Faccia a faccia con un orso bianco nel cuore della notte artica, sull’uscio di un rifugio nell’entroterra di Spitsbergen, nelle Svalbard, in compagnia soltanto di razzi, un fucile e del proprio istinto di sopravvivenza. E’ l’esperienza di Paolo Baldi, gestore di un rifugio a Rocca Calascio sul Gran Sasso, in Abruzzo, ma fra l’88 e il ’93 guida turistica proprio nell’arcipelago norvegese dove oggi un orso polare ha sbranato un ragazzo britannico. “Ho fatto per cinque anni, nel periodo estivo da giugno a settembre, la guida per la Svalbard nel gruppo di isole del mar Glaciale Artico – racconta Paolo all’ANSA -, accompagnando i turisti su montagne e ghiacciai”. All’epoca, spiega, “era abbastanza raro incontrare gli orsi polari sulle isole, perché vivono sulla banchisa e quando il ghiaccio si ritira, in estate, si spostano verso Nord. Gli esemplari che restano sulle isole sono i più pericolosi perché affamati, non riuscendo a catturare in acqua le foche”. Negli ultimi anni, aggiunge, “il numero di orsi che d’estate resta ‘intrappolato’ sulle isole è aumentato perché i ghiacci si ritirano prima”. Paolo ha vissuto due incontri ravvicinati con l’orso polare. “Nel ’91 con due gruppi di turisti, uno che stava sbarcando e l’altro, il mio, in partenza. E’ stato un attimo, un orso polare ha puntato la riva e i turisti dal mare, nuotando. Lo abbiamo allontanato di qualche centinaio di metri sparando in aria razzi luminosi, ma solo dopo due giorni, coi turisti asserragliati nel campo, l’animale se n’é definitivamente andato”. E’ stato l’episodio più pericoloso, ci racconta, “anche perché i turisti inseguivano l’animale per scattare foto”, ignorando qualsiasi regola o buonsenso. Il primo faccia a faccia, in solitaria, avvenne però un paio d’anni prima. “Ero solo per un’escursione nell’entroterra, a circa cento chilometri da Longyearbyen, il principale centro dell’arcipelago. Dormivo in un rifugio di legno, non custodito. Fui svegliato da rumori e trambusto che provenivano dalla base della casupola. Capii che era un orso, stava cercando di entrare dalla parte inferiore della casa, sollevata da terra come tutti i rifugi della zona per via del gelo. Sparai un razzo dalla finestra, poi i rumori cessarono. Aprii la porta certo che l’animale fosse scappato e invece era lì. L’istinto è stato quello di sparare il secondo razzo che avevo in mano. Fortunatamente l’orso era giovane, probabilmente inesperto, e andò via. Sono stato fortunato – dice – perché avevo il fucile in mano ma non penso ci sarebbe stato il tempo per sparare”.
Stefania Passarella
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