di amianto delle Alpi), senza il quale l’Italia è destinata a un declino epocale, tagliata per sempre fuori dall’Europa. Secondo, invece, i no_Tav, queste sono solo balle, secondo cui se l’Italia sarà estromessa dall’Ue sarà per i buchi nelle casse statali ed una politica economica suicida. Secondo costoro, un’opera colossale come la Tav – con oltre 70 chilometri di gallerie, dieci anni di cantiere, decine di migliaia di viaggi di camion, materiali di scavo da smaltire, perforatrici, migliaia di tonnellate di ferro e calcestruzzo, oltre all’energia necessaria per farla poi funzionare, non è certo preferibile nell’ottica costi/benefici. Infatti, dicono i promotori no-Tav, vi è un rapporto del 2003 della Direction des Ponts et Chaussées francese (gli ingegneri del genio civile d’oltralpe) che afferma che riguardo al trasferimento modale tra gomma e rotaia, la Lione-Torino sarà del tutto ininfluente. Numeri alla mano, i contrari, dicono che il costo ufficiale della tratta internazionale è 10,3688 miliardi di euro – di cui quasi 7 a carico dell’Italia – e che il costo della tratta nazionale è di circa 5, 16 miliardi di euro; e sanno anche che, dato che i 10 anni di tempo preventivati per portare a termine l’opera non verranno mai rispettati, con gli interessi, il totale a carico dello Stato diventerà complessivamente di 17,2002 miliardi di euro. Praticamente due finanziarie, cifre che in questi tempi di vacche magrissime, sono assolutamente fuori dalla portata della tasche nazionali. E il bello è che anche nel momento in cui la Tav dovesse funzionare, la linea non sarà mai in grado di ripagarsi e diventerà fonte di continua passività, trasformandosi in un asfissiante cappio fiscale per tutti i cittadini. E le proteste non solo si hanno, in forme spesso vuiolente, a Genova e in Val di Susa, ma anche in altri luoghi più lontani d’Italia. Tre giorni fa, il Comitato/Associazione “No tunnel TAV di Firenze” e “Italia Nostra” Delegazione di Firenze, supportati dall’Avv. Toccafondi, hanno presentato al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, al Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche Toscana – Umbria ed al Ministero dell’Ambiente, documentate richieste di sospensione dei lavori del sottoattraversamento ferroviario TAV per pesanti irregolarità rilevate nel progetto. Negli esposti firmati dalle due Associazioni sono stati evidenziati inosservanze della normativa antisismica e minaccia imminente di danno ambientale. Ieri, il coordinamento Pd Valsusa-Sangone, ha innato i propri iscritti a non partecipare alla marcia di protesta di oggi pomeriggio, mentre il segretario dell’Associazione nazionale funzionari polizia (Anfp) Enzo Letizia, ha dichiarato: “L’intera Val di Susa rinneghi le violenze con atti espliciti e non con le sole parole di circostanza” oppure “si assuma la responsabilità politica degli scontri per non essersi opposta in questo mese di furia irrazionale alle violenze”. Come detto, fermo nella sue posizioni è il governo, con il ministro Maroni che ieri ha riferito di aver chiamato il prefetto di Torino “per essere informato e abbiamo valutato alcune iniziative che saranno prese nelle prossime settimane per garantire la prosecuzione dei lavori e isolare i violenti. E’ stata fatta – ha concluso – un’operazione di prevenzione importante dal punto di vista info-investigativo e credo che porterà nuovi e importanti risultati per garantire la prosecuzione dei lavori”. Vedremo come si si intendono ottenere tali risultati. E’ opinione di molti che, essendoci un problema energetico e ambientale esso si possa risolverlo restando all’interno del paradigma economico che ha dominato il mondo industriale dalla sua nascita e il mondo intero negli ultimi decenni. Questo secondo il paradigma della crescita infinita. Il problema energetico, che esso si presenti sul lato dell’offerta di combustibili fossili (Picco del Petrolio ecc.) o sul lato della saturazione degli ecosistemi con i rifiuti del sistema industriale (questione climatica ecc.), si risolve sviluppando nuove tecnologie, facendo avanzare quelle rinnovabili e mettendo in atto politiche di risparmio ed efficienza. L’avanzamento tecnologico e il mercato permetteranno di passare indenni dalla crisi ecologica e delle risorse, mantenendo un livello di crescita dell’economia tale da aumentare il benessere di tutti. La TAV rientra in questa legittima visione. Ma, secondo altri, l’aumento del costo dell’energia è solo uno dei sintomi di una crisi sistemica, della quale la crisi finanziaria in cui siamo immersi da due anni è il fenomeno maggiormente visibile (e spesso anche l’unico analizzato), che ha come origine la condizione di overshoot ecologico della specie umana; o, se vogliamo, il raggiungimento dei limiti dello crescita. Le diverse componenti di questa crisi: quella economica, quella energetica e quella ecologica si combinano in una tempesta perfetta, che ha come presupposto l’esplosione della bomba demografica, e dalla quale è impossibile uscire senza cambio di paradigma. Ed è questa l’idea dei no-Tav. Io credo, come diceva come diceva Ivan Illich, che senza passare dai percorsi distruttivi del produttivismo industriale occidentale e dedicandosi ad espandere il benessere piuttosto che la dimensione della popolazione e senza passare per il regime del consumo compulsivo; perseverare sulla strada del globalismo economico diretto da entità sovranazionali senza alcun controllo democratico controllate da oligarchie insondabili, è destinato a portarci solo verso il conflitto permanente per le risorse residue e la catastrofe sociale. Al pari dei Radicali e del Sel, credo anche che le politiche da mettere in campo siano quelle che aumentano la resilienza delle comunità locali, certamente interconnesse, ma largamente autosufficienti dal punto di vista alimentare, energetico ed industriale. La vera grande opera che un paese delle dimensioni dell’Italia dovrebbe realizzare, è fatta di piccoli-grandi interventi, evitando le opere faraoniche: una ricostituzione delle linee di ferroviarie locali, una elettrificazione spinta sostenuta dalle nuove fonti di energia rinnovabile più abbondanti, una graduale disintossicazione del suolo agricolo con passaggio a sistemi di coltura che ne mantengano la fertilità, l’arresto definitivo dell’opera di cementificazione del territorio, la determinazione di un tetto alla crescita della popolazione. Non opere faraoiniche, inutili ed insensate, ma piccoli, intelligenti, mirati ed essenziali interventi fra isoli che siano salvaguardate nella loro vocazione, crescita e indentità. Che è contrario alla Tav non è contro le ferrovie più di quanto chi si oppone al ponte sullo stretto di Messina non sia contrario ai ponti. In ultima analisi è una questione energetica: le opere faraoniche presuppongono una ulteriore complessificazione di un sistema che inevitabilmente và verso una semplificazione.
Carlo Di Stanislao
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