Dopo Cannes e in attesa di Venezia e Roma, gli occhi dei cinefili è puntato su Locarno, che, lo scorso 3 agosto, ha inaugurato la 64° edizione del Festival Internazionale del Cinema, che si concluderà sabato 13. Una sola opera italiana in concorso: “Sette opere di misericordia” di Gianluca e Massimiliano De Serio, ispirato all’omonimo dipinto del Caravaggio. Il film, ambientato a Torino, narra la vita di Luminita, un’adolescente clandestina pronta a tutto per la propria sopravvivenza, che si scontra con quella di Antonio, un vecchio prossimo alla morte. Tra queste due esistenze ai margini, quando la lotta per la sopraffazione reciproca si fa crudele e miserabile, si scorge un inaspettato barlume d’umanità, la possibilità di un miracoloso contatto umano che cambierà il loro destino. Una sorta di thriller dai risvolti inattesi sullo sfondo di una metropoli fotografata in cinemascope, dove la luce invernale e l’originale regia fanno da contrappunto all’intreccio narrativo. Film bello ma difficile, adatto ad un pubblico molto raffinato e sensibile, sarà nelle sale (poche) da Novembre ed è stato in parte finanziato (per 200.000 Euro), dal Ministero dei Beni Culturali. Roberto Herlitzka è Antonio e la debuttante Olimpia Melinte Liminata. Fra gli altri interpreti Ignazio Oliva e Stefano Cassetti. Le “sette opere di misericordia” sono, per la chiesa cattolica, dar da mangiare agli affamati; da bere agli assetati; vestire gli ignudi; alloggiare i pellegrini; visitare gli infermi; visitare i carcerati e seppellire i morti. Il film dei fratelli De Serio, come il quadro di Caravaggio, ha una composizione serrata, che concentra in una visione d’insieme diversi personaggi, con un uso molto attento della luce, per scolpire le forme attraverso un chiaroscuro più netto e frantumato. L’edizione di quest’anno del Festival del Cinema di Locarno, è stata inaugurata dalla proiezione dell’atteso di “Super 8” di J.J. Abrams in Piazza Grande, lo stesso luogo che ha salutato sabato, con una platea di 8.000 spettatori, Jon Favreau, Harrison Ford e Daniel Craig che hanno presenziato alla proiezione in anteprima europea di Cowboys and Aliens e dove sarà consegnato a Abel Ferrara, il Pardo d’Onore e dove, ancora Isabelle Huppert riceverà l’Excellence Award 2011; mentre il Pardo alla carriera andrà a Bruno Ganz e a Claudia Cardinale. Fra gli altri appuntamenti più attesi, la retrospettiva dedicata a Vincente Minnelli ed il workshop Open Doors, con iniziative riservate ai professionisti e proiezioni aperte al pubblico, incentrato quest’anno sul cinema indiano. Open Doors 2011 è il risultato di due anni di collaborazione con il Film Bazaar India / Screenwriters’ Lab del Festival di Goa, avviata con la complicità di Nina Lath Gupta, direttrice dell’organismo nazionale di promozione del cinema indiano (NFDC): 12 sceneggiatori indiani hanno partecipato alle ultime due edizioni del Festival di Locarno per presentare i loro lavori e incontrare professionisti provenienti da tutto il mondo, con il coordinamento del Binger Filmlab. Il 7 agosto, si è svolta, in anteprima mondiale, fuori concorso, la proiezione del documentario collettivo “Milano 55,1. Cronaca di una Settimana di Passioni”, realizzato con la supervisione di Luca Mosso e Bruno Oliviero, che è la cronaca dell’ultima settimana di campagna elettorale di Pisapia, dove grandi eventi collettivi si alternano a ristretti incontri al vertice. Dopo la passerella elvetica, Milano 55,1 dovrà trovare i fondi necessari per la distribuzione e la diffusione. Il film, infatti, è autoprodotto, al suo “sostentamento” hanno collaborato finora parecchi volti del piccolo e grande schermo come gli attori Fabrizio Gifuni, Pietro Sermonti e Valerio Mastrandrea, la giornalista Benedetta Tobagi e il fotografo Gabriele Basilico. Chiunque può contribuire prenotando – entro il 27 Agosto 2011 – la propria quota al sito produzionidalbasso.com. Tutti i sostenitori del documentario compariranno nei titoli di coda e avranno diritto ad una visione gratuita del film. Tornando a “Super 8”, film di apertura di Abrams, apre con poche, rapidissime immagini che sin da subito catturano l’attenzione dello spettatore e lo conducono all’interno di una storia misteriosa e allo stesso tempo familiare. La musica, le inquadrature, l’atmosfera, riportano la mente (o forse sarebbe meglio chiamare in causa il cuore) di chi si trova davanti allo schermo, ad un periodo non troppo lontano in cui bambini/ragazzi, avventura, alieni e mistero costituivano l’ossatura di quasi ogni buon film d’avventura, fantasy o fantascienza. Basti pensare a Incontri ravvicinati del terzo tipo, E.T., I Goonies, Gremlins, Piramide di paura, Ritorno al futuro, Explorers, Stand by Me, La storia infinita e tanti altri ancora per inquadrare con precisione tutti i riferimenti che hanno ispirato questa nuova avventura cinematografica del papà di Lost. Riferimenti che, non a caso, nella quasi totalità hanno visto protagonista nel ruolo di regista o produttore il “Peter Pan” di Cincinnati, Steven Spielberg, ed è proprio nello Stato che ha dato i natali al papà de Lo squalo che il nostro film prende vita. Corre l’anno 1979 e ci troviamo in una tipica cittadina dell’Ohio dove apprendiamo sin dalla primissima inquadratura che, a causa di un incidente, qualcuno è venuto a mancare. Non è dato subito sapere chi è morto, ma grazie ad una serie di indizi sparsi sapientemente da Abrams, riusciamo a tracciare una quadro abbastanza preciso di ciò che è successo e dare dunque il via ad una storia che appassiona, commuove e diverte. Nei primi minuti del film vengono pronunciate pochissime parole eppure l’attenzione dello spettatore è totale. J. J. Abrams dimostra di saper raccontare le storie e di essere stato un grandissimo appassionato/spettatore del genere ancor prima che un autore, produttore e regista. L’unico che per talento e immaginazione, può essere eletto come naturale erede di Steven Spielberg che non a caso non solo decide di produrlo ma di lasciarsi omaggiare in maniera colta e intelligente su più livelli. Per non parlare dei continui omaggi e riferimenti al cinema di fantascienza anni Cinquanta e Settanta (elettrodomestici che vengono rubati, cani che scompaiono, la corrente elettrica che va e che viene, campi magnetici ecc.) e le ormai inconfondibili tracce stilistiche dello stesso Abrams (misteri, complotti, video di esperimenti scientifici stile Lost, strani flussi di energia ecc.). Tanto ancora ci sarebbe da dire su questo bellissimo film, sulla sua storia, sui suoi riferimenti cinematografici, ma ciò sarebbe impossibile senza continuare a rivelare trama e dettagli che danneggerebbero l’intelligentissima scelta di Abrams di concedere allo spettatore un trailer con poche, spettacolari immagini (la scena in cui i bambini impegnati a realizzare un film sugli zombie, assistono loro malgrado ad un terribile incidente ferroviario) che invogliano a vedere il film senza nulla rivelare. Da segnalare, nella numericamente ridotta pattuglia italiana a Locarno, la presenza di Luca Guadagnino. Il regista di Io sono l’amore, che è appena entrato a far parte del team che selezionerà il candidato italiano agli Oscar, si trova a Locarno nella duplice veste di giurato – avendo sostituito all’ultimo minuto Jasmine Trinca – e di autore del documentario Inconscio Italiano, focus sull’occupazione italiana in Etiopia analizzata con il contributo di storici, filosofi e antropologi per comprenderne le conseguenze sul presente e riflettere sul concetto di identità italiana. Fra i film da seguire “Hell”, pellicola prodotta nientemeno che da Roland Emmerich e diretta da Tim Fehlbaum e il franco-libanese “Beirut Hotel”, torbida storia d’amore di Zoha, giovane e seducente cantante libanese che fatica a liberarsi dall’ex marito, e Mathieu, avvocato francese in viaggio d’affari ricercato e sospettato di spionaggio. Nel “fuori concorso”, da non perdere lo spettacolare wuxia “Let the Bullets Fly”, ambientato nella Cina degli anni ’20 dominata dai signori della guerra. Mentre il paese, martoriato da bande criminali e colpi di stato militari, giace in uno stato di prostrazione, si fa largo il misterioso Zhang Muzhi, capo di una banda di fuorilegge nota come la Gang di Mahjong. Dopo un sanguinoso assalto a un treno su cui viaggiava il governatore regionale, Zhang assume l’identità del funzionario defunto e conduce i suoi uomini alla conquista di una città del sud di nome Goose Town. Pellicola sfaccettata che mescola classico wuxia, spaghetti western, gangster movie e commedia degli equivoci, il film diretto da Wen Jiang è un rutilante caleidoscopio di invenzioni fantastiche e spettacolari, action e continui colpi di scena che in Cina ha sbancato il box office posizionandosi dietro al titanico Avatar. Il pubblico occidentale faticherà un po’ a destreggiarsi nel bailamme di citazioni, simboli e riferimenti, ma il divertimento è assicurato grazie anche alle grandi performance che costellano il film, in primis quella del brillante Chow Yun-Fat, e alle musiche del maestro Joe Hisaishi.
Carlo Di Stanislao
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