Nella nostra città , L’Aquila, – estremamente riguardosa nei confronti del centro storico e della sua ricostruzione – la cultura del paesaggio urbano è ancora pervasa dalle ideologie del frammento e del caos. La mancanza di un’ipotesi di disegno urbano, di un’idea di città ne è la chiara riprova. Come è stato ripetutamente denunciato dalla stampa, “esplode il bubbone dell’abusivismo edilizio legato alle casette di legno”. La loro proliferazione fuori da ogni controllo, fa dire al Sindaco che “è necessario riportare la situazione ad uno stato di normalità edilizia e paesaggistica.” Riportare la situazione ad uno stato di normalità oggi significa “costruire una città pubblica” che comprenda l’intero territorio comunale. La proliferazione delle casette sparse è solo la punta di un iceberg, che emerge mostrando un’insostenibile rinuncia alla cultura del progetto. Che lo si comprenda o meno i paesaggi nei quali viviamo ci rappresentano, ci influenzano, ci modificano. La ricostruzione – che deve interessare la rigenerazione delle periferie, delle frazioni, dei nuovi quartieri C.A.S.E. – richiede riflessioni sugli aspetti decisivi della spazialità urbana. Gli spazi aperti pubblici, in quanto teatro primario della città, rappresentano gli elementi fondativi della spazialità urbana. Ma quale dovrebbe essere il senso della nuova città, quale l’idea, il disegno se non quello di ristabilire relazioni fra edifici e spazi aperti, fra pubblico e privato, fra architettura e natura, fra singoli cittadini e collettività? Oggi, il lavoro di analisi e di critica specialistica di coloro che operano all’interno della ricostruzione, si appunta essenzialmente sugli oggetti architettonici e sulla rete infrastrutturale, mentre viene disertata l’analisi a tutto campo dei modi e degli esiti dell’architettura del paesaggio dell’intera città. Ove venissero assunte con spirito dialogico, in una prospettiva pubblica e partecipata, le esigue ricerche condotte da studiosi – storici del paesaggio, antropologi, architetti, urbanisti, paesaggisti e geografi – potrebbero offrire un prezioso alimento a strutture organizzative come l’Urban Center, volte a promuovere la crescita collettiva in tale direzione. Il tema della ricostruzione del centro storico aquilano, così caro all’amministrazione pubblica, nasce dalla necessità di conservare il più possibile il paesaggio ereditato dal passato, in quanto ci siamo resi conto che diversamente verremmo a perdere non solo tale paesaggio, ma anche le sue matrici. Tale strategia però non può essere disgiunta da una “cultura del progetto” che, partendo dalla interpretazione di tali matrici, elabori un’idea di città estesa all’intero contesto comunale. Nelle prospettive annunciate dalle istituzioni pubbliche si prefigurano invece modalità operative orientate a consolidare l’idea di città radiocentrica, incentrata intorno al polo del centro storico. L’azione conservativa di questo, non accompagnata da una prospettiva di rigenerazione complessiva della città, è destinata a produrre effetti caotici e disastrosi, di cui le casette di legno rappresentano solo un piccolissimo aspetto. Che senso avrebbe il recupero di un centro storico assediato da una immensa periferia sempre più degradata, sempre più dominio dello spazio privato, del “non luogo”, sempre più denudata di spazi pubblici, sempre più sede di “pieni edilizi” anestetizzati, privi di bellezza ? Che se ne abbia consapevolezza o meno, la rigenerazione della periferia aquilana, dei centri minori e di tutto quanto ha aggredito e isterilito il contesto paesaggistico comunale, passa attraverso una cultura del progetto che dal modello di città radiocentrica si sposta verso quello di “città policentrica”. Le sterili dispute contro questo modello innovativo e i tentennamenti che ne derivano sul piano della operatività, mostrano solo una sostanziale difficoltà di avventurarsi nell’elaborazione di un’idea globale di paesaggio urbano. L’arroccarsi nella valorizzazione del centro storico e nella concentrazione delle sue funzioni – con l’intento di evitare di farne una moderna Pompei – è un falso problema che, potenziando l’immagine di città radiocentrica, spoglia l’intero contesto comunale degli attributi più significativi di “città pubblica”, espressioni ed eco di bellezza, di convivialità e di co-appartenenza.
Giancarlo De Amicis
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