Lo scorso 11 luglio, il ministro degli Esteri turco, Ahmet, Davutoglu, era in Iran e pochi giorni dopo l’aviazione iraniana e quella turca hanno attaccato quasi in contemporanea diversi villaggi kurdi situati nel distretto di Sidkan, nel triangolo tra Iran, Iraq e Turchia. Secondo le informazioni giunte solo in questi giorni all’Associazione per i Popoli Minacciati(APM) dalla sezione di Arbil, attiva dal 2006 e nel cui direttivo siedono rappresentanti di tutti i gruppi etnici dell’area, gli attacchi dell’artiglieria iraniana ai villaggi lungo la frontiera con il Kurdistan iracheno hanno finora provocato “tre morti tra i civili, undici feriti e centinaia di profughi e rifugiati” che per la Croce Rossa hanno raggiunto le 800 persone. È di fatto noto che il regime iraniano da anni attacca i territori kurdi, tanto che dal 2007 ad oggi si sono registrati più di 400 villaggi evacuati a seguito del bombardamenti eseguiti per mano iraniana e turca. Ora la situazione si sta aggravando e la popolazione kurda ne sta pagando le conseguenze.
Mahmud Othman, membro del parlamento nazionale iracheno e per molti anni uno dei leader (discussi) del movimento nazionale kurdo ha dichiarato: ”Le aggressioni dell’esercito iraniano alla popolazione civile del Kurdistan iracheno costituiscono una pericolosa aggressione che evidentemente è stata ben coordinata con la Turchia”. Lunedì mattina l’artiglieria iraniana ha messo così sotto tiro i sei villaggi di Sured, Qirnaqan, Pisht Ashan, Sinemok, Kaskan, Ashqulke. La sera dello stesso giorno le forze militari iraniane hanno lanciato granate contro i cinque villaggi di Suregul, Maredo, Beste, Eske Sere e Eske Xware. “Tali azioni militari – ha spiegato l’Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia – hanno danneggiato irrimediabilmente anche molti terreni adibiti ad allevamento e numerose coltivazioni, compromettendo così l’economia del luogo e la sopravvivenza dei suoi abitanti”.
Nel distretto del Sidkah ci sono 254 villaggi con complessivamente circa 10.000 abitanti di etnia kurda, “Di fatto mi pare che iraniani e turchi – ha continuato Othman – non riescono ad accettare che vi sia una regione kurda che nelle loro immediate vicinanze è riuscita a costruire con successo una propria amministrazione”.
Tutto qui? Non proprio o non solo, visto che il Kurdistan si trova di fatto a cavallo di 4 stati e numerosi interessi economici perché situato in un’area ricca di risorse naturali, soprattutto idriche e petrolifere, su cui si reggono le economie araba e turca. Per impossessarsi delle risorse idriche la Turchia ha avviato da alcuni anni un progetto denominato GAP, che sfruttando con imponenti dighe la potenza delle acque del Tigri e dell’Eufrate, si garantisce l’utilizzo di importanti impianti idroelettrici. Questo porta alla dipendenza idrica dalla Turchia di Siria e Iraq ed è forse anche per questo gioco di interessi, secondo APM, che il presidente eletto del Kurdistan iracheno Masud Barzani “si è più volte appellato senza successo al governo turco e iraniano chiedendo di trovare soluzioni pacifiche” ad una questione non solo etnica.
Intanto, nonostante gli attacchi militari esterni, il delicato processo di pace interno al Kurdistan prosegue. Giusto lo scorso 18 luglio si sono incontrati nella città nord-irachena di Kirkuk circa 150 personalità e rappresentanti di tutte le nazionalità e religioni dell’Iraq. La conferenza organizzata dall’APM – sezione del Kurdistan iracheno con il patrocinio di Luis Sako, vescovo cattolico-caldeo di Kirkuk, ha voluto stimolare il dibattito sulle possibili misure da adottare per smontare e evitare tensioni e garantire una pacifica convivenza.
Gli organizzatori hanno ricevuto rappresentanti kurdi, arabi, turkmeni, assiro-aramei-caldei, shabak, mandei, cristiani e musulmani, tra cui anche rappresentanti del governo centrale iracheno di Baghdad. La città di Kirkuk non è stata scelta a caso. “Nell’omonima provincia il rapporto tra i diversi gruppi etnici è segnato da difficoltà e tensioni – ha spiegato APM – Durante la dittatura di Saddam Hussein centinaia di migliaia di Kurdi, ma anche di Turkmeni e di Assiro-Aramei-Caldei cristiani sono stati cacciati dalla regione, ricca di petrolio. Al loro posto sono stati insediati arabi provenienti dall’Iraq centrale e meridionale. Tuttora non è stato deciso se la regione farà parte della regione autonoma del Kurdistan iracheno o se sarà governata da Baghdad”.
Dal 2003 la regione autonoma del Kurdistan iracheno, riconosciuta come tale da Baghdad, gode di un’ampia autonomia e autodeterminazione con un proprio governo regionale, parlamento, primo ministro e presidente regionale. Il governo del Kurdistan iracheno è caratterizzato da una proporzionale che garantisce la presenza di rappresentanti Assiro-Aramei-Caldei, Armeni e Turkmeni nel parlamento regionale. “Questi gruppi etnici – ha continuato APM – dispongono inoltre di un sistema scolastico e di giornali e mezzi di comunicazione nella propria lingua. Per questo la regione ha finora accolto decine di migliaia di profughi provenienti dalle regioni arabe dell’Iraq dove Cristiani, Mandei e Yezidi subiscono ancora pesanti persecuzioni”.
Secondo la Costituzione irachena la decisione sul destino di Kikuk e del suo popolo (che ricorda la storia di molti altri popoli minacciati da interessi economici come i Saharawi in Western Sahara) dovrebbe esser presa tramite un referendum che deciderà il futuro della regione per espressione diretta dei circa 755.000 abitanti dell’area, che può ora contare sul ritorno delle centinaia di persone deportate durante il regime di Saddam Hussein. “Essi sperano nell’annessione pacifica alla regione autonoma del Kurdistan iracheno – ha precisato la sezione kurda irachena di APM – visto che la popolazione araba che ormai vive là da decenni è tornata ad essere una minoranza”.
In questa direzione pacifica e democratica sembrano muoversi anche iniziative come quelle del 18 luglio, che devono fare i conti però con questa nuova offensiva turco – iraniana. L’Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia (UIKI) ha per questo lanciato un appello: “Chiediamo alle Istituzioni Internazionali, all’Unione Europea, alle organizzazioni internazionali per il diritti umani di prendere misure adeguate e necessarie per condannare tali brutalità. Chiediamo pertanto, che vengano immediatamente arrestate le operazioni militari illegali contro il popolo kurdo”.
Ringrazio Alessandro Graziadei per l’aggiornamento sul tragico detino dei Kurdi